Lontano | Livello D

Partecipanti: Aiko Netsushi | QM: Utino (Autogestita)

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    Un po' da qui e un po' da là

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    Una musicista incostante, vulcanica, impegnata in molte altre imprese, ma allo stesso tempo capace di sfornare lavori a ritmo abbastanza sostenuto. Il presidente Nappa avrebbe preferito un'associata più regolare, ma ha imparato ad accettare i punti di forza della sua collaborazione con Aiko. Un patto implicito vige tra loro: la casa discografica accetta il suo impegno discontinuo, purché lei sia in grado di produrre risultati. Il 219 è risultato essere di sicuro un buon anno per Fukusha, ma la ragazza saprà ripetersi o finirà per essere una delle tante comete che attraversano il panorama musicale?
     
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    Il cuore batteva martellante come il ritmo dell'accordion. Sapevo di non avere speranze, ma la parte meno razionale di me non voleva arrendersi a quell'evidenza.
    E il vincitore è...
    Chiusi gli occhi e tenni stretta stretta la mano di Draig, seduta vicina a me. L'annunciatore aprì con lentezza esasperante la busta e disse un nome. Non il mio. "All'alba sorgerò". Sapevamo tutti avrebbe vinto quella canzone. Non era soltanto estremamente bella, aveva avuto un impatto mediatico senza pari.
    Mentre i due compositori salirono sul palco mi sentii invasa da malinconia, ma durò poco. Avevo lasciato la mano di mia moglie per applaudire e sentii poco dopo il suo tocco gentile sulla spalla. Mi girai, facendole un sorriso da bambina, al che lei ridacchiò e mi spettinò i capelli con una lieve carezza. Fu il massimo che ci concedemmo, non era il momento delle effusioni. Ci trovavamo tra la platea, nel teatro più grande di Gyokuro, Paese del Tè. Quella non era una serata qualsiasi, quella era la serata degli Oscar, del maggiore riconoscimento cinematografico del mondo. E non era un caso che io ero lì. Ero stata invitata, in quanto una mia canzone "Gocce di memoria", era stata candidata tra le migliori canzoni originali per un film. Un onore che non pensavo possibile. Quando avevo visto gli altri nomi in concorso non mi ero fatta illusioni, ero l'ultima arrivata e c'era un cavallo che tutti davano per vincente, io stessa. Avevo passato giorni con quella consapevolezza, però, nel momento in cui veniva dato l'annuncio, improvvisamente avevo sentito il peso della situazione. E, di conseguenza, della delusione per il risultato. Una persona può essere razionale quanto vuole, ma certe emozioni non si possono controllare. E io non ero mai stata troppo brava a farlo.
    Al termine della lunga cerimonia ebbi modo di parlare con Juan. Lui mi fissò con aria compiaciuta, raramente lo avevo visto così divertito.
    Volevi vincere.
    La frase mi colpì più del dovuto. A quanto pareva era piuttosto evidente. Mi sentii in colpa per quel sentimento, mi sembrava pura e stupida vanità, ma risposi comunque di sì. Era vero e non potevo negarlo.
    Musicalmente sei ancora agli inizi, la tua carriera è giovane. Questa candidatura potrebbe essere uno slancio ancora maggiore oppure il punto più alto che raggiungerai. Ho visto tanti artisti e ho visto tante comete. Stai andando meglio di quanto avrei detto all'inizio, ma ora riesco a vedere un buon futuro per la tua musica. Però dipende tutto da te. Sei in grado di battere il ferro finché è caldo?
    Annuii soltanto, determinata. Non mi piaceva sentirmi così, non mi piaceva quell'invidia, ma zittii la parte più critica di me dicendo che non era così sbagliata. Invidiavo "All'alba sorgerò" non per la fama e nemmeno per quel premio in se stesso. Non era quello che desideravo, in cuor mio sapevo che era così. Quella canzone aveva toccato i cuori delle persone, aveva ispirato migliaia di ragazzine e forse anche più. La mia no. O meglio, di meno, altrimenti non saremmo stati lì. Del resto c'era la mano di un grande artista Mokoto Sensou, l'altro autore del pezzo, e la mia esperienza personale aveva reso quella canzone una piccola gemma, all'interno della mia carriera. Era stata probabilmente il meglio che avessi prodotto fino ad allora. E il mio meglio non era stato abbastanza. Non mi ero mai sentita così spronata a fare di più.
    Credo di avere abbastanza materiale pronto per un nuovo disco. Entro lunedì ti farò avere un progetto completo e mi dirai cosa ne pensi.
    Il suo sorriso fu la risposta migliore. Ero di nuovo in ballo, ormai.
    I giorni successivi furono molto intensi. Scrissi come una matta, cercando di dare una forma al marasma che mi frullava per la testa. Arrivai al giorno previsto con un cumulo di fogli disordinati e stropicciati. Juan si accigliò parecchio, ma diede un'occhiata lo stesso. Il disco iniziava con "E il vincitore è...", un pezzo chiaramente ispirato al mio stato d'animo durante la cerimonia di premiazione. Richiamava in maniera diretta "Come finirà", l'ultima canzone del mio primo disco, "Musica senza catene". Quasi una versione solo strumentale di quel pezzo. La traccia successiva era invece "Gocce di memoria", avevo intuito che potesse fare da traino al resto, vista la risonanza avuta con la candidatura all'Oscar. Dopo questi due pezzi si entrava nel vivo del disco, con i nuovi brani.
    Vedo che il tuo viaggio nel Paese della Luna ti ha ispirato particolarmente. Molto bene, sono curioso di vedere cosa tirerai fuori. Sembra una roba strana, ma potrebbe funzionare.


    Edited by GIIJlio - 16/4/2020, 17:16
     
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    Partirono tutti insieme, chitarra, pianoforte e batteria. Un ritmo lento, quasi dolce. Poche battute, prima che si unisse anche la voce.
    Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere.
    Dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare.
    E avere la pazienza delle onde di andare e venire...
    ricominciare a fluire.

    La cadenza tranquilla rimase tipica anche della parte vocale, quasi fosse una filastrocca. Sin da subito il tema del pezzo uscì chiaro e tondo: la natura e i suoi tempi. La quiete e la compostezza che tutta la vita attorno a noi umani manteneva nonostante la nostra frenesia, nonostante tutto quello per cui lottavamo e che cercavamo di fare. Gli allenamenti con Sakura, quelli finalizzati a stimolare la mia empatia con il mondo, avevano lasciato una traccia in me, mi avevano aperto la mente. Il rapporto con la realtà attorno a me era cambiata. Volevo cercare di dare voce alle sensazioni che avevo provato in quei momenti di ricerca, allo stupore per la scoperta di come fossimo piccoli di fronte all'avanzare del mondo, come formichine che lavoravano senza rendersi conto della realtà più grande. Presi dai nostri impegni, dalle nostre paure, dalle nostre battaglie, incapaci di lasciarci andare e accettare i ritmi della natura. Della vita. Della morte. Quello che volevo provare a scrivere con quel testo era proprio quello, un invito a riscoprirsi esseri naturali, al di fuori delle nostre costruzioni sociali e artificiali.
    Una nave passa veloce e io mi fermo a pensare
    a tutti quelli che partono, scappano o sono sospesi
    per giorni, mesi, anni
    in cui ti senti come uno che si è perso
    tra obbiettivi ogni volta più grandi.

    Mi era capitato più volte di sentirmi così, ancora di più nell'ultimo periodo. La vita familiare, i doveri da Sacerdotessa, quelli da guerriera e il mio lavoro alla UMI... c'erano stati momenti in cui mi ero sentita schiacciare da incombenze e impegni. Del resto era tutto parte della vita, ma tutto si ridimensionava quando prendevo coscienza del fatto di quanto ero piccola e di quanto il mondo andasse avanti anche senza di me. Potevo ritagliarmi il mio spazio, costruire il mio nido e fare quel che potevo per gli altri, senza che questo mi opprimesse. Non era facile, ma mi impegnavo perché fosse così.
    Succede perché
    in un instante tutto il resto diventa invisibile,
    privo di senso e irraggiungibile per me,
    succede perché fingo
    che va sempre tutto bene,
    ma non lo penso
    in fondo.

    Un piccolo picco di energia si sprigionò in quel momento, in corrispondenza di quella sorta di ritornello. Non a caso fu il punto in cui il violino prese il centro della scena, a livello strumentale, per quanto cercassi di arricchire di sfumature la mia arte alla fine mi piaceva tornare alle origini nei punti chiave. Dopo quel breve scoppio la musica tornava più lenta, riflessiva senza essere tetra, e il violino scomparve di nuovo.
    Torneremo ad avere più tempo e a camminare
    per le strade che abbiamo scelto, che a volte fanno male,
    per avere la pazienza delle onde di andare e venire,
    non riesci a capire?

    Dopo la piccola epifania del ritornello, l'io narrante si ritrovava a riprendere la sua vita quotidiana, che richiedeva i soliti sforzi e dava le solite dosi di gioia e dolore. L'invito non era fuggire dalla normalità, non era abbandonare responsabilità e tornare alla natura pura, bensì accettarci nella nostra duplicità. In quanto umani eravamo da sempre sia esseri sociali e politici, sia esseri naturali e istintivi. Ritrovare la gioia dei ritmi lenti della selvaticità era un regalo che potevamo farci, per rendere più gestibile la pressione della quotidianità artificiale che ci eravamo costruiti.
    Succede perché,
    in un instante tutto il resto diventa invisibile,
    privo di senso e irraggiungibile per me,
    succede anche se
    il vento porta tutto via con sé,
    vivendo;
    ricominciare a fluire,
    ricominciare a fluire,
    ricominciare a fluire,
    ricominciare a fluire.

    Quel crescendo di emozioni toccò il suo picco rapido, prima di discendere verso la nuova quiete. Un dolce invito a tutti a prendere tempo, a lasciarsi andare. A vivere. Il violino danzò piano, attorniato dagli altri strumenti, mentre la mia voce ripeteva quell'indicazione gioviale. Pian piano la musica si sciolse, fino a che non giunse il silenzio, che preparava al prossimo pezzo.



    Una nota acuta e prolungata di flauto fu il segnale di inizio del pezzo. Lievi percussioni facevano da sottofondo, mentre la chitarra con pochi e oculati accordi dava il ritmo a tutto quanto. Un ritmo dolce e calmo, che sapeva di spazi aperti e di libertà. Era dedicato al deserto, ai Sabakuyoru, alla loro gentilezza e al tempo passato in quel posto così diverso da tutto il resto. Lontano.
    Hai negli occhi foto di polvere e tramonti,
    di tappeti stesi, di tende e di silenzi,
    di casbah e di mercati,
    di navi per terre straniere,
    di piedi scalzi nei vicoli di Algeri.

    Il testo era alla seconda persona e il titolo rendeva chiara la dedica. Suad era una bambina di laggiù, aveva appena una decina di anni, ma aveva lo sguardo vispo e un sorriso malandrino. Era la migliore amica di Nayra, anche se lei pareva non aver capito che la ragazzina non era un maschio. Del resto aveva tratti un po' androgini, non aveva ancora pienamente sviluppata la sua femminilità, ma sospettavo che sarebbe diventata una splendida donna.
    Hai il profumo dolce dell'erba e dell'incenso,
    di bracieri accesi che brillano d'inverno,
    di ebano e di spezie
    e di sabbia portata dal vento,
    di palme cresciute alla luce dell'Occidente.

    Nella seconda strofa la chitarra era stata accompagnata da note vibranti di accordion, che diedero spessore alla melodia e in qualche maniera cercarono di imitare i suoni tipici della musica tradizionale del deserto. Non avevo fatto ricerche approfondite quanto avrei voluto, ma quello era ciò che avevo percepito, che avevo assimilato. In sottofondo avevo riprodotto i rumori di un temporale in arrivo, grazie al mio Rotolo del Suono. Del resto era stato proprio in un'occasione del genere che ci eravamo conosciute, un piccolo scroscio estivo durato poco o niente, ma preannunciato da questi tuoni maestosi in lontananza. Uno dei tanti ricordi di quel viaggio che portavo caro nel mio cuore, insieme alle tante belle persone incontrate, così come insieme ai dolori e ai terrori provati in quelle battaglie, che ormai sembravano quasi lontanissime.
    La tua voce parla di caldo e di colori,
    di mattoni gialli asciugati sotto il sole,
    di strade e carovane,
    di villaggi ai confini del mondo,
    di esuli stanchi che aspettano il ritorno.

    Suad aveva legato molto con Draig, nel poco tempo che eravamo state lì. Era una sognatrice, si era fatta raccontare di tutto e di più da mia moglie, ma aveva fatto lo stesso lei, descrivendo la vita nel deserto con parole dolcissime. Amava la sua casa eppure voleva viaggiare per il mondo intero. Non avevamo avuto modo di parlare a lungo, ma saremmo andate di sicuro molto d'accordo.
    La tua casa è fra le nuvole e il deserto.
    La tua casa è fra le nuvole e il deserto.
    La tua casa è fra le nuvole e il deserto.

    Quel finale voleva essere un buon augurio alla giovane Suad, quello di poter raggiungere i suoi sogni, di poter viaggiare e scoprire il mondo senza perdere le sue solide radici nel Paese del Vento.
    Il flauto, che era scomparso per gran parte del pezzo, riprendendosi solo nell'intermezzo tra seconda e terza strofa, assunse il comando degli strumenti e diede ancora una volta l'impronta principale alla musica, accompagnando la voce in quel soave commiato. Ero molto soddisfatta da quella canzone, probabilmente non avrebbe avuto alcun successo, ma in cuor mio sentivo che avrebbe raggiunto la ragazzina a cui era dedicata e questo mi sembrava un successo.



    Edited by GIIJlio - 26/3/2020, 11:05
     
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    Era successo un po' per caso. Parlando con una delle consorelle nel Paese della Luna Draig aveva tirato fuori la sua conoscenza del Marino e io avevo detto che avevo una mezza intenzione di fare una nuova canzone in quella lingua, in futuro. Lei aveva colto la palla al balzo e si era messa a prendermi in giro parlando in maniera sgrammaticata, imitando come secondo lei sarei sembrata nel farlo.
    Ah, molto belo, tu vuole cantare un cansone in lingua molto bela. Verrà belisimo.
    Misi su il broncio e lei rise e mi motteggiò ancora un pochino, inserendo però un'offerta allettante: riprendere le nostre lezioni di Marino, interrotte da ormai quasi un anno. Non le lasciai nemmeno finire la frase, accettai su due piedi. Era sempre sexy da morire quando mi insegnava le lingue. Eravamo partite come maestra e allieva, era sempre bello ritornare a esserlo anche solo per un po'.
    Iniziammo da subito, con una mezz'oretta ogni sera, circa. Eravamo ancora nel nostro appartamentino sull'isola della Luna. Il primo periodo fu dedicato al ripasso, dovevo riprendere tutte quelle competenze che nel tempo si erano un po' sfumate. Non avevo avuto modo di tenere spesso in allenamento il mio Marino, quindi un pochino ero peggiorata. Mia moglie mi diede da ripassare il lessico di base, mi fece riprendere un po' la pronuncia e facemmo delle piccole conversazioni in lingua insieme, spesso mentre ci occupavamo di Ryuko o giocavamo con lei. Diventò presto un'abitudine molto piacevole e divertente, un gioco di complicità e rimandi tra di noi.
    Una volta rafforzate le conoscenze pregresse ci buttammo nel tentativo di aggiungere nuove competenze. Lei mi fece elenchi di termini e ogni volta cercavo di impararne sempre di più. Mi dava anche dei piccoli frasari, per farmi apprendere il modo giusto di interagire in date situazioni. Si impegnò anche a potenziare il mio accento, argomento su cui mostravo le maggiori difficoltà. In particolare facevo fatica a farmi entrare in testa come si pronunciava la lettera "c", visto che variava tra un suono duro davanti a un certo tipo di vocali, mentre diveniva θ, una sorta di "th", davanti ad altre. Mi sembrava poco logico, ma dopo un adeguato bombardamento da parte di Draig riuscii a ficcarmi la regola nel cranio. Ebbi qualche difficoltà a ricordarmi che la "u" si faceva muta in alcuni trittonghi e anche in questo caso dovetti contare sulla pazienza della mia amata. Se volevo cantare senza sembrare ridicola era importante concentrarmi su quell'aspetto.
    Le lezioni continuarono anche una volta tornate a casa e, in gran segreto, ogni tanto facevo qualche domanda tattica a Draig, su argomenti specifici. Per un certo periodo mi fece parlare quasi solo in Marino, quando eravamo a casa, ma questo esercizio venne un po' meno quando arrivò la sua amica di infanzia che ospitammo a casa, Karril. Fu un'occasione di riprendere un minimo la conoscenza della lingua madre di mia moglie, ma non approfondii troppo, sul momento ero più interessata al Marino. Mi esercitai anche in maniera informale conversando con persone in giro, tra cui spesso anziani commercianti. Sorridevano spesso alla mia pronuncia non perfetta, ma sembravano anche contenti di poter parlare quella lingua che li riportava indietro nel tempo.
    Alla fine arrivò il momento decisivo, quello di dare alla luce quello che aveva fatto partire tutto e quello che mi avrebbe anche dato modo di capire a che punto fossi arrivata.
    Oh, ma che brava, querida. Giusto una correzione qui, il resto mi pare perfetto. Comunque questo è un duetto, non me lo avevi detto! Chi canta con te?
    Per una volta provai io a fare la misteriosa e cercai di svicolare la domanda. Lei mise su un'espressione da gelosina, non sapevo quanto giocosa e quanto seria, quindi dopo poco cedetti e le rivelai che la collaborazione era con Il nemico, Kenji Netsushi. Non aveva nulla di cui preoccuparsi, le dissi, ma per un attimo vidi il suo volto illuminarsi. Stava caricando la sua frecciatina migliore.
    Come se fosse una garanzia, il legame di sangue non ti ha fermato, altre volte.
    Il modo in cui lo disse era chiaramente affettuoso, riuscì in qualche modo a non offendermi, anche se giocai un po' a fingermi tale. Lei rise, scherzò, ma comunque quella giornata mi viziò assai, tra cucina e coccole, per essere sicura che non me la fossi presa davvero. Era buffa e bellissima, non sarei mai riuscita ad arrabbiarmi troppo con lei, ormai sapevo cosa voleva dire, quando lo voleva dire. Eravamo due libri aperti e anche se riuscivamo ancora a sorprenderci a vicenda il nostro rapporto era più solido di qualsiasi incomprensione.



    Una nota tenuta di organo dava il benvenuto al pezzo, ma dopo una battuta entrava il cuore della parte strumentale. La chitarra sapiente di Kenji si esibiva in accordi dal ritmo quieto ma coinvolgente, supportata dalla batteria di sottofondo.
    Es sólo eso,
    no hay nada que hacer,
    se acabó,
    buena suerte.
    No tengo nada que decir,
    son sólo palabras
    y lo que siento
    no cambiará.

    Era un canto di rottura, una sorta di addio, ma era dolce, tranquillo, senza furia o disperazione. Una quieta rassegnazione, ma che portava in sé quasi un messaggio di speranza, rappresentato bene dal titolo, "Buena suerte", ovvero buona fortuna.
    Todo lo que quieres darme
    está de más,
    es pesado.
    No hay paz.
    Todo lo que quieres de mí,
    irreales
    expectativas
    desleales.

    Il ritornello era accompagnato dalle maracas, uno strumento che non usavo nei miei componimenti da una vita. Ero stata io a suggerirlo, uno dei miei pochissimi contributi alla parte strumentale, di cui si era occupato per lo più Il nemico, con una mano qua e là da un suo collaboratore abituale. Il testo invece era quasi tutto mio.
    L'io narrante rinfacciava al suo uomo la differenza di velocità in quella relazione. Lui dava troppo e richiedeva troppo, lei non ce la faceva più, ma in realtà il gioco che volevo provare a fare con quel testo era un ragionamento su prospettive e punti di vista diversi.
    Èèè così...
    non c'è modo,
    è finita,
    buona fortuna.
    Non c'è più niente da dire
    son solo parole
    e quello che provo
    non cambierà.

    La parte di chitarra si faceva un po' più sincopata e energica mentre Kenji iniziava a cantare. Le parole erano le stesse, medesime le accuse, in un gioco di specchi. Il fatto di usare due lingue diverse era una sorta di metafora, a rappresentare l'incomunicabilità che alcune relazioni portavano intrinseche. Forse era un tentativo troppo concettoso o forse era una rappresentazione un po' troppo semplicistica, non riuscivo a capire di quale eccesso accusarmi, ma alla fin fine mi piaceva il risultato e grazie alla musica era davvero molto orecchiabile.
    Todo lo que quieres darme
    Tutto quello che vuoi darmi
    está de más,
    è davvero troppo,
    es pesado.
    è pesante.
    No hay paz.
    Non c'e pace.
    Todo lo que quieres de mí,
    Tutto quello che vuoi da me,
    irreales
    irreale,
    expectativas
    eccessivo.
    desleales.

    Il secondo ritornello era quasi un canone, canti e lingue si mischiavano, in un gioco di reciproche accuse e di incapacità di sentire l'altro, ma ancora una volta senza ira o violenza. Ognuno dei due riconosceva all'altro le colpe senza vedere le proprie, rassegnandosi all'addio, visto come inevitabile.
    Questa parte fu seguita da un lungo assolo di chitarra, dolce e malinconico allo stesso tempo, accompagnato da maracas e da un mio piccolo coro di sottofondo. Anche questa era stata un'idea di Kenji e l'effetto fu persino migliore di quanto pensassi.
    Aunque te asegures,
    quiero que te cures
    de esa persona
    que te aconseja.
    Hay un desencuentro,
    míralo desde ese punto,
    hay tantas personas
    especiales.

    Un invito ad avere cura delle persone, di quei ricordi comuni, ma ad andare avanti, a non chiudersi agli altri. Ancora una volta Kenji cantò lo stesso testo in lingua Comune, anche se allungò un po' il finale di quella parte.
    Ci sono così tante persone speciali al mondo,
    cooosì tante persone speciali al mondo,
    aaal mondo.
    Tutto quello che,
    quello che...

    Questa parte fece quasi da ponte verso il terzo ritornello, ancora una volta cantato in sincrono da entrambe le voci. A livello tecnico non era stato semplice registrare quel frammento, ma il risultato finale mi piaceva da impazzire. Così come la conclusione, con altre sovrapposizioni e intrecci, in un vortice quieto che proseguì fino allo spegnersi della musica.
    E ora cadiamo
    Cadiamo
    cadiamo
    cadiamo
    nella notte profonda.
    nella notte profonda.
    Cadiamo
    Cadiamo
    cadiamo
    cadiamo
    nella notte profonda.
    un buen encuentro es de dos.
    E ora cadiamo
    Cadiamo
    cadiamo
    cadiamo
    nella notte profonda.
    nella notte profonda.
    Cadiamo
    Cadiamo
    cadiamo
    cadiamo
    nella notte profonda.



    La traduzione in spagnolo non è mia, l'ho recuperata da qui e qui

    -Secondo post: Conoscenza media. A questo livello è possibile un buon livello di comunicazione, anche se non eccelso. Alcuni termini difficili potrebbero sfuggire di mente, ma in generale si sarà in grado di produrre e comprendere ad un buon livello. Parole minime necessarie: 500
     
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    Notte scura, notte senza la sera,
    notte impotente, notte guerriera;
    per altre vie, con le mani, le mie,
    cerco le tue, cerco noi due.

    La chitarra partì subito con degli accordi belli e caldi, seguita poco dopo dall'ingresso della voce. Sia musica che testi non erano miei, quella era una cover, l'unica del disco. L'autore era Beruto Tenshi, quel cantautore mancato da tempo di cui avevo già interpretato diverse canzoni in altre occasioni.
    Spunta la luna dal monte,
    spunta la luna dal monte.

    Con l'arrivo del ritornello comparvero i bonghi, una delle aggiunte del mio arrangiamento rispetto alla versione originale. La seconda era più forte e aveva a che fare con questioni pratiche. La canzone era stata una collaborazione tra Beruto e un gruppo dell'isola O'uzu, che usavano uno strumento tipico di quella zona, il Launeddas, una sorta di flauto dal timbro molto particolare. La cosa più simile a mia disposizione era il A' phìob mhòr, la cornamusa orientale. La riuscivo a suonare raramente, motivo per cui l'avevo inserita più che volentieri in quel pezzo.
    Tra volti di pietra, tra strade di fango,
    cercando la luna, cercando.
    Danzandoti nella mente,
    sfiorando tutta la gente,
    a volte sciogliendosi in pianto.
    Un canto di sponde sicure,
    ben presto dimenticato,
    voce dei poveri resti di un sogno mancato.

    Era un testo molto evocativo, mi era sempre piaciuto. Descriveva un'umanità ricca di gioia, nonostante le difficoltà, capace di muoversi nella natura, soprattutto nella parte successiva. Essa era in dialetto dell'isola O'uzu, nell'originale era cantata dal gruppo, con cori molto suggestivi. Io mi avvalsi di un collaboratore ancora mezzo sconosciuto, un ragazzo di nome Haruto che avevo conosciuto nelle tappe del Paese del Tè del mio tour dell'anno precedente. Aveva solo diciotto anni, ma mi sembrava un ottimo cantante e suonava i bonghi con una maestria invidiabile. Inoltre, essendo originario proprio di quell'isola del Mare Interno, era madrelingua del dialetto e riuscì a essere molto espressivo. Cantò due strofe, poi ci fu un piccolo intermezzo, in cui io e lui ci alternammo, un po' come era successo durante la traccia precedente. Mi piaceva l'effetto che dava questo gioco di sovrapposizioni e accostamenti.
    Coro meu,
    Cuore mio,
    fonte ‘ia, gradessida
    fonte chiara e pulita
    gai purudeo
    dove anche io
    potho bier’sa vida.
    posso bere alla vita.
    Dovunque cada
    l’alba sulla mia strada
    senza catene,
    vi andremo insieme.

    Questo passaggio funzionava quasi da ponte e precedette un altro breve ritornello. Avevo scelto quella canzone, oltre per il desiderio in se stesso di cantarla, anche in quanto si adattava bene al progetto che avevo in mente. Era la prima di un trittico di canzoni dedicate alla luna, alla notte, nei suoi vari aspetti.
    Tra volti di pietra, tra strade di fango
    cercando la luna, cercando.
    Danzandoti nella mente,
    sfiorando tutta la gente,
    a volte sedendoti accanto.
    Un canto di sponde sicure,
    di bimbi festanti in un prato,
    voce che sale più in alto
    di un sogno mancato.

    L'ultima strofa era molto simile alla prima. La mia voce lieve e un po' roca non assomigliava molto a quella robusta ed energica di Beruto, ma sapeva comunque farsi valere, si adattava bene al canto, mi pareva.
    Anche Haruto ripeté la sua prima strofa, questa volta con ancora più convinzione, poi si arrivò al ritornello finale, che ancora una volta procedette quasi a canone, con le nostre voce a scambiarsi di posto e la sua a chiudere tutto con un "Viene intonando un canto", il cui soggetto era chiaramente proprio la luna, per umanizzarla e darle un ruolo quasi di salvatrice, di aiutante del protagonista nella sua ricerca.
    Spunta la luna dal monte,
    Beni intonende unu dillu,
    Spunta la luna dal monte.
    Beni intonende unu dillu.




    Ancora una volta la chitarra partiva da protagonista, nelle prime due battute, con il violino di sottofondo. Due riff energici, quasi giocosi, che poi sarebbero tornati qua e là nel pezzo, prima di sparire, lasciando solo al mio fido arco il compito di sostenere la musica nella prima parte della strofa.
    Luna,
    ascoltami:
    come il vento tra gli alberi,
    prima che il vento si alteri ad est,
    Dopo calmati. 

    Era un rap, il primo che avevo scritto e cantato io stessa, ma essendo tale era un po' diversa dai canoni tipici del genere. Era la seconda parte di quella piccola trilogia interna al disco, ma soprattutto era la canzone che aveva fatto partire tutto, quella che mi aveva dato l'idea complessiva dell'album e che quindi aveva un'importanza enorme nel suo equilibrio.
    E guarda la vela sopra quest'albero
    quanto è in tiro,
    ti guardo, ti vedo calma,
    mi guardo, mi prendo in giro.

    Era un dialogo a due con la luna, un tema trattato molte volte da poeti e scrittori del passato, un'impresa in cui sentivo di volermi cimentare anch'io. Il testo era stato partorito durante la mia permanenza nel Paese della Luna, quel luogo dalla natura magnifica in cui ero stata per più di un mese con Draig e Ryuko.
    E la tua luce è morbida,
    la patina orrida ch'ora copre il cielo
    non compromette la vista ottima.
    La verità è una strada a doppio senso e ci s'invortica,
    il fuoco non è uno, sono due per ogni orbita.
    E ogni circonferenza è illusione ottica,
    l'idea di questa perfezione è dittatura cosmica.
    Le paranoie in testa fanno aerobica,
    la fantasia mi riordina la mente, non la logica.

    Ero molto fiera di quel testo, pieno di giochi di parole e rimandi più o meno chiari. Avevo studiato molto durante la mia permanenza nella Luna, le Sorelle della Notte si occupavano principalmente di caccia, l'arte di cui la dea Deiana aveva fatto dono a noi umani, ma il loro tempio ospitava una biblioteca di tutto rispetto. Per quanto non mi piacesse studiare sui libri mi ero innamorata di uno di essi, un testo di astronomia, pieno di immagini e spiegazioni molto belle. Per questo avevo iniziato a scrivere, per provare a unire la visione scientifica con quella poetica, tenendo sempre presente il valore religioso che per me aveva quel corpo celeste.
    Una preghiera per il mio equipaggio:
    sono un capitano solo,
    lancio un'ancora nel cielo
    immaginando l'allunaggio.
    Raccontami il paesaggio
    che adesso tu vedi da là.

    La musica divenne meno frenetica, più piana, durante quel ponte. Già era accennato in precedenza, ma l'io narrante era un marinaio, letterale o metaforico non era specificato. Il violino si fece più intenso, fino allo scoppio che portò all'arrivo di una nuova voce.
    Siamo nella stessa lacrima,
    come un Sole e una stella.
    Luce che cade dagli occhi,
    sui tramonti della mia terra,
    su nuovi giorni.
    Ascoltami.

    Avevo scelto Morgan. Non poteva che essere lei, perché tra tutte le persone che conoscevo lei era l'unica a poter rappresentare adeguatamente la voce della luna. Avrei potuto cantare io anche la sua parte, ma l'energia che impresse in questa interpretazione mi ripagò totalmente della decisione. Era proprio l'impronta che volevo dare alla canzone e senza di lei non ci sarei riuscita.
    Io ti sento vicino, il respiro non mente,
    è una marea che sale e scende sugli altri,
    io li vedo, sono bianchi come sgargianti,
    i riflessi tuoi rendono le onde più grandi,
    sembra un attacco dei giganti.

    Con l'ingresso nella seconda strofa comparve anche un pianoforte, a legare meglio tutto quanto, in una sinfonia strana e che mi sembrava molto bella. La frenesia era quella della tempesta; non mi ero mai trovata in una situazione del genere, ma avevo ascoltate e letto molti racconti di chi si era trovato a combattere con il mare. Avevo voluto provare a rendere omaggio al loro coraggio, alle loro battaglie.
    E sto viaggiando senza meta nei meandri
    di una notte che inquieta.
    E tra illusioni mi eclisso come te
    che quando guardi il mio pianeta e poi ti specchi nel mare
    credi che ci sia una Luna uguale in fondo all'abisso.
    Un giorno leggeremo Jules Verne,
    chissà che penseresti tu a vederti dall'esterno.
    E la tua astronomia ti rende sola.
    E a volte c'è qualcuno che ti canta la sua melodia che a un tratto ti consola.

    La luna che descrivevo era molto umanizzata, quasi ingenua ma dolce e forte allo stesso tempo. Era chiaramente un riferimento a Deiana, un'ode a quella dea a cui ero molto devota. Molti testi della biblioteca erano dedicati ai miti relativi a Lei, molti altri me li avevano raccontati le consorelle. Mi ero presa il compito implicito di cantare quella melodia che nel testo veniva citata, proprio come segno di ringraziamento e di eterna fedeltà.
    E il volto che mi mostri è sempre uno,
    i crateri perché mi hai fatto da scudo.
    Tu senza l'atmosfera, un corpo nudo,
    mentre mi addormento sotto una tua duna,
    Luna.

    Con un gioco di simmetria rispetto all'inizio del testo avevo concluso la mia seconda strofa così. Ancora una volta si sovrapponevano le nozioni scientifiche che avevo appreso con quelle religiose, con la figura della grande cacciatrice della notte. Madre Amy aveva approvato quel testo, anche se quando glielo avevo mostrato era ancora un po' abbozzato e non ero ancora sicura avrebbe preso la forma del rap. Ero molto soddisfatta della maniera in cui quel pezzo era venuto, anche se non ero sicura di come sarebbe stato accolto dal pubblico. La presenza di Morgan avrebbe probabilmente attirato l'attenzione, ma si trattava di certo di qualcosa di strano, sperimentale e, speravo, innovativo.
    Siamo nella stessa lacrima,
    come un Sole e una stella.
    Luce che cade dagli occhi,
    sui tramonti della mia terra,
    su nuovi giorni.

    Il secondo ritornello prese dopo la sua metà una piega diversa rispetto al primo. Il divertimento non era ancora finito e se fino a quel momento le due voci non avevano interagito granché ora questo sarebbe cambiato decisamente.
    Il Sole mi parla di te.
    Mi stai ascoltando, ora!
    La Terra mi parla di te.
    Avrò cura di tutto quello che mi hai dato.

    Il duetto divenne tale in pieno con quell'hook finale, in cui la parte strumentale aumentava la già grande intensità del ritornello. Il gioco dialogico tra me e Morgan divenne potente, sprizzava energia. Sì, chiedere a lei era stata la cosa migliore che potessi fare.
    Anche se dentro una lacrima,
    Sei così forte che lo racconterò.
    come un Sole e una stella.
    Noi siamo
    luce che cade dagli occhi.
    È oltre l'orizzonte che ti raccoglierò.
    Sui tramonti della mia terra,
    su nuovi giorni in una lacrima.

    Sei così forte che lo racconterò.
    Come un Sole e una stella.
    Noi
    siamo luce che cade dagli occhi.
    È oltre l'orizzonte che ti raccoglierò.
    Sui tramonti della mia terra,
    su nuovi giorni.

    Adoravo quella parte e registrarla fu divertentissimo. Anche Morgan era ben presa e mi chiese di poterla cantare nei suoi tour, avvalendosi di qualche collaboratore per la parte rap. Ne fui molto felice e del resto senza di lei non sarebbe stata la stessa cosa, quindi ne aveva tutto il diritto.
    Al termine di quella parte iniziò la fine. L'orchestra si zittì, lasciando a semplici note di piano il commiato, insieme alle voci che si erano fatte più leggere, dopo l'intensità di appena prima.
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    Dopo il tripudio orchestrale del pezzo prima partì solo un pianoforte, con note acute e rapide. Mi ero allenata molto per essere all'altezza, per migliorare la mia capacità con quello strumento. Era importante per poter avere un controllo maggiore nel momento della composizione e quella canzone rappresentava un primo traguardo della mia nuova abilità.
    Fosse davvero tutto scritto,
    il Fato un cammino predetto,
    fosse davvero che puoi controllare ciò che c'hai in petto,
    fosse davvero che tutto s'aggiusta
    e fosse vero che ogni scelta che farai sarà giusta.

    La mia voce un po' roca si adattava bene a cantare su questa base, ma di nuovo non era un canto normale, canonico. Era rap. Ormai avevo provato quella via e mi sembrava di poter produrre risultati decenti, quindi mi ero data una chance in quel genere fino a poco tempo prima così lontano da me.
    E se mi chiedi come sto
    è inutile che menta e dica che non lo so.
    Non piango su me stessa perché so che non serve,
    non cambia niente;
    ho come un nodo nella mente.

    La batteria partì a dare supporto al pianoforte, per rendere più solido il pavimento strumentale su cui mi prodigavo con la mia voce. L'ultimo verso poi aveva un'intonazione diversa, più soave e malinconica, a sottolineare in qualche maniera il significato delle parole.
    Tu sei dolce e amara,
    hai il viso stanco, nana,
    pallore bianco chiaro,
    non so se ridi o se piangi.
    E se stanotte io non riesco a parlarti
    un po' perché son stanca
    e un poco perché è già tardi.

    Il testo, come quello della canzone precedente, era un dialogo con la luna. Questa volta, però, non ero stata io a scriverlo, bensì la persona che era stata con me in quel periodo in cui mi trovavo oltremare, dalle Sorelle della Notte. Draig aveva voluto cimentarsi in quella sorta di gioco, provando a comporre un testo che potessi cantare, ispirata dal luogo magnifico in cui ci eravamo fermate. Era stata quasi una sfida tra noi, senza vincitori o vinti. Del resto lei aveva sempre scritto soltanto testi in prosa, era il suo primo esperimento in versi, ma il risultato mi era piaciuto a tal punto che avevo voluto ad ogni costo inserirlo nel disco.
    Ma ti specchi nel fiume eee...
    dopo ti nascondi tra ponti.
    Conosci tutte le storie,
    conosci le fobie,
    le follie, le magie
    ed i racconti.
    Ora proteggi questa lupa sola (Uu-uuh)
    io sono qui, ancora qui e ancora sola,
    l'ultima stupida sognatrice del mondo...
    negli occhi tuoi affondo (affondo).

    Lei aveva scelto un approccio decisamente diverso dal mio, era quasi divertente il confronto. La sua luna era più giocosa, in qualche maniera più umana, l'io narrante era meno definito, più malinconico. Sembrava avere una sorta di complicità con l'astro, per questo mi piaceva così tanto. Mi aveva convinto persino a ululare, nel mezzo del testo, cosa che alla fine avevo fatto, nonostante un po' di vergogna.
    Bianca luna che mi guarda,
    lassù mi puoi vedere.
    Bianca luna che mi parla,
    lassù mi puoi vedere.

    La voce nel ritornello assomigliava di più al mio stile solito. Sembrava un canto rivolto ad una vecchia amica o ad una amante lontana. Quando le avevo chiesto a cosa si fosse ispirata lei mi aveva detto che non era stata influenzata da particolari esperienze personali, si era solo immaginata un personaggio ed aveva scritto immedesimandosi in lei. In tale aspetto lei era più brava di me, glielo riconoscevo.
    Mi sono licenziata qualche giorno fa (eeee)
    mi rendo conto che fuggo dalla realtà (eeee)
    fosse per me io me ne andrei,
    potessi farlo ancora ti giuro ripartirei.
    Ma il tempo va veloce,
    oggi è finito, è già domani,
    e anche se non ti vedo
    lo sento che tu mi chiami,
    ma sono lenta di mio,
    lontana da Dio
    e prima o poi io
    dovrò dirti addio.

    Il ritmo rimase posato, quasi malinconico, che poco si adattava con un certo tipo di rap. Del resto non avrei potuto esplorare questo genere se non mantenendo il mio modus operandi solito. L'arrangiamento era scarno, sottile, quasi a voler ricalcare ancora di più le parole di Draig, che già da sole erano un piccolo gioiellino.
    Quanto sei bella
    curiosa, timida e spettrale,
    luce dei gatti e delle puttane,
    regina triste, prigioniera della notte,
    simbolo di vita,
    viso della morte.
    E mi accarezzi piano,
    mi osservi da lontano,
    note di piano su campi di grano,
    e stai con me (stai con me).

    Adoravo quella parte, la adoravo da impazzire. Cercai di infondere tutto l'affetto che potevo nella mia voce, per lasciare trasparire i sentimenti che avevo provato leggendo il testo. La complicità tra una persona e una forza della natura sembrava impossibile, ma nel testo era palpabile. Sebbene la sua luna, malinconica e quasi infantile, fosse molto diversa da quella che avevo descritto io, possente guerriera, mi era piaciuta molto sin da subito l'idea di mettere i due pezzi in fila. Come due lati di un'unica medaglia, in apparenza opposti ma parte del medesimo discorso.
    Bianca luna che mi guarda,
    lassù mi puoi vedere.
    Bianca luna che mi parla,
    lassù mi puoi vedere.

    Come canzone era molto corta, come fosse una piccola gemma. Dopo il ritornello la voce si zittì, lasciando che il pianoforte continuasse da solo per alcune battute, fino a che il silenzio non fu di nuovo totale.



    Il piano fu ancora una volta l'unico a riprendere e fu protagonista assoluto del pezzo seguente. L'andamento fu lento e posato, ancora più nostalgico di quello della canzone precedente, di cui faceva da sorta di coda. Avevo tratto ispirazione dal Notturno di un compositore molto famoso di musica classica, ma sebbene fosse chiaro il riferimento non era un plagio. Dopo mezzo minuto la musica arrivò ad un culmine. Pausa. Poi l'esplosione.
    Hahaha, ha, ha, ha-haha,
    hahaha, ha, ha, ha-haha.

    Si inserirono in contemporanea voce, batteria e basso, anche se chiaramente la prima attirava più di tutti l'attenzione. Un canto privo di testo, solo versi. Lievi, trascinati, quasi solo accennati. Mi piaceva il senso di sospensione che dava quel pezzo, era nato quasi per caso, dal tentativo di scrivere un brano che poi non era uscito. Non mi era venuto nessun testo che stesse bene su questa melodia così pregna di significati già da sola. La soluzione era giunta solo dopo molte riflessioni. Una composizione così bella non poteva essere cestinata e se non riuscivo a trovare parole adeguate aveva senso non metterle proprio. Il senso profondo di questo brano mi sembrava passasse lo stesso, soprattutto da quelle note di pianoforte così dense. Mi ero allenata come una pazza per riuscire ad eseguirlo a dovere, perché non rimanesse solo sulla carta. Non era semplice da suonare, ma mi ritenevo soddisfatta di come mi fosse uscito nella registrazione.
    Hahaha, ha, ha, ha-haha,
    hahaha, ha, ha, ha-haha.

    Per prima sparì la voce, poi il basso, fino a quando non rimase solo il suono del pianoforte, impegnato in un giro insistente di note, un abbandono di qualsiasi resistenza. La malinconia aveva vinto. E, con il silenzio, ci si preparava al prossimo pezzo, uno di quelli su cui puntavo di più. Questo piccolo interludio forse sarebbe rimasto del tutto sconosciuto ai più, ma ne ero molto fiera.


    Edited by GIIJlio - 16/4/2020, 17:32
     
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    La chitarra iniziò da sola, con un paio di battute dal ritmo mesto, posato. Un piccolo preludio, prima che il pezzo iniziasse con tutta la sua energia.
    Ti regalerò una rosa,
    una rosa rossa per dipingere ogni cosa,
    una rosa per ogni tua lacrima da consolare
    e una rosa per poterti amare.
    Ti regalerò una rosa,
    una rosa bianca come fossi la mia sposa,
    una rosa bianca che ti serva per dimenticare,
    Ogni piccolo dolore.

    La voce si unì insieme alla batteria e a quello che era uno dei protagonisti principali del pezzo, la sezione dei violini. Grazie a questi strumenti cercai di trasmettere con note lunghe e acute il sentimento dominante della canzone, la malinconia.
    Mi chiamo Antonio e sono matto,
    sono nato nel '54 e vivo qui da quando ero bambino.
    Credevo di parlare col demonio,
    Così mi hanno chiuso quarant'anni dentro a un manicomio.
    Ti scrivo questa lettera perché non so parlare,
    perdona la calligrafia davvero elementare.
    E mi stupisco se provo ancora un'emozione,
    ma la colpa è della mano che non smette di tremare.

    I violini si facevano da parte nella prima parte di strofa, che non era cantata nel vero senso della parola. Era più una sorta di recitato. Mi ero esercitata tantissimo, non rientrava nelle mie corde all'inizio, ma non c'era dubbio che fosse il metodo migliore di raffigurare il contenuto. E non era un contenuto semplice.
    Io sono come un pianoforte con un tasto rotto,
    l’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi
    e giorno e notte si assomigliano
    nella poca luce che trafigge i vetri opachi.
    Me la faccio ancora sotto perché ho paura,
    per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura,
    puzza di piscio e segatura,
    questa è malattia mentale e non esiste cura.

    Il testo copriva un range di emozioni molto ampio, tra cui un ruolo fondamentale nella parte finale della prima strofa era ricoperto dalla rabbia, dal livore. Mi ero impegnata da morire per riuscire a interpretare tutto quanto, avevo preso lezioni di recitazione e di dizione per raggiungere un livello adeguato. Non abbastanza da potermi considerare un'attrice, nemmeno a livello amatoriale, ma sufficiente a quello che mi serviva per il pezzo. Tre ore a settimana per oltre un mese, tutto a spese della casa discografica. Juan credeva molto in questa canzone e così anch'io.
    Ti regalerò una rosa,
    una rosa rossa per dipingere ogni cosa,
    una rosa per ogni tua lacrima da consolare
    e una rosa per poterti amare.
    Ti regalerò una rosa,
    una rosa bianca come fossi la mia sposa,
    una rosa bianca che ti serva per dimenticare,
    Ogni piccolo dolore.

    Dopo il secondo ritornello ci fu un piccolo assolo di violino, a cui avevo affidato il compito di reggere il tono generale, quella dolce malinconia che dava la cifra della canzone. Ormai non avevo problemi a trovare frasi musicali che riuscissero ad esaltare tali sentimenti, con il mio strumento base ero diventata un'abile compositrice, quello me lo riconoscevo. E quando, come in questo caso, mi ritrovavo ad avere un testo così di valore a mia disposizione allora le mie capacità si esaltavano ancora di più.
    I matti sono punti di domanda senza frase,
    migliaia di astronavi che non tornano alla base,
    sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole,
    i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole.
    Mi fabbrico la neve col polistirolo,
    la mia patologia è che son rimasto solo,
    ora prendete un telescopio e misurate le distanze,
    guardate tra me e voi chi è più pericoloso.

    Alcune delle metafore mi erano state suggerite da Draig, ma il testo in realtà era più una collaborazione tra me e un paroliere che lavorava da anni per la UMI. Alvaro Kurisu, un uomo sulla quarantina che aveva scritto anche un paio di romanzi. Avevamo fatto amicizia con lui, nel corso dell'anno precedente, ma questo era stato il nostro primo lavoro insieme. Aveva per le mani un progetto su cui ragionava da tempo e fu lui a iniziarmi al mondo dei manicomi. Non sapevo quasi niente di quei posti, non conoscevo questa pagina così oscura di un passato tutto sommato recente. Lui aveva raccolto informazioni, studiato in maniera quasi scientifica queste case di cura che in realtà spesso erano più luoghi di detenzione e di tortura. Ci spiegò cose, portò sia me che Draig in visita in alcuni di questi edifici, ormai abbandonati da decenni. Sentirne parlare era una cosa, vederli di persona fu un colpo al cuore.
    Dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto,
    ritagliando un angolo che fosse solo il nostro.
    Ricordo i pochi istanti in cui ci sentivamo vivi,
    non come le cartelle cliniche stipate negli archivi.
    Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare,
    eri come un angelo legato ad un termosifone;
    nonostante tutto io ti aspetto ancora
    e se chiudo gli occhi sento la tua mano che mi sfiora.

    La vicenda personale dell'io narrante, di Antonio, entrava a quel punto nel vivo. Si trattava di una canzone d'amore, nel complesso, ritornello e titolo lo rendevano quanto mai chiaro. La vera novità stava nei protagonisti della vicenda. Rinchiusi in un manicomio, diversi da tutti i "normali", innocenti prigionieri di un luogo ostile e vittime del mondo. Persone che di solito non avevano voce. Il lessico spesso giocava tra quel dualismo, si colorava di romantico classico senza nascondere la dura realtà che quegli uomini dovevano vivere. In questo l'immagine dell'"angelo legato ad un termosifone" era la mia preferita, non avrei mai ringraziato abbastanza Alvaro per la sua maestria con le parole. Anche in luoghi così tetri e negativi l'amore poteva nascere e la potenza della memoria del protagonista mi pareva rendere chiara la speranza e la vitalità che questo testo per me incarnava, pur in una vicenda così malinconica e triste.
    Ti regalerò una rosa,
    una rosa rossa per dipingere ogni cosa,
    una rosa per ogni tua lacrima da consolare
    e una rosa per poterti amare.
    Ti regalerò una rosa,
    una rosa bianca come fossi la mia sposa,
    una rosa bianca che ti serva per dimenticare,
    Ogni piccolo dolore.

    Il ritornello era la cosa da cui era nato tutto, la parte già esistente che Alvaro mi aveva presentato in forma abbozzata. L'avevo amato sin da subito, avevo capito che si nascondeva qualcosa di grosso tra quelle parole. L'uso di quel futuro... quando mi aveva spiegato la storia che aveva n testa avevo capito cosa voleva intendere e mi aveva commossa tantissimo. Era il messaggio di speranza definitivo, dal mio punto di vista.
    Mi chiamo Antonio e sto sul tetto,
    cara Margarita sono vent’anni che ti aspetto.
    I matti siamo noi quando nessuno ci capisce,
    quando pure il tuo migliore amico ti tradisce.
    Ti lascio questa lettera, adesso devo andare,
    perdona la calligrafia piuttosto elementare.
    E ti stupisci che io provi ancora un’emozione?
    Sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare.

    La strofa finale si ricollegava alla prima, riprendendo interi versi e lasciando la dedica conclusiva di quella missiva scritta alla donna amata, di cui per la prima veniva detto il nome. Si rendeva inoltre chiaro il finale della storia, Antonio si buttava giù dal tetto per volare dalla sua Margarita nell'unico modo possibile, attraverso la morte. Mi sembrava un messaggio romantico, nella sua crudeltà, mi sembrava che veicolasse, insieme a quel futuro usato nel ritornello, un'idea ben precisa. L'amore sopravvive alla morte e può essere eterno. Io ci credevo e di riflesso anche Antonio lo faceva. Per questo immaginava un mondo in cui potesse vivere al fianco della donna che amava, lontani dalle costrizioni e dal dolore che avevano subito in vita, lontani da qualsiasi cosa che aveva impedito loro di stare insieme.
    Dopo la fine del testo rimasero solo gli strumenti a danzare per alcune battute, guidati dal violino, fino a che non fu silenzio. Un addio dolceamaro, che ben rappresentava il tono generale dell'opera. Ero molto nervosa a riguardo della riuscita di questo progetto, ma quando sentii la registrazione finale mi potei dire pienamente soddisfatta. Così parve esserlo anche Alvaro, che mi ringraziò per aver dato vita al progetto che aveva in mente. Io ricambiai con tutta la gratitudine di cui ero capace per avermi fatto quello splendido regalo, per aver scelto me.



    La traccia finale di quel disco non poteva che essere "Fimmina chiangi". La canzone da cui tutto era partito, qualche vita prima, lontano nello spazio e nel tempo. Già, "Lontano". Quello era il titolo che avevo scelto che avevo scelto per il disco, che rappresentava l'idea che mi aveva mossa fin dall'inizio dei lavori. Era un'opera per cui la tematica della distanza era fondamentale e veniva affrontata in tutte le sfaccettature che ero riuscita a pensare.
    Lontano dal mio stile solito, da quello che avevo fatto fino ad allora. Avevo cercato di esplorare territori nuovi per me, orizzonti strumentali diversi e sfumature innovative. Mi ero gettata a capofitto in sortite in generi differenti da quelli soliti, avevo approfondito l'uso di duetti e di altre collaborazioni, avevo puntato su sonorità nuove. E anche come tematiche avevo spaziato abbastanza, tenendo sempre questa parola al centro del mio discorso. Lontano nel passato, lontano dalla società, lontano dal presente, lontano da questo mondo, lontano dalla normalità. Mi ero divertita tantissimo a trovare un filo conduttore che forse riuscivo a vedere solo io, ma poco importava.
    Quello era il mio terzo disco, un'opera che ai miei occhi sembrava più matura e consapevole, pur essendo molto sperimentale. In tutto ci avevo messo quasi due mesi dall'inizio vero e proprio dei lavori, i tempi erano stati più lunghi del solito per vari motivi. L'ultima cosa da fare fu scegliere la copertina. Ci avevo pensato molti e avevo dato indicazioni chiare all'artista incaricato. Visto il clima generale dell'opera, sognante e un po' malinconico, e siccome essa era protagonista di diverse canzoni, scelsi la luna come soggetto principale. Una bella luna piena, la cui metà inferiore era già al di sotto dell'orizzonte, ma il cui riflesso sul mare si stendeva sotto di sé in un gioco di luci e ombre semplice ma suggestivo. Quando mi fecero vedere il disegno completo me ne innamorai. Ancora una volta tutti i collaboratori scelti dalla UMI furono semplicemente perfetti. Non poteva venire un lavoro migliore di così e,qualunque fosse stata la risposta del pubblico, ero davvero soddisfatta del risultato.

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    Che dire. Una role scorrevole e piena di emozioni come sempre. Provo sempre più stupore nel vedere come tu riesca a unire musica e scrittura per veicolare pensieri e sentimenti del personaggio. Ti invidio molto.
    Non ho mai fatto mistero che mi piaccia molto Aiko e il tuo stile, ma stavolta hai spaziato tra generi e lingue con un ritmo molto diverso dalle role precedenti, più incalzante e a mio avviso superiore.

    Aiko riceve 10 exp e 75 ryo.

    Inoltre, considerato che ormai è una musicista navigata e conosciuta, che la role è stata eccelsa e che sono sempre propenso quando meritato a dare nuovi spunti e a conferire valore anche alle autogestite (e dintorni), come ricompensa extra a Giugno Aiko riceverà la comunicazione che "Lontano" sarà candidato al Disco di Madreperla la cui cerimonia si terrà nel mese X (questo lo lascio a tua totale comodità).
    Il Disco di Madreperla è il premio musicale più importante della zona marittima del continente: alias, il riconoscimento più ambito e famoso dei Paesi di The, Mare e Collo. A te decidere se lo vincerà o meno, se farci una role apposita, citarlo di bg o ignorarlo completamente. La candidatura da parte mia è assicurata.

    Naturalmente approvo anche l'allenamento di Lingua


    Edited by Uta. - 17/4/2020, 10:56
     
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