Vicino

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    Demone incendiario

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    E gridate, gridate, gridate!
    Sai a me che me importa?!
    E parlate, parlate, io fingerò
    di ascoltarvi per l'ennesima volta!

    Dopo pochi accordi introduttivi di chitarra partì la voce. Non era un vero e proprio cantato, erano più urla, per quanto avessi cercato di renderle meno sgraziate possibile. In fase di incisione il direttore artistico aveva suggerito di aggiungere in sottofondo, quasi a farne una sorta di canone, gli stessi versi urlati questa volta in maniera più disperata, completa. Nessuna delle due grida era possente, ma quello che non veniva messo in campo in quanto a decibel era presente nell'interpretazione, a mio avviso. Quella era una canzone di rabbia, come forse non ne avevo mai scritte in vita mia, quindi avevo cercato di tirare fuori tutto già dall'intonazione e dalla modulazione della voce.
    Siete carri da corsa e non c'è modo di farvi rallentare
    e non avete mai niente da dire, non sapete ascoltare.
    E quanto dolore gratuito buttate per il mondo,
    invece di nuotare voi bestemmiate sul fondo.

    La musica era scritta a quattro mani insieme a Il nemico, senza di lui sentivo che non sarei riuscita a convogliare la mia ira funesta in una melodia grintosa ma non troppo rancorosa. Ovviamente lui si era occupato di suonare insieme a me, durante l'incisione, quindi nella tracklist questo era segnato come un featuring a pieno titolo. Il testo invece era del tutto mio, il primo che avessi iniziato a comporre sin da subito dopo l'incidente con "Cuento doscientos". Avevo cercato di focalizzare la mia rabbia, di usarla come carburante per la mia creatività. Non era venuta subito, all'inizio ero troppo scomposta, poi il pezzo ha iniziato a prendere forma e a uscire dai confini della mia ultima esperienza personale.
    Sono una vigliacca,
    non mi regge il cuore,
    ho troppo da fare:
    devo far crescere un fiore!

    I riferimenti autobiografici erano evidenti, il rancore verso i paparazzi, i giornalisti, così come il riferimento ai miei fiori, la mia famiglia. Durante la stesura però avevo iniziato a uscire da questi confini che mi ero imposta e gli obiettivi di questa mia filippica musicale si erano moltiplicati. Criminali di ogni natura o tipo, politici seminatori d'odio, benpensanti vari, chiunque rendesse il mondo un posto peggiore con le sue parole o le sue azioni, consapevolmente o meno. Avevo sofferto molto nella mia vita a causa di personaggi di questo tipo e purtroppo non era ancora finita. Per quanto sentissi di aver dimostrato a me stessa che al mondo c'erano più brave persone che cattive, questa canzone era il segnale della mia resa all'evidenza che non era sempre così e che non tutti potevano cambiare.
    Fareste qualsiasi cosa pur di farvi una reputazione
    e vi piace circondarvi di gente che vi dà ragione.
    Il sangue, il mio sangue, non vi ha fatto mai impressione,
    il sangue dalle mani, voi lo togliete col sapone.

    Cinismo, spregiudicatezza, egoismo, incuranza. Quel mio piccolo j'accuse trasudava del disprezzo verso chi non aveva alcuna premura per gli altri, per chi sfruttava, prevaricava e feriva chiunque gli fosse vicino pur di ottenere un guadagno personale. Avevo lottato contro persone del genere, quando parlavo di sangue era sia metaforico che letterale. E la rabbia che provavo verso queste persone era finita nero su bianco, senza freni inibitori o edulcorazioni, in una maniera che forse avrebbe sorpreso i miei ascoltatori. Era un pezzo molto diverso da quelli a cui li avevo abituati, ma speravo che ne capissero il significato. Quando ne avevo portato la bozza al presidente Juan lui aveva ridacchiato sotto i baffi e aveva detto che lo adorava, ma mi aveva anche chiesto se ne fossi davvero sicura. Lo ero, ma solo perché il mio caro Kenji mi aveva aiutato a rendere armonioso quel rancore. Il nervosismo della chitarra era mitigato dall'accompagnamento dell'accordion, che suonai di persona nell'incisione, in una maniera che dava al tutto un'equilibrio più soffice. Non erano le farneticazioni di una pazza, era un quieto grido di dolore di chi soffriva nel vedere il male del mondo. E dopo il secondo ritornello questo aspetto veniva fuori ancor più evidente, secondo me.
    Sono fragile di dentro e voi lo sapete bene
    e mi provoca sgomento osservarvi tutti insieme
    azzannarvi furibondi, per vedere chi è più forte,
    pronti a violentar la vita, travestendovi da morte.

    Avevo dovuto allenarmi molto, quella canzone era diversa dal mio stile solito e richiedeva un'interpretazione di un altro tipo. Ero arrivata ad un punto della mia carriera in cui certe cose mi uscivano naturali, ormai, ma avevo abituato sia collaboratori che ascoltatori alla sperimentazione. Mi feci dare suggerimenti da colleghi ed esercitai quel tipo di canto carico di emozioni negative. Avevo accettato quella parte di me, mi faceva ancora paura, ma l'avevo compresa e incorporata in me, lungo l'estate. Inserirla nella mia musica era il passo successivo, evidentemente. E in qualche maniera mi faceva stare bene, era un'esteriorizzazione della mia debolezza e della mia forza. Avevo preso coscienza di chi fossi davvero e speravo di riuscire a rifletterlo anche nella musica.
    Voi non ci crederete, ma mi fate tenerezza
    perché la mano più forte dimentica la carezza,
    quindi vi lascio alla vostra serena mattanza,
    non vi sarà di peso la mia presenza.

    Sottolineai le parole "serena mattanza" nello stesso modo in cui era stato fatto nell'intro, con una seconda voce a ripeterle urlando. Era un ossimoro di cui andavo molto fiera, mi pareva rendere bene l'idea di cosa volessi comunicare. Serviva a rappresentare quello che disprezzavo maggiormente in tali persone, la loro capacità di considerare normale e giustificato qualsiasi comportamento, fino al più feroce e terribile. Alcuni di loro si giustificavano con frasi tipo "è così che gira il mondo" o con l'idea di essere più furbi degli altri, ma non potevo che considerarli più deboli, vittime delle loro pulsioni più nefande. Non essendo in grado di comprendere concetti come amore, solidarietà, la loro vita era più vuota, a mio avviso. Riempirla con soldi o fama non li avrebbe aiutati a renderla degna di essere vissuta, per come la vedevo io.
    Sono una vigliacca,
    non mi regge il cuore,
    ho troppo da fare:
    devo far crescere un fiore!
    Sono una vigliacca
    e non vi porto rancore,
    ho ben altro da fare:
    devo nascondervi un fiore!

    L'ultimo ritornello era ripetuto due volte, con una piccola variazione nella seconda parte, molto significativa ai miei occhi. Non mi interessava quanto alcune persone fossero affamate di informazioni sulla mia famiglia, non l'avrei mai esposta al pubblico. Era il mio tesoro personale e avevo il dovere da moglie e madre di proteggerlo da qualsiasi difficoltà o pericolo. Quella che mi avevano inflitto i paparazzi era una ferita, ma mi sarebbe servita da campanello d'allarme, d'ora in poi non sarebbe più successo niente del genere.
    E gridate, gridate, gridate!
    Sai a me che me importa?!
    E parlate, parlate, io fingerò
    di ascoltarvi per l'ennesima volta!

    L'outro era identico all'intro e mi sembrava la perfetta conclusione del brano, quasi a racchiuderlo all'interno di quell'urlo liberatorio. Così sarebbe iniziato il mio nuovo disco, il quarto della mia carriera. E se in quello precedente erano prevalenti temi sognanti, la ricerca dell'altro, del "lontano", in questo avrei cercato di fare un percorso a specchio. Mi sarei dedicata a esplorare il diverso, geografico, stilistico e umano, ma per poi incorporarlo in me, farlo diventare parte del mio bagaglio personale. Sentivo di essere arrivata ad un punto nella mia vita, sia artistica che personale, in cui potevo essere in grado di farcela. O almeno di provarci. Non mi sarei più limitata ad ammirare sognante il lontano, avrei fatto un passo in più, lo avrei reso "Vicino".

     
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    Eravamo tornati da poco a casa dopo la gita a Suna e la tappa a Gyokuro, non era passato nemmeno un mese. Io ero spesso impegnata a scrivere, visto che i lavori per il nuovo disco erano a buon punto, motivo per cui sovente andavo alla sede della UMI per parlare con il direttore artistico o per registrare. Quel pomeriggio ero di nuovo alla scrivania, a cercare di buttare giù tutte le idee possibili per qualche nuovo pezzo. Draig mi aveva dato il cambio da poco, aveva messo a nanna il nostro cucciolotto ed era uscita dunque per fare una passeggiata con Ryuko e Ichibi. All'improvviso suonò il campanello, una cosa inattesa e che mi preoccupò un po', visto il rischio di svegliare e indispettire il piccolo Kiryan. Non capivo bene chi potesse essere, mi venne in mente il postino o altre questioni mondane di questo tipo, non mi sarei certo aspettata di vedere dallo spioncino la figura di Sakura, la donna che mi aveva insegnato la Modalità Obliterazione. Non la vedevo da circa un anno e mezzo, non si era mai fatta sentire e si era dimostrata pressoché irrintracciabile. Non ricordavo con piacere quella figura, per quanto mi avesse aiutato un sacco era comunque una persona scortese ogni oltre limite. E mi odiava profondamente, a quanto pareva.
    B-buongiorno. Come sei riuscita a trovarmi?
    Aprii la porta con cautela e non riuscii a trattenere il disagio che provavo alla sua vista. Lei sembrò percepirlo in maniera chiara, vista la smorfia divertita che mi rivolse. Non aspettò un invito, non rispose alla domanda, si fece largò ed entrò in casa mia. Una volta superatami individuò al volo la posizione del tavolo della cucina e vi si diresse.
    Dovresti saperlo, ragazzina, una Custode deve sempre essere in grado di trovare i membri del clan. Quello è il suo compito. Ci ho messo un po', ma eccomi qui. Ho aspettato che "tua moglie" uscisse di casa, in modo che potessimo parlare con più calma. A quanto pare sei migliorata molto in questo periodo, così ho sentito. Hai portato avanti degli allenamenti sullo Shakuton?
    Erano troppe informazioni, tutte affastellate insieme senza criterio, motivo per cui mi era tutt'altro che semplice capirci qualcosa. E non avevo intenzione di farmi confondere dalla parlantina di quella donna. Attivai l'Occhio della Vita, consapevole che con la sua percezione del chakra era in grado di capire che lo stavo facendo, poi iniziai a porre domande. Stavo iniziando a innervosirmi, ma per fortuna lei capì l'antifona.
    Vedi di stare calma e non partire per la tangente. Come sai sono una Custode e come sai il mio compito è tenere d'occhio i membri del clan, far loro da guida, ma anche accertarmi che non ci sia mai più un Cett. Di solito cercavo di tenere d'occhio le cose nei villaggi, per quello che era possibile dalla segretezza che mantengono, motivo per cui ho trovato tardi una cagna randagia come te. Uno strumento magnifico per il mio lavoro è l'Arena e ringrazio i Sette per la riapertura. Ho un contatto nello staff, un adepto che ha trovato lavoro lì e che si occupa di farmi sapere ogni qual volta un Netsushi partecipa ad una qualche competizione. Così sono venuta a sapere di te la prima volta e così ho scoperto che non ti sei girata i pollici durante questo periodo. Non credo tu abbia bisogno di chissà quali dettagli su questa cosa, dico bene? E per il resto non è stato impossibile trovarti, una volta scoperto che ti eri trasferita e il motivo per cui l'avevi fatto. Alla fine con le mie capacità di percezione era solo questione di tempo prima di riuscire a stanarti, per quanto ti sia fatta cercare per diversi giorni. Ma poco importa, per quanto mi riguarda. Sono qui per offrirti un'occasione unica: visitare il tempio di Anu, la sede dei Custodi, per tentare di capire se sei pronta a ricevere i segreti che furono un tempo quelli di Straff Netsushi. Non credo ci sia bisogno di aspettare ancora per fare il primo tentativo, da quanto mi è dato sentire dovresti essere pronta o sulla strada di esserlo a breve. Sinceramente ci credo poco, non hai la grandezza di animo del nostro fondatore e perdi tempo in cazzate inutili, ma se abbiamo anche solo la minima possibilità di avere un secondo Prescelto dobbiamo quantomeno provare a verificarlo. Adesso che abbiamo chiarito i punti chiave puoi farmi un tè, che c'era una brezza infame su quest'isoletta?
    Aveva parlato a macchinetta, ma non aveva mai mentito. Non era del tutto soddisfacente come spiegazione, quella iniziale, ma era stata la rivelazione finale a mandarmi nel pallone. In che senso avrei potuto essere una Prescelta? Di che tipo di responsabilità mi avrebbe caricato questo ruolo?
    Ma non montarti la testa, ragazzina, niente di tutto ciò. Non intendiamo di certo metterti a capo del nostro clan, anche perché in sostanza non esiste più da secoli come forma organizzata, né tantomeno venerarti come fossi la nuova incarnazione di Straff. Non lo sei e basta, non lo saresti nemmeno con i suoi poteri. Cosa fare con il tuo titolo spetta solo a te, nel caso noi Custodi possiamo offrirti la saggezza che ci viene tramandata da generazioni, questo sarà l'unico nostro ruolo. Ma è inutile farsi pippe mentali se prima non verifichiamo. Io ti ho spiegato tutto, ma cerca di non farti troppe illusioni. E adesso vuoi fare la padrona di casa decente e portarmi un cazzo di tè?!
    Mi diressi alla credenza e iniziai a preparare la bevanda calda, più che altro per darmi un compito pratico con cui accompagnare le riflessioni. Era un momento in cui avevo vari impegni, tra famiglia e lavoro. Non potevo però certo rimandare una cosa così, dovevo decidere se mi interessava o meno subito, in modo da poter agire di conseguenza. E mi resi conto ben presto che non potevo dire di no così facilmente, nonostante tutte le obiezioni che mi venivano in mente. Sarebbe stata un'occasione unica, il resto poteva aspettare. Ovviamente ne avrei dovuto parlare con Draig al più presto, ma prima cercai di raccogliere quante più informazioni possibili. Il posto dove si trovava il Tempio di Anu era un'isola sul Paese del Collo, piuttosto piccola e sconosciuta. L'Occhio del Mondo, così era chiamato in maniera informale questo luogo, era un centro monastico votato alla conservazione della cultura passata e al controllo del clan che un tempo era stato il cuore pulsante del Culto dei Sette. La posizione era sconosciuta quasi a tutti, quindi anche solo rivelare dove si trovava era un segno di fiducia davvero grande. Il rito di passaggio sarebbe stato breve, o almeno Sakura era convinta che fosse così, ma ammise che non aveva mai assistito di persona ad un evento del genere, che era accaduto solo un paio di volte nella storia del Culto, molto addietro nel tempo. Entrambe le volte l'esito era stato negativo, motivo per cui non dovevo mantenere troppo alte le speranze.
    Capito. Ovviamente non posso andarmene senza consultare la mia famiglia, ma sono convinta che saranno dalla mia parte. Io desidero andare. Vorrei parlarne con mia moglie da sola e con calma. Dovrebbe rientrare a breve. Ti chiedo di concederci del tempo.
    Sakura accettò, anche se visibilmente malvolentieri. Chiese di poter riposare nella camera degli ospiti e la diressi laggiù, una volta che finì di sorseggiare la sua bevanda. Draig ritornò poco dopo e capì subito dalla mia faccia che era successo qualcosa di importante, anche se all'inizio pensava avessi soltanto trovato buone ispirazioni per la mia musica. Le raccontai tutto e lei passò dal timore quando nominai la nostra ospite inattesa a una evidente fierezza quando spiegai il motivo del suo arrivo.
    Mi piace! L'ho sempre saputo che sei speciale, ma addirittura un'antica profezia... beh, quando partiamo?


    Organizzare il viaggio non fu difficile e in poco tempo fummo nel Collo. L'isola Kazeshima si trovava nel punto più a nord del Paese, a un paio di kilometri di distanza da un grande promontorio che dominava la terraferma. Era un luogo piuttosto minuto, che ospitava un villaggio di pescatori e dal lieve interesse turistico. L'Occhio del Mondo si trovava poco distante da lì, all'interno di una grande foresta. Era una cosa conosciuta dagli abitanti del villaggio, visto che i sacerdoti si rifornivano da loro, ma sapevano bene che era l'ingresso era strettamente proibito a chiunque non avesse un'autorizzazione esplicita da parte dei Custodi. Noi prenotammo la stanza più grande tra quelle disponibili nelle locande del villaggio, in modo da poter pernottare con tranquillità e un minimo di comodità. I tempi non erano troppo serrati, ci vollero diversi giorni prima di ottenere il permesso di udienza, quindi potemmo goderci un po' la vita da ospiti su quell'isoletta. E fu lì che maturò la scelta di quella che poi sarebbe stata la seconda traccia del mio nuovo disco.





    La traccia iniziava con un leggero crepitio, prima dell'ingresso in scena dell'accordion. Questo strumento era una delle colonne portanti del brano, ma ben presto vennero fuori quelli che erano gli altri due punti focali, il contrabbasso che pulsava in sottofondo ma soprattutto gli inserti di musica elettronica. Erano i frutti del mio interessamento alle novità della tecnologia musicale dell'ultimo momento, ovvero delle forme primitive di calcolatori in grado di creare suoni da zero. Venivano chiamati sintetizzatori e, anche se non capivo per niente come funzionassero, mi ero sin da subito interessata al loro utilizzo.
    U mæ ninin u mæ
    u mæ,
    lerfe grasse au su
    d'amë d'amë.

    La canzone che avevo scelto per questo mio esperimento era una in realtà una cover. Da tempo avevo voluto cimentarmi nel riproporre un brano di uno dei cantautori più importanti della cultura del Continente Occidentale, Faber. Era morto quando io ero piccola, ma conoscevo molto le sue opere, per quanto avesse uno stile abbastanza diverso da quello che poi era diventato il mio. Ma, viaggiando in quella che era stata la sua terra natia, il Collo, mi ero convinta finalmente a fare questo passo e provarci. Avevo scelto un brano poco noto, sentivo di avere più spazio in questo modo per farlo mio.
    Tûmù duçe benignu
    de teu muaè,
    spremmûu 'nta maccaia
    de stæ de stæ.
    E oua grûmmu de sangue, ouëge
    e denti de laete.

    "Sidun" era un canto nel dialetto del Paese del Collo, ma che parlava di un evento lontano nello spazio e nel tempo, sia dalla composizione originale che, a maggior ragione, da me. Raccontava di un evento poco noto avvenuto durante il primo attacco di Orochimaru a Konoha, ormai più di sessant'anni addietro. Un piccolo villaggio del Paese del Fuoco era rimasto coinvolto nelle ostilità ed era stato in sostanza raso al suolo dalle truppe otiane. Il testo era un grido di dolore da parte di un genitore di fronte al cadavere di suo figlio, il "ninin" a cui si rivolge nel primo verso, il quale un tempo era stato un "tumore dolce benigno" di sua madre e che ora non era altro che un "grumo di sangue, orecchie e denti da latte". Adoravo queste immagini così brutali e forti, pugni nello stomaco che l'autore aveva voluto dare per non nascondere la verità più dolorosa all'ascoltatore. Io non ne sarei stata in grado, era anche quella una delle cose che ammiravo così tanto nella musica di Faber.
    E i euggi di surdatti chen arraggë
    cu'a scciûmma a a bucca cacciuéi de bæ,
    a scurrï a gente cumme selvaggin-a,
    finch'u sangue sarvaegu nu gh'à smurtau a qué.
    E doppu u feru in gua, i feri d'ä prixún
    e 'nte ferie a semensa velenusa d'ä depurtaziún
    perché de nostru da a cianûa a u meü
    nu peua ciû cresce aerbu ni spica ni figgeü.

    La voce si faceva più grintosa, per dare carico emotivo a questo nuovo arrangiamento. Il testo in qualche maniera mi toccava da vicino, visto che parlava delle violenze perpetrate da soldati otiani, una singola generazione prima di quella dei miei genitori. Erano costoro a essere come "cani arrabbiati", con la schiuma alla bocca, ad aver provocato così tanto dolore. I ferri delle spade avevano provocato dolore, ma ancora più la deportazione di parte degli abitanti, che aveva lasciato quel povero villaggio, a quanto avevo capito strategico da punto di vista militare, rimasto infine del tutto deserto senza più alberi, spighe o figli, per citare le parole del testo.
    Ciao mæ 'nin l'ereditæ
    l'è ascusa,
    'nte sta çittæ
    ch'a brûxa, ch'a brûxa,
    inta seia che chin-a.
    E in stu gran ciaeu de feugu
    pe a teu morte piccin-a.

    Ritornava infine l'invocazione del protagonista al proprio figliolo, "eredità nascosta" durante la catastrofe e poi perduta con il venire della sera, quando la "luce di fuoco" prende il sopravvento sulla vita. Il verso finale mi aveva sempre dato i brividi e quando lo avevo sentito per la prima volta dopo essere diventata madre la sensazione era stata moltiplicata. Con così poche parole veniva pennellato un dolore vivo, umano all'ennesima potenza. Mi impegnai molto a rendere con la mia interpretazione questi sentimenti, anche se il grosso del lavoro per questo pezzo fu di natura tecnica. Non conoscevo il dialetto del Collo e ovviamente non lo imparai nel poco tempo che mi era concesso, ma dovetti allenarmi parecchio per riuscire a rendere meno strano il mio accento, a migliorare la dizione di queste parole che per me erano quasi straniere. Mi feci aiutare da diverse persone che incontrai sull'isola di Kazeshima, ma soprattutto da un amico di Draig di origine del Collo si era trasferito da anni a Kaiyo. Alla fine, dopo diverso tempo di pratica, raggiunsi un livello decente per la registrazione: probabilmente un madrelingua si sarebbe accorto senza problemi delle mie difficoltà, ma un abitante del Paese del Mare non avrebbe dovuto notare granché. Tutto sommato alla fine potei dirmi pienamente soddisfatta del risultato complessivo, per quanto la mia sperimentazione elettronica fosse stata tutt'altro che ardita. Era un brano ancora parecchio incentrato sugli strumenti normali, avrei osato di più in un'altra occasione. Per il momento mi accontentavo di questo tentativo di rendere omaggio e di fare mio il capolavoro di qualcuno che così tanto aveva dato alla musica mondiale.


    Per la traduzione (e un aiuto alla comprensione) mi sono basato su questa pagina web
     
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    Quando finalmente ottenni il permesso per andare al tempio fu Sakura a venirmi a prendere, per accompagnarmi. Partimmo di prima mattina, visti gli avvertimenti della Custode mi ero preparata a dovere, anche se all'inizio pensavo lei esagerasse nel descrivere quel cammino. Non era così. L'Occhio del mondo si trovava in cima ad una piccola montagna, incastonato come un diamante su un anello. Non esistevano sentieri sterrati per arrivarci, nessuna via costruita da umani per altri esseri umani, solo la natura incontaminata. Impiegammo ore a superare il labirintico bosco alle pendici dell'altura, abitato da bestie fantastiche e timorose. Ogni passo che facevo i miei occhi erano catturati da una pianta rigogliosa o da un animale variopinto. Sakura si muoveva totalmente a suo agio e la invidiai non poco. Non vedevo l'ora di raccontare a Draig le meraviglie di quel piccolo paradiso incontaminato, con le sue insidie e i suoi splendidi scorci. Senza la mia accompagnatrice sarei stata persa e un paio di volte i suoi avvertimenti sgarbati evitarono che commettessi qualche imprudenza.
    Quando il sottobosco si aprì per mostrare la parete rocciosa, quasi verticale, mi sentii per un attimo svuotata. Mi sembrava di aver passato giorni interi nella foresta, lontana dal cielo, mentre ora era di nuovo davanti a me, insieme a quella che pareva quasi una scala per raggiungerlo. Mi sedetti un attimo per riprendere fiato, ma subito dopo vidi Sakura spiccare un balzo e attaccarsi al costone della montagna senza fatica, immaginai con l'ausilio del chakra.
    Muovi quel culone, se non vuoi passare tutta la nottata a scalare. Avrai tempo per riposarti dopo, bamboccia.
    Non attese nemmeno la mia risposta e iniziò ad andare su con passo lento ma sicuro. Piccata dal suo continuo incalzarmi, mi alzai e mi stiracchiai un secondo, poi raccolsi le energie e feci un salto al massimo delle mie potenzialità. Scavalcai la sua posizione e mi aggrappai alla roccia con le mani e soprattutto con il chakra. Lei imprecò e iniziò a sgridarmi. Era stupido fare movimenti così bruschi, rischiavo di far cadere delle piccole frane, oltre che di sprecare energie inutilmente. Inoltre non aveva senso che stessi io davanti, visto che non sapevo dove andare. Chiesi scusa, ero stata in effetti molto infantile e avventata, ma le sue imbeccate acide ogni tanto facevano ancora molto effetto, nonostante avrei dovuto esservi ormai avvezza. Rimasi dunque in attesa che lei mi sopravanzasse e facesse strada. Ci inerpicammo in diagonale lungo la parete, come fossimo due capre di montagna. Il chakra aiutava, ma la fatica era comunque molta. Andammo su per un paio d'ore, seguendo uno schema in apparenza casuale, ma che doveva essere ben vivido nella mente della donna. A metà del cammino potemmo fare una piccola pausa su uno spuntone un po' più marcato. Tracce evidenti di passaggio umano rendevano chiaro che quello doveva essere una sorta di checkpoint rinomato tra chi doveva raggiungere il tempio. Fu una sosta davvero rapida, ma mi aiutò a gestire meglio la fatica e da lì in poi fui in grado di seguire Sakura senza eccessive difficoltà. Lei sembrava una macchina da guerra, non mostrava nemmeno un accenno di fatica, impassibile come una statua antica. Tenendo a frena l'invidia e la voglia di ribattere alle sue malignità resistetti fino alla cima. Tempo una decina di minuti di cammino e arrivammo infine al cospetto del tempio, un'edificio largo ma basso, quasi fuso con la natura intorno. Più avanti scoprii che aveva una forma perfettamente ellittica, che si estendeva su gran parte dell'altopiano lassù, creando una struttura molto estesa. Una volta aperto il portone, dall'aspetto antichissimo, come del resto tutto il resto dell'edificio, mi ritrovai immersa in un salone stretto ma finemente arredato, seppur con gusto tutt'altro che moderno. Ad accogliermi furono cinque persone, tutte vestite come Sakura. Erano gli altri Custodi, ma diversamente da quanto mi aspettavo, un paio di loro erano parecchio giovani, un ragazzo persino più di me. A prendere la parola fu però il più anziano di tutti, un uomo sulla settantina e dall'aria fin troppo vispa per la sua età.
    Sette benedizioni, sorella Aiko. Abbiamo sentito molto parlare di te. Benvenuta nell'Occhio del Mondo. Suppongo che sarai molto stanca, la risalita richiede un tributo di energie notevole, per chi non è avvezzo a tali imprese, anche nel caso di guerrieri di comprovata esperienza. Abbiamo preparato una stanza per te, nell'ala occidentale, fratello Yumi ti condurrà a fare un breve giro dell'edificio e poi ti sarà concesso di riposare. Tra due ore ci sarà pranzo nel refettorio. Farai una volta la prova nel primo pomeriggio, se dovesse dare esito negativo ritenteremo domattina sul presto. Nel caso avessi dubbi esprimili pure senza remore, le visite qui sono estremamente rare e siamo a tua totale disposizione.
    Ringraziai con un inchino e mi feci accompagnare dal più giovane dei confratelli per i corridoi in penombra del tempio. Oltre alle varie stanze di servizio, lui mi mostrò varie porte, che conducevano a innumerevoli archivi, ognuno dei quali conteneva miriadi di rotoli e libri. Laggiù era contenuta tutta la sapienza che i Custodi tramandavano sin dall'alba dei tempi. Alcune stanze erano dedicate alla storia del Credo Militante, altre agli eventi di portata mondiale, un buon numero ospitavano testi della teologia fondamentale del Culto dei Sette, in un'altra c'erano i resoconti dell'osservazione diretta o indiretta dei Netsushi che erano riusciti a trovare. Fratello Yumi mi rivelò che c'era persino una pagina dedicata a me, a quello che si sapeva della mia vita, cosa che un po' mi inquietò, per quanto mi fidassi del Credo. Una volta arrivata alla stanza mi fu data una chiave e mi fu chiesto di non avventurarmi troppo nel resto del tempio. L'interno della stanza sembrava una semplice cella monacale, anche se, rispetto a quella in cui avevo abitato per qualche mese, nel Tempio Ettagonale del Paese dell'Artiglio, pareva quasi lussuosa, vista la presenza di un letto dall'aspetto morbido. Mi feci rapire dalla sua comodità e dormii fino a che non mi vennero a chiamare per il pranzo. La frugalità fu la cifra anche del pasto, ma fu molto piacevole la compagnia. I Custodi erano un gruppo eterogeneo, ma tutti avevano un carattere forgiato dagli anni di studio e di indipendenza economica. Padre Kora, l'uomo che mi aveva accolta, veniva da una famiglia nobile del Fuoco, ma nonostante vivesse nel tempio da ormai mezzo secolo aveva mantenuto un'austera cordialità e un vivido interesse per il mondo. Sorella Nana era l'unica altra appartenente al clan Netsushi oltre a Sakura, ma era tutto l'opposto di lei, visto che era gentile e sincera, oltre che priva di qualsiasi capacità nell'uso del chakra e dello Shakuton. Essere Custodi richiedeva un sacrificio notevole, visto che bisognava rinunciare a molti dei piaceri della vita, ritirarsi lontani dal resto del mondo per poterne conservare la conoscenza da tramandare ai posteri. Era necessario lavorare numerose ore ogni giorno, in parte ai campi e in parte sui libri, tenendo così attivo sia fisico che mente, motivo per cui erano tutti così vispi a dispetto dell'età avanzata di alcuni di loro. Non era uno stile di vita che faceva per me, ma loro sembravano averlo adottato con passione. L'unica pecora nera era appunto Sakura, ma gli altri mi assicurarono in più occasioni che sapeva anche essere gentile e premurosa con loro tanto quanto era esigente e aggressiva nei confronti degli altri.
    Una volta finito il pasto ci prendemmo una mezz'oretta per digerire, poi fu il momento del rituale. Tutta la tensione che ero riuscita a tenere lontana fino ad allora mi balzò addosso con veemenza nel momento in cui entrai nella stanza di Straff. Si trattava di una piccola cella, dove si narrava avesse vissuto per anni il Fondatore, da giovanissimo, prima di tornare nell'Artiglio per fondare e guidare il Credo Militante. Non era più abitata, c'erano vari altari che coprivano la piccola superficie del locale. Proprio su uno di essi si trovava una grande sfera, delle dimensioni di una di quelle di Vapore Assassino, ma dal colore quasi più simile ad una gigantesca perla. I Custodi si misero in semicerchio attorno a me, mentre io avanzavo verso l'oggetto che avrebbe stabilito il mio destino, traballando come un budino umano. Avevo ricevuto già istruzioni a riguardo, quindi poggiai la mano sulla sfera e aspettai le parole di fratello Kora.
    Sommo Anu, che dal cielo ci guidi e ci fornisci frammenti della tua immensa saggezza, mostraci la via. Ti prego, indicaci se sorella Aiko della famiglia dei Netsushi potrà essere l'Erede dei poteri del santo Straff, fondatore del Credo Militante e padre dei Custodi dell'Occhio del Mondo. Noi, tuoi umili servitori per la vita intera, attendiamo in silenzio un tuo segno rivelatore.
    La parola finale era quella pattuita e quando la udii iniziai a concentrare chakra nell'oggetto. Il gelo calò nella stanza per diversi minuti, ma non sembrò succedere assolutamente niente. Cercai di muovere l'energia, sfruttando tutto il mio repertorio di esercizi di manipolazione e controllo del chakra, ma senza successo. Come da piani dopo un quarto d'ora, che parve durare un'eternità, fratello Kora dichiarò concluso il primo tentativo. Vidi illuminarsi il volto di Sakura di un breve sorrisetto goduto, ma tutti gli altri sembravano piuttosto delusi da questa scoperta. Io invece mi scoprii sollevata da tale esito negativo. Avevo paura che le cose sarebbero potute cambiare, avevo paura delle responsabilità che sarebbero potute derivare da un eventuale successo.
    Le ore successive le passai accompagnando i Custodi, a volte a gruppetti mentre in altri casi tutti insieme, nelle varie attività a cui si dedicavano quotidianamente. Il lavoro nei campi, lo studio sui libri, la preghiera e la contemplazione. La cena fu ancor più parca dell'altro pasto e dopo di essa la giornata era considerata terminata. Vista la fatica e le tante emozioni non ebbi alcuna difficoltà ad addormentarmi, tanto più che era prevista la sveglia quasi all'alba. Ancora una volta la colazione fu un momento di ritrovo collettivo, poi dopo la preghiera mattutina ci spostammo di nuovo nella stanza di Straff. Questa volta ero molto più tranquilla, visto che sembrava una pura formalità. Fratello Kora recitò le parole e io smossi il mio chakra, cercando di riversarlo dentro l'oggetto in maniera non troppo convinta.
    Ma cosa?! Non dovrebbe fare così!
    Fu grazie alla voce del giovane fratello Yumi che mi accorsi che qualcosa si stava smuovendo. La sfera si stava colorando di un rosso vivo, con una sfumatura molto simile a quella delle mie tecniche di Vampa. Al tatto stava inoltre diventando calda, ma non in maniera eccessiva. La lucentezza dell'oggetto sacro aumentò di intensità per un minutino circa, lasciando tutti a bocca aperta, poi si spense. Era un comportamento non previsto, che nessuno seppe come considerare. La sfera avrebbe dovuto sollevarsi e posizionarsi di fronte a me, poi la sua luce avrebbe dovuto esplodere nei dintorni, rendendo dunque chiaro il risultato. Il fallimento invece era sempre stato accompagnato dalla mancanza totale di reazione della grande perla, come del resto mi era successo il giorno precedente. Rimasi anch'io sbigottita, cercando di capire dalle reazioni dei Custodi cosa stesse succedendo, ma le loro espressioni mi confusero ancora di più.
    Che succede?






    Il brano successivo del disco era il primo di un gruppetto di pezzi strumentali, che completava la natura diversa di quest'opera rispetto a quelle precedenti. Partiva con un giro di pianoforte molto grintoso, che rappresentava il nucleo della melodia e che sarebbe stato centrale in tutta la composizione. Di accompagnamento si mantenevano gli archi, per dare spessore musicale. Era il pieno compimento dei miei studi di orchestrazione, visto che per la prima volta in questa canzone usavo così tanti strumenti per qualcosa che non sarebbe stata una colonna sonora, ma un pezzo originale. La melodia principale si ripeteva per un minutino, in un crescendo quasi impercettibile, finché il piano intervenne con un secondo giro di note, questa volta più acute e quasi giovali, per rendere più chiara l'atmosfera malinconica che permeava tutta la struttura musicale. Di lì iniziarono a intervenire gli altri strumenti, prima gli ottoni, poi un flauto traverso, che con poche volute portò il pezzo verso un primo climax in cui il pianoforte si interruppe un attimo, lasciando spazio al resto dell'orchestra. In particolare archi e ottoni cambiarono tono alla musica, pennellando un'aria di festa per alcune battute. Poi intervenne un coro, che danzò insieme agli altri strumenti per deviare il corso della melodia e reintrodurre un velo malinconico e di alto patetismo. Questa parte era ispirata in maniera particolare alla musica orientale, a quello che mi avevano raccontato Draig e Karril. Del resto il pezzo era dedicato a tutti i padri lontani e perduti, ma in particolare lo era a quello di mia moglie. Era stato a partire dai suoi racconti di infanzia che mi era venuta questa ispirazione, che avevo scelto di provare a comporre un pezzo così ambizioso. Senza parole, perché sentivo di non averne bisogno.
    Coro e orchestra arrivarono ad un climax di grande potenza, al termine del quale ritornava la melodia principale del pianoforte e il suo accompagnamento più leggero e semplice. Poi un nuovo cambio di passo, una leggera modifica al ritmo e al tono delle note di piano per permettere un incalzare, aiutato anche da un ruolo maggiore delle percussioni, fino a che non ci fu di nuovo un piccolo stop. Venne dunque il momento di frasi musicali lunghe, con note tenute dal coro, per creare un'aurea di sospensione. Mi ero ispirata alla nebbia della brughiera del Paese dei Vegetali, a quello che mi aveva raccontato Draig del suo luogo d'origine. Mi ero immaginata suo padre fermo nella foschia, che si stagliava come un eroe tragico che dava l'addio al mondo e alla sua piccina, prima di sparire nella foschia del suo eterno riposo.
    Iniziò a questo punto la parte che più preferivo, l'arrivo delle tre note di piano che martellavano su questo sottofondo evocativo, allusive come fossero dei puntini di sospensione. A pause ritmate si ripetevano e poco dopo intervenne con vigore un violino solista, a imitare la melodia principale. Poi ad esso si unì il coro; danzarono, si intrecciarono, si rinvigorirono a vicenda, mentre il pianoforte continuava in questi suoi passi scanditi, ritmati. Erano semplici, ma mi davano la pelle d'oca e speravo potessero fare lo stesso effetto a tutti gli ascoltatori. Erano poche e non erano certo complicate, ma erano frutto di uno studio quasi maniacale.
    La musica andò a concludersi in poche battute, una volta raggiunto il picco emotivo. Ero soddisfatta di come ero riuscita a dare vita alla malinconia di un addio così importante come quello al proprio padre, però non sapevo come avrebbe reagito il pubblico. Quando avevo proposto l'idea sia Juan che il direttore artistico del progetto avevano storto un po' il naso, visto quanto era diverso dal tipo di musica a cui avevo abituato i miei ascoltatori, ma alla fine sembrarono cambiare idea una volta terminata la registrazione. Il parere a cui più tenevo era però quello di Draig e le sue lacrime di commozione valsero più di mille parole. La mia musica l'aveva raggiunta. In un momento come quello, di cambiamento e di lotta quotidiana, in cui lei mi supportava con tutte le sue energie e il suo amore, mi rendeva fiera essere riuscita a toccarle il cuore una volta di più, trasformando in arte alcuni dei suoi sentimenti più segreti. Anche in un disco così particolare lei rimaneva il centro della mia poetica, quello non sarebbe cambiato mai.


     
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    C'era voluta qualche ora di discussione perché i Custodi potessero interpretare il responso della sfera. Nel mentre io mi ero immaginata una quantità notevole di scenari possibili, alcuni dei quali molto spaventosi. Uno in particolare, però, mi sembrava quello più probabile e la mia intuizione si rivelò corretta quando padre Kora venne a comunicarmi la decisione dei Custodi.
    Ci dispiace non avere una risposta sicura per te, sorella Aiko. Gli scritti antichi parlano dei fallimenti dei confratelli che hanno tentato la sorte e dell'unico successo, del Fondatore. Egli aveva già ottenuto i poteri quando ha compiuto il rito, quindi potrebbe darsi che in tutto questo tempo noi abbiamo interpretato in maniera scorretta il suo significato. Il risultato ottenuto da lui potrebbe indicare il possesso attuale delle abilità da Prescelto, non la capacità di ottenerli. Tale possibilità potrebbe corrispondere invece a ciò che è accaduto a te, sorella Aiko. Non ne abbiamo prove, quindi la tua esperienza potrebbe riscrivere la storia come l'abbiamo sempre conosciuta. Due strade si aprono davanti a te, a questo punto, ma sospetto che una ti sia impraticabile. Io suggerirei che tu resti qui e ti alleni sotto la nostra supervisione, ma al tempio non potrebbe vivere anche la tua famiglia. La nostra guida potrebbe fare la differenza, ma suppongo che tu non possa abbandonare per un lasso di tempo non noto tutto ciò che hai costruito per la tua vita. Suppongo dunque che preferiresti provare a ottenere il medesimo risultato per conto tuo. Non possiamo opporci a questo tuo eventuale desiderio, solo offrire la nostra conoscenza come tuo strumento, permettendoti di accedervi in qualsiasi momento. Ti lasceremo un recapito a cui potrai contattarci, per quanto non sarà mai rapida come comunicazione. Inoltre ti garantiamo la libertà di accesso all'Occhio del Mondo ogni qual volta ne sentirai la necessità, previa notifica con dovuto anticipo. Ti sembra una sistemazione confacente alle tue necessità, sorella Aiko?
    Non mi aspettavo tanta comprensione. Avevano discusso e riflettuto con un'attenzione encomiabile sulla mia situazione, prendendo in considerazione la mia vita senza giudicarla. Avevano analizzato i testi antichi e formalizzato un'ipotesi ragionevole, trovato una soluzione fattibile e infine proposto un punto di incontro tra le loro esigenze e le mie. Li ringraziai infinite volte, lodando la loro saggezza e generosità. Promisi che avrei fatto tutto il possibile per dare prova che loro avevano ragione e che li avrei tenuti aggiornati. Si respirava un clima teso e speranzoso, in quei momenti, da cui mi ero fatta contagiare anch'io. Restai fino a pranzo, condividendo con quelle persone l'eccitazione che si prova di fronte ad una scoperta fino a quel momento ritenuta impensabile, poi finalmente potei ritornare al paesino sotto e ricongiungermi con Draig e i piccoli. Avevamo tanto di cui parlare.


    I mesi successivi furono pieni di lavoro, su più fronti. La gestione dei nostri bimbi richiedeva una quantità di energia enorme, visto quanto erano piccoli. Eravamo però una macchina collaudatissima e riuscimmo a gestire la loro crescita in maniera corretta, a mio avviso. In parallelo si stava muovendo finalmente il progetto che io e Draig avevamo ideato, la scuola di arte da gestire insieme. Era più lei a occuparsi delle questioni pratiche, mentre io stavo raccogliendo adesioni da parte di amici dell’industria, alla ricerca di quanti più collaboratori possibili. Tutto ciò rallentò il progresso del disco, ma non ne ero troppo preoccupata. Nessuno mi correva dietro, persino il presidente Nappa sembrava aver accettato l’ormai inevitabile ritardo con cui la mia opera si sarebbe completata. In tutto ciò restava un altro progetto, un altro di quelli senza urgenza, ma a cui davo una certa priorità morale. Gli eventi accaduti nell’Occhio del Mondo mi ritornavano sempre in mente e dovevo cercare di ritagliare ogni giorno qualche momento per allenarmi e pianificare il lavoro sulla Vampa. A volte era solo mezz’ora in cui manipolavo le mie sfere di Vapore Assassino, facendole girare in lungo e in largo sulla spiaggia solitaria vicina alla mia abitazione, alla ricerca di una sensazione diversa. Altre volte, quando il tempo a mia disposizione era minore, semplicemente provavo a investire una quantità di chakra maggiore e a forzare la settima sfera con protervia ignoranza, nella speranza di notare qualche cambiamento anche solo nel modo in cui il mio corpo reagiva alla cosa. Quando invece potevo dedicare a tali esperimenti più energie mi avvalevo del Sigillo di Calore, del secondo scaglione, quello che una volta attivato permetteva di aumentare il numero di sfere manipolabili. Purtroppo anche quello era un vicolo cieco, mi permetteva di arrivare alla settima stella di Vampa ma senza un reale cambiamento delle mie capacità. Il piano di scoprire qualche differenza intrinseca e replicarla al di fuori della Modalità Obliterazione non era fattibile. Mi sorprese trovarmi a sbattere la testa contro un muro, in apparenza inamovibile. Mi venne il dubbio che il rito potesse aver sbagliato, ma nonostante esso si facesse sempre più strada in me non avevo certo intenzione di mollare.
    Se la soluzione fisica al problema non sembrava esistere, dunque, non restava che provare a trovarne una teologica. I poteri di Straff derivavano direttamente dai Sette Dei, lui era il Prescelto. E io? Io non mi sentivo tale, mi sembrava di essere la solita me stessa, con i miei difetti e le mie debolezze. Le avevo accettate, avevo raggiunto una maggiore consapevolezza di me stessa, ma di fronte a quella novità mi sentii tentennare. Era un discorso che non avevo voluto affrontare, per mesi lo avevo ignorato, di ritorno dall’Occhio del Mondo, ma vista la mancanza di risultati per altre vie mi sentii in dovere di provare a indagare anche quello. Ne parlai con Draig, per avere un parere esterno da una persona atea. Era un discorso delicato per noi due, che poteva portare alla luce tutte le nostre differenze, ma ero fiduciosa nella solidità del nostro rapporto.
    Prescelta… non capisco nemmeno cosa si potrebbe intendere con questa parola. Se davvero gli Dei avessero scelto te lo avrebbero fatto con un qualche obiettivo, ma quale potrebbe essere? Guidare il clan? Hai detto tu stessa che non esiste più da secoli, in una forma degna di questo nome. Creare un nuovo Credo Militante? Nella situazione politica attuale sarebbe rischioso e secondo me semplicemente impossibile. Difendere tutto e tutti dal male? Anche con i poteri che aveva il vostro Fondatore da sola non ci riusciresti.
    Credo che non dovresti dare tanto peso a tale titolo, ma forse la via religiosa può essere quella giusta. Potresti provare a indagare il significato spirituale dei tuoi poteri, del resto mi pare che Sakura avesse parlato di qualcosa del genere, da quello che mi avevi riferito. Anche se non posso capire fino in fondo quello che significa per te, io ti sarò sempre vicina. Quando mi sono scelta come compagna di vita una sacerdotessa sapevo a cosa andavo incontro, quindi non avere problemi a chiedermi appoggio o aiuto, sai che farò sempre quello che posso per te. E quando non so come farlo te lo dico chiaro e tondo. Sono schietta e sincera, oltre che una sventola, lo sai bene, no?

    Come sempre scelse di concludere un discorso serio e ben costruito con una battuta. Aveva senso, era perfetto per mantenere il suo equilibrio, la sua identità di guascona, anche nei momenti più impegnativi, senza però che questo fosse di intralcio alla maturità del suo pensiero. Le sue parole furono importanti per me, mi diedero spunti di riflessione diversi. Lei era riuscita a intuire quanto fossi pressata dal peso di una responsabilità improvvisa e di cui non capivo il significato, quindi la razionalizzazione che lei aveva eseguito mi aveva aiutato a ripartire da terra, a non costruire castelli in aria senza avervi posto nemmeno uno straccio di fondamenta. Ancora una volta dimostrava di avermi capita ancora più di quanto facessi io stessa.
    Nei giorni successivi ebbi modo di riflettere su ciò che mi aveva detto e capii che l’unica soluzione era studiare, cercare di capire di più sull’origine dei miei poteri, sulla loro natura divina. E c’era solo un posto in cui potevo farlo, il luogo in cui quella parte della mia vita era iniziata, il Tempio Ettagonale del Paese dell’Artiglio.


    Non era la prima volta che ritornavamo, ogni tanto capitava ed era sempre un piacere. Il piccolo Kiryan non era mai venuto nella terra dei miei antenati, quindi fu anche l’occasione di presentarlo a tutti quanti, tra cui anche ai sacerdoti del Tempio. Bajirio e gli altri mi accolsero a braccia aperte come al solito, fu occasione di festa per tutti.
    Draig si godette una piccola vacanza e accettò con piacere quella pausa dal tran tran quotidiano, mentre i piccoletti sembrarono felici del cambio di scenario. La primavera rendeva il Paese uno spettacolo di fioriture e ritorno alla vita. Non il tempo migliore per rimettersi sui libri, ma il parallelismo con quattro anni prima mi aiutò a rimanere concentrata. Era come un tuffo nel passato, per quanto fosse passato così poco mi sembrava una vita del tutto diversa. Ripetere le stesse preghiere di tempo addietro, ma con una diversa consapevolezza, parlare con dei confratelli con cui avevo condiviso tanto… tutto ciò mi aiutò a completare quel percorso iniziato con le parole di mia moglie, a trovare la mia strada. Gli Dei non mi avevano affidato nessun compito, non ero investita di un dovere divino di nessun tipo. Mi avevano benedetto con una opportunità, mi avevano dato la possibilità di raggiungere la grandezza e di decidere poi cosa farne, se avessi avuto successo. Dipendeva tutto da me, era sempre stato così. Gli Dei non vivevano la vita al posto degli uomini; li guidavano, consigliavano, proteggevano o punivano, a seconda del caso. Era un accompagnamento, non una sostituzione. Rendermene conto fu la liberazione di cui avevo bisogno.
    Somma Bikira, Protettrice dell’esistenza terrena, donami vitalità nel mio percorso quotidiano.
    Sommo Bayam, Custode dell’oltretomba, guidami in questo tempo che mi concedi in questo mondo.
    Somma Nate-pite, Diletto del mondo, sostieni, fortifica e contieni i miei sentimenti torrenziali.
    Somma Deiana, Cacciatrice implacabile, aiutami ad attraversare la notte senza pericoli e terrori.
    Somma Make, Madre della terra, illumina con la tua luce divina ciò che creo e desidero creare.
    Somma Saori, Combattente della giustizia, mostrami la via per mantenere degno il mio cuore e le mie mani.
    Sommo Anu, Saggezza celeste, sorvegliami con amore paterno e risvegliami se erro nel cammino.
    Io, umile serva umana, mi concedo e affido con tutta me stessa ai Sette Dei, possa il Loro regno essere sempre forte e saldo.

    Ripetere queste parole, che tanti prima di me avevano pronunciato, proprio sull’altare principale del Tempio, creato e solcato dai miei antenati, fu il suggello della mia rivelazione. Pian piano in me si faceva strada la gioia del dono che mi era stato fatto, la speranza di poterne essere all’altezza. Al resto ci avrei pensato dopo, le pressioni e le paure avrebbero trovato spazio un altro momento, potevo non darci importanza ora. Quella libertà era ciò di cui avevo bisogno e fu proprio grazie ad essa che sentii per la prima volta la sensazione giusta. Quella che il mio corpo mi faceva provare ogni qual volta la possibilità di un miglioramento si apriva. Non avevo ancora sbloccato la settima sfera, ma avevo sbloccato la possibilità di sbloccarla. E questo era il primo passo di cui avevo bisogno.


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