Gli occhi del cuore | Livello B

Partecipanti: Kiria
Qm: GIIJlio

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    Demone incendiario

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    Cagna maledetta! - livello B
    Nel Paese del Tè una compagnia teatrale sta cercando di mettere su uno spettacolo, con mille difficoltà. Quella principale è che l’attrice protagonista è una donna bella ma totalmente incapace, che è stata scelta solo per le pressioni del proprietario della compagnia. Il regista, ormai superata la soglia di sopportazione, decide di ingaggiare un assassino, che uccida questa persona e faccia passare il tutto per un incidente, in modo da liberarsi dal peso che sta affondando la sua arte.
    Tipo: Assassinio

    Come primo post ti chiedo una cosa particolare, una sorta di introduzione senza troppe indicazioni. La quest si svolge nel Tè, quindi mi serve capire perché la tua pg è lì, se ci vive in pianta stabile o è di passaggio, se ha qualche contatto particolare o è allo sbaraglio. Di lì in poi mi muoverò per dare il via alla quest vera e propria. Per qualsiasi domanda o consiglio sai dove trovarmi.
     
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    Per me è estremamente difficile ripercorrere il tempo trascorso in quel periodo.

    Ero riuscita a spogliarmi dei ricordi che, macabri, mi rivestivano fino a soffocarmi, stringendo intorno al mio esile corpo con violenza. Ora, nuda, mi ero resa conto che non avevo più nulla.
    La vita era diventata un susseguirsi di azioni il cui unico fine era non morire; perché fossi così attaccata a quella misera esistenza è dura da spiegare. Credo, semplificando, si trattasse di codardia, di incapacità di accettare di tornare alla terra, di lasciare questo mondo e morire davvero, definitivamente, poiché nessuno avrebbe notato la differenza. Anche quella constatazione, tuttavia, aveva definitivamente abbandonato la mia testa. D'altro canto, mi sentivo responsabile per Deichi: tra i pensieri pesanti che poco tempo prima mi schiacciavano come macigni, vi era la consapevolezza che la vita di mio fratello sarebbe stata decisamente migliore della mia. Più forte, più utile, più amato. Avevo convissuto con quella consapevolezza per anni, lasciando che crescesse con me giorno dopo giorno e mi ferisse, ospite indiscreto del mio corpo, cancro che aveva le sue metastasi in un'esistenza vuota. Ora potevo dirmi guarita.

    Ero un corpo vuoto, privo di emozioni e di pensieri, che si muoveva mosso dal primordiale istinto di sopravvivenza: ero furtiva all'interno dei confini del Villaggio del Fuoco, ma si trattava di semplice reazione alla mia situazione di ricercata, una sorta di comportamento meccanico che si era reiterato negli anni e che continuava a sussistere. Avevo però bisogno sempre più spesso di evadere anche da quella furtività, quasi fossi incapace a concentrarmi a lungo su un aspetto della mia vita. Di conseguenza, mi capitava di ritrovarmi in paesi neutrali, nei quali poter camminare a testa alta senza troppi problemi, o nel mercato nero, affascinata e segretamente bisognosa di un'altra dose. Il mio rapporto con la droga è un altro aspetto complesso, ma facilmente riassumibile: mi riempiva. Dava senso al contenitore vuoto del mio corpo, mi rendeva - seppur per solo due ore - in grado di pensare, quasi di provare, fluido informe in grado di entrare in tutto il mio corpo e prenderne possesso.
    Non ne ero ancora dipendente fisicamente, ma i miei piedi - oramai del tutto autonomi dalla testa - spesso mi riconducevano in posti dove avrei potuto acquistare il mio riempimento temporaneo. La resistenza mentale che ponevo a quell'atto era dovuta essenzialmente a questioni economiche: era davvero difficile vivere da soli, clandestini e senza possibilità di un'entrata principale.

    Forse era quell'inconsapevole bisogno di soldi che condusse i miei piedi al Paese del Tè. Lì, in arena, avevo vinto soldi senza troppa fatica, senza dover lavorare per un villaggio al quale non potevo più appartenere, senza ferire nessuno. Avevo scoperto per la prima volta il pericoloso dono che la morte di mio fratello aveva dato ai miei occhi, e me n'ero spaventata, annichilita dalla consapevolezza di quanto fosse divenuto facile uccidere. Anche quel ricordo però sembrava appartenere ad un'altra vita, una Kiria che ancora agiva alla ricerca di qualcosa.

    Realizzai di esser in quel paese all'improvviso, come se lo avessi raggiunto da sonnambula. Mi guardai intorno, leggermente scossa, alla ricerca di un punto di riferimento in quel luogo semi-sconosciuto. Riconobbi l'arena poco distante, fiumi ordinati di persone che si dirigevano all'ingresso. Riflettei alcuni istanti sul da farsi, ma i piedi cominciarono a muoversi prima ancora che potessi arrivare ad una decisione consapevole. Mi portarono lontano: dall'arena, dai ricordi, da possibili scommesse.
    Mi ritrovai così per caso in viali ordinati e isolati, delimitati da case silenziose, quasi fossero state abbandonate da poco, conservando in sé un precario equilibrio tra pulizia e silenzio.
    Mi guardai intorno, spaesata: il vagare costante senza la ricerca di punti di riferimento mi portava spesso in condizioni simili. Allora provavo a guardarmi da fuori: una ragazzina esile, una figura minuta raccolta in un grazioso kimono e un viso ancora troppo puerile; dovevo sembrare davvero indifesa, se non fosse per la katana appena visibile oltre le mie spalle.
    Il Paese del Tè conservava la propria apparente tranquillità anche in quei contesti isolati, lontani dalle strade affollate, per cui non riuscivo a sentirmi in pericolo. Eppure, in quei momenti, il mio istinto da fuggitiva si risvegliava, cominciando a raccogliere informazioni dall'ambiente circostante, come se da un momento all'altro dovesse capitarmi qualcosa di terribile e lasciandomi in balia di una fusione ossimorica di sensazioni. Così, nonostante immobile fissavo vecchie e nuove locandine affisse ai muri, dentro di me si scatenava una tempesta inquieta che mi spingeva a cercare con lo sguardo qualcuno, qualcosa.
     
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    Tra locandine di spettacoli teatrali e una pubblicità un po' logora che invitava all'inaugurazione dell'Arena, trovi anche un paio di avvisi di taglie. Tra esse noti all'improvviso anche la tua, con un'immagine che ti rappresenta quasi alla perfezione, o almeno rappresenta com'eri fino a poco tempo fa. C'è anche il tuo nome, in bella mostra. E tutto ad un tratto ti pare che quell'uomo anziano che si trova poco più in là ti stia fissando. Se provi a incrociare il suo sguardo ti accorgi che non è così, ma il dubbio che lo stesse facendo prima ti rimane. Che sia meglio allontanarsi in fretta?
    Se lo fai dopo ben poca strada il tuo cammino viene interrotto. Un uomo sulla ventina, dallo sguardo sperso ma dal sorriso divertito, spunta fuori da un vicolo. Lo hai già visto, ti bastano pochi istanti per fare mente locale. È uno spacciatore, uno da cui ti era capitato di comprare delle dosi un paio di volte. Sembra tranquillo e perfettamente a suo agio in quel quartiere losco e degradato.
    Compri, ragazzina?
     
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    Fu come scoprire, tra vecchie locandine di teatri e arene, uno specchio.
    Uno specchio potente, magico, in grado di proiettarti al passato. Kiria giovane e ingiallita dal tempo mi fissava, la sciarpa glicine che ora giaceva con Deichi avvolta intorno al suo piccolo collo, così familiare e allo stesso tempo così estranea. Furono solo pochi istanti, poi il presente mi risucchiò via dal passato, di nuovo nel vicolo del Paese del Té, di nuovo in allerta. Avrei dovuto strappare via quella foto, portarla con me e bruciarla?
    No, sarebbe stato inutile: sicuramente gli interessati avevano avuto già modo di informarsi su di me. Probabilmente, la legge - rappresentata in quel momento innanzi ai miei occhi dal Villaggio della Foglia e alleati - mi era lontana, ma sapevo dell'esistenza di individui che non si facevano scrupoli nel ricercare, uccidere o riconsegnare i fuggitivi che, come me, si erano macchiati di crimini più o meno violenti. Allora nessun posto si faceva sicuro, il mondo intero diventava buio e minaccioso.

    Guardai alla mia sinistra, celando perfettamente il maremoto di ansia e paura che mi era esploso dentro: un uomo anziano mi stava fissando. Lo guardai di rimando, noncurante: eludere lo sguardo mi sembrava un'ammissione di colpevolezza, ma l'uomo adesso aveva smesso di guardarmi, distratto. Era successo solo nella mia testa? Stavo diventando paranoica?
    Non importava. Essere lì, in quel momento, non mi sembrò più una buona idea. Persino trovarmi in un vicolo da sola sembrava ora una pessima decisione da parte delle mie gambe, autonome e decise nei propri movimenti ma prive effettivamente di portarmi in salvo, quasi fossero intenzionate a punirmi per quanto fatto.
    Affrettai il passo, ora presente a me stessa, guardinga: volevo andare via, raggiungere le strade affollate, mischiarmi tra la gente e perdermi tra loro, quasi fossi una comune ragazza di villaggio.
    Poi le gambe si fermarono, la testa smise di divagare in paranoici sospetti, tutto divenne piatto. Succedeva sempre, quando mi trovavo ad affrontare una situazione in cui effettivamente diventavo sospettosa. Era come se d'un tratto la testa malata che ora ero convinta di avere mi abbandonasse, cedesse il posto ad una Kiria lucida, sana, estremamente fredda.
    Fissai il ragazzo davanti a me con sguardo privo di emozioni, le labbra serrate in un'espressione pacata, eppure gelida. Lo conoscevo, certo, ma ero abituata ad incontrarlo in contesti diversi, paradossalmente più sicuri: nel mercato nero, dove pullulano criminali di ogni specie, drogati o semplici ricercatori di prodotti particolari, mi sentivo circondata da un contesto regolamentato da un suo codice interno, una sorta di patto tra clandestini. Lì, così a proprio agio in quel contesto eppure così lontano dal suo ambiente naturale, mi infastidiva.
    Ad infastidirmi, probabilmente, era solo l'incontro tra la Kiria-dipendente e la Kiria-che-resiste, due entità che facevano a botte dentro di me. Volevo stare bene e sembrava impossibile senza droghe, e allo stesso momento avevo bisogno di punirmi e tenermene lontana. Quello era il momento della punizione, agevolata anche dalla carenza di denaro che segnava la mia vita in quel periodo.
    Compri, ragazzina?
    Oggi no. Con permesso.
    Mi limitai a dire. Non avevo dimenticato il vecchio alle mie spalle, per cui avrei comunque continuato a restare sul chi va là, pronta a difendermi da un suo eventuale attacco; avrei poi provato ad oltrepassare la figura dell'uomo che mi aveva bloccato la strada, evitando accuratamente il contatto col suo corpo: la mia afefobia, nata probabilmente con il contatto delle membra interne di Deichi con il mio corpo, il suo cadavere che mi schiacciava, mi imponeva di prestare grande attenzione nell'evitare qualunque tipo di contatto.
    Avrei prestato comunque attenzione anche alle sue mosse, con la mano sinistra all'altezza della sacca dei kunai: non bisogna fidarsi del proprio spacciatore, soprattutto quando non si acquista.
     
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    L'uomo ti lascia passare, senza toccarti, ma appena lo oltrepassi inizia a parlare, con tono tranquillo ma serio.
    Ti interessa un lavoro? Potrei avere per le mani una cosa che un ex ninja potrebbe fare senza problemi. Soldi facili. Ti interessa, ragazzina?
     
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    Sì.
    Fui secca, decisa. Si trattò quasi di un riflesso condizionato, la stessa istantanea, improvvisa reazione che si ha quando ci si scotta.
    Cercai di convincermi che quella reazione fosse dovuta al bisogno di tenere la testa occupata, soluzione che - oltre alla droga - avevo scoperto esser capace di tenermi lontana dai miei problemi, leggera e priva di sofferenze. Fino a quel momento, vagare mi era sembrata una risposta, affidare alle gambe il compito di portarmi lontano, uno zombie che cercava la strada per tornare in vita o morire definitivamente.
    Un lavoro, per un mukenin, era qualcosa di estremamente difficile da trovare. Per un mukenin che diventa tale per un incidente, fino all'istante prima fedele burattino dello stato, lo era ancora di più.

    In realtà, la parte più matura di me, soffocata in quel momento dalla vergogna, sapeva che tanta decisione era derivata da altro: il mio spacciatore sapeva esattamente come parlare ad un drogato. Lavoro senza problemi, poiché un drogato non ha la costanza per affrontarli. Soldi facili… cosa desidera se non questo, chi è nella sua cerchia di clienti?
    Ora, voltata, guardavo in volto il mio giovane negoziante, dando le spalle a quella che fino a pochi istanti prima pareva essere la mia unica via di fuga. Ora quel bisogno era lontano, vinto dalla curiosità che si era accesa come una fiammella, una caratteristica della Kiria bambina che risvegliata era in grado di darmi calore.
    Di che si tratta?
     
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    Omicidio.
    L'uomo fa una pausa, come per osservare la tua reazione. Lavorando per strada ha imparato a studiare a dovere le persone con cui ha a che fare. Sorride, malizioso, ma è pronto a cambiare atteggiamento a seconda di come rispondi.
    Conosco un tipo, che conosce un altro tipo, che ha sentito che una persona ha bisogno di farne sparire un'altra e ha bisogno che non siano coinvolti volti noti alle autorità di qui. Tu saresti perfetta. Non conosco i dettagli, sono solo un intermediario, ma di sicuro la paga è buona. Ti interessa?
    Altra pausa, per permetterti di dare la tua risposta. Se essa è positiva va avanti.
    Ottimo. Domani alla mezza al "Gallina dorata", fatti trovate lì e ti verranno dati tutti i dettagli. Probabilmente parlerai direttamente con il cliente. Per la tua sicurezza non diremo niente a lui su di te. Sarai tu a dover andare da lui, avrà una sciarpa verde scuro come segno di riconoscimento. Se ci sono problemi invece saremo noi a contattarti. Chiaro?

    Fai pure tutte le domande che vuoi al tizio, se hai bisogno di qualcosa di specifico chiedimi pure in pvt, così risparmiamo tempo. Chiudi il post al momento in cui arrivi nel ristorante.
     
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    Rimasi imperturbabile di fronte alla parola omicidio, lasciando che il volto restasse impassibile, senza corrucciarsi neppure nella più piccola ruga di disapprovazione. Dopotutto ero stata un ninja: nascondere ciò che provavo nei riguardi della morte in tutte le sue forme era pratica a cui paziente mi ero abituata.
    In realtà, per la prima volta l'idea di uccidere non mi ripugnava. Fino a quel momento, le mie mani erano sporche del solo sangue di Deichi, unico che aveva perso la vita a causa mia. Ero convinta che se mi fossi sporcata di nuovo di sangue, se la mia anima avesse subito nuove contaminazioni, allora l'idea di aver ucciso mio fratello sarebbe divenuta più sostenibile. Io, Kiria Yami Uchiha, forse ero nient'altro che un mostro, e questo mostro doveva trovare la sua piena affermazione.
    Dimmi di più.
    Affermai, notando il suo sguardo indagatore su di me; sorrisi di rimando con la stessa malizia che lui mi aveva riservato, imitando con scarsa difficoltà quel nuovo modo di approcciare alle persone, quel sorriso languido che voleva dire più di quanto non facesse, andando ben oltre ciò che fossi effettivamente in grado di comprendere.
    Conosco un tipo, che conosce un altro tipo, che ha sentito che una persona ha bisogno di farne sparire un'altra e ha bisogno che non siano coinvolti volti noti alle autorità di qui. Tu saresti perfetta. Non conosco i dettagli, sono solo un intermediario, ma di sicuro la paga è buona. Ti interessa?
    Come ero solita fare, analizzai brevemente le informazioni ricevute, in una sorta di sintesi dei punti principali che emergevano da quel discorso. Doveva esser qualcosa che richiedeva massima furtività e una certa libertà di movimento, probabilmente in un contesto pubblico; dopotutto, si trattava di "soldi facili", quindi probabilmente non avrei neppure dovuto confrontarmi con un ninja. Provai ribrezzo verso me stessa, verso la curiosità che provavo in quel momento quasi si trattasse di un gioco. Per acquietare la Kiria coscienziosa, mi dissi che semplicemente non avevo ancora pienamente realizzato quanto avrei dovuto fare.
    Annuii in un sorriso ampio, rassicurante: volevo che il mio spacciatore riponesse piena fiducia in me.
    Ottimo. Domani alla mezza al "Gallina dorata", fatti trovate lì e ti verranno dati tutti i dettagli. Probabilmente parlerai direttamente con il cliente. Per la tua sicurezza non diremo niente a lui su di te. Sarai tu a dover andare da lui, avrà una sciarpa verde scuro come segno di riconoscimento. Se ci sono problemi invece saremo noi a contattarti. Chiaro?
    L'utilizzo del plurale rivelò qualcosa in più sul mio interlocutore che fino a quel momento non mi era mai stato chiaro: probabilmente faceva parte di una sorta di organizzazione, forse più semplicemente di un gruppo che gestiva con scarsa difficoltà affari illeciti. Stavo dunque entrando in una sorta di sistema malavitoso, strumento di uccisione di persone che si limitano a muovere fili, a far incontrare la domanda con l'offerta mantenendo apparentemente le mani pulite. La droga doveva esser parte residua di quel giro d'affari illegali. Provai una sorta di ambiguo piacere nel sentir parlare di "mia tutela", quasi come se in quel momento al mondo interessasse qualcosa di me, e quel senso di piacere silenziò il fastidio del passare dall'essere il burattino di Konoha al burattino di chissà quale organizzazione criminale.
    A questo punto, comunque, anche il mio spacciatore doveva guadagnare la propria percentuale.
    Sarai tu a pagarmi? O è argomento di discussione con il mio referente di domani?
    Se il mio spacciatore si fosse rivelato essere anche colui a cui far riferimento per la somma da riscuotere ad attività conclusa, avrei chiesto ulteriori informazioni anche sulla quantità di denaro prevista. In caso contrario, mi sarei congedata.

    L'alba del mattino successivo parve essere un miraggio, sopraggiunta dopo una notte movimentata. Non avevo dormito bene: da sola, i sensi di colpa avevano già trovato spazio nel letto che mi aveva ospitato, accompagnandomi durante tutta la notte. La speranza restava dunque quella di dover uccidere un criminale, una presenza oscura e maligna, improvvisamente eroina di un mondo che non mi conosceva e a cui non importava nulla di me.
    Il sole, con i suoi timidi raggi del mattino, aveva però abbandonato quei pensieri, lasciandomi con il solo desiderio di sporco. E denaro. Mi sarei poi premiata con una dose di qualcosa abbastanza forte da farmi dimenticare il tutto.
    Mi dedicai a lunghi preparativi per curare il mio aspetto: truccai il volto in maniera tale da guadagnare nell'apparenza qualche anno senza tuttavia apparire volgare, e indossai un kimono comodo e tuttavia comune, che celava in realtà lo stretto vestito nero che aderente seguiva le esili linee del mio corpo. I capelli, ormai lunghissimi, furono avvolti in un comodo chignon, lasciando che solo poche, ordinate ciocche coprissero il volto.
    Raggiunsi poi la "Gallina dorata" con leggero anticipo, per poi cercare con lo sguardo sia il mio punto di riferimento, l'uomo con la sciarpa verde scuro, sia eventuali persone sospette all'interno di quel luogo. Dopotutto ero sempre una fuggitiva sospettosa.
     
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    La fauna che popola il locale sembra composta da persone in disgrazia, tra lavoratori dall'aria grezza e uomini con tutto l'aspetto di essere criminali. Nessuno ti dà fastidio, come se tutti sapessero che in quel posto farsi i fatti propri è l'unico modo di sopravvivere.
    Passano pochi minuti e finalmente qualcuno entra dalla porta. Si tratta di un uomo sulla cinquantina, barba tagliata corta e capelli brizzolati. Indossa la sciarpa verde che ti era stata annunciata. Si va a sedere ad uno dei tavoli, guardandosi attorno con aria circospetta. Sembra totalmente a disagio, non è il suo ambiente tipico, lo si capisce anche dall'abbigliamento.
    Se ti avvicini e ti siedi al suo tavolo, l'uomo ti fissa qualche secondo, a bocca spalancata. Poi il suo volto si colora di un velo di vergogna, mentre finalmente inizia a parlare.
    Sei... sei davvero tu?
     
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    Notai sin da subito il mio essere fuori contesto, una mosca bianca in uno sciame caotico e decadente. Eppure, non mi sentii a disagio: io ero come ognuno di loro, in disgrazia come quei lavoratori insoddisfatti del proprio status economico, sporca dentro come i criminali che avevano fatto di quel luogo il proprio punto di riferimento. Io sapevo solo nascondermi meglio, celare lo sporco dietro la grazia del mio aspetto.
    Nel locale, ad ogni modo, non vi era ancora la persona che avrei dovuto incontrare, quindi concentrai la mia attenzione proprio sulla porta. Arrivò così anche lui, il mio soggetto, un uomo che doveva avere tra i quaranta e i cinquant'anni; non avendo avuto incontri con molti uomini adulti, era davvero difficile per me individuare l'età più o meno esatta del mio referente. La sciarpa, insieme all'aura di disagio che lo accompagnava, fu chiaro segno che quello era il mio uomo. Lo seguii con lo sguardo per tutto il suo tragitto, accompagnandolo con i miei occhi dorati al tavolo che aveva scelto per l'attesa, i suoi occhi vaganti alla ricerca del proprio strumento che mai una volta avevano incrociato i miei.
    Mi avvicinai dunque con movimenti lenti e sicuri, andando a trovare il mio posto di fronte a lui. Congiunsi le mani, le dita esili intrecciate tra loro, per poi immergere i miei occhi dorati nei suoi, un sorrisetto impresso sul volto. Mantenni quell'espressione mentre lui accartocciava il suo viso, perplesso e stupito, cambiando colore: dal pallido del disagio al rosso della vergogna.
    Sei... sei davvero tu?
    Sì, sono davvero io. Come posso aiutarla?
     
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    Il disagio dell'uomo è palpabile, per qualche secondo ti fissa senza dire nulla. Poi impreca sottovoce e tira fuori l'immagine di una donna sulla ventina. Capelli biondi, viso sorridente e solare, corpo slanciato. Molto bella.
    Lei deve sparire. - il tono di voce è bassissimo, non vuole che nessuno lo senta - Ho bisogno che lei sparisca o rovinerà tutto di nuovo. Deve sembrare un incidente, non devono poter risalire a me. Pensi di esserne in grado?
    Il suo volto è corrugato in un'espressione che sembra tradire oltre alla vergogna una certa dose di tristezza e rassegnazione. Ti fissa dritto negli occhi, incerto. Ha bisogno di risposte.
     
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    Rimasi impassibile di fronte allo sguardo dell'uomo, fissandolo a mia volta.
    Odiavo essere guardata; vissuta all'ombra di mio fratello, nascosta nella periferia composta e civile di Konoha, non ero mai stata abituata a sguardi insistenti, e il mio stesso modo di combattere derivava proprio da quel bisogno di nascondersi in antitesi con un altro bisogno, quello di esser guardata per utilizzare gran parte delle mie illusioni.
    Non gradii l'imprecazione, non ero abituata a sentir uomini esprimersi in maniera scomposta. Deichi non aveva mai proferito parola fuori luogo in casa, tantomeno il vecchietto che mi ospitò durante il mio periodo di latitanza nel Paese degli Uccelli; rimasi comunque impassibile, allungano lievemente il collo per vedere in anteprima quanto l'uomo mi avrebbe mostrato qualche istante dopo.
    Una donna.
    Ne memorizzai i tratti, dai capelli biondi ai dettagli di un corpo sinuoso e slanciato che mai avrei avuto, con una punta di invidia tutta femminile. Fino a quel momento, avevo creduto di dover gestire una persona rude e crudele, quindi il volto della ragazza che mi sorrideva mi lasciò basita per qualche istante, seppur cercai di celare anche quell'emozione: nulla doveva trasparire innanzi ad un così scettico cliente.
    Lei deve sparire. Ho bisogno che lei sparisca o rovinerà tutto di nuovo. Deve sembrare un incidente, non devono poter risalire a me. Pensi di esserne in grado?
    Gli occhi passavano dal volto della donna impresso sulla foto a quello dell'uomo, come se volessero ricreare una sorta di legame tra i due; non ero abituata a così tanto scetticismo nei miei confronti. I villaggi avevano a propria disposizione ninja ben più giovani di me, per cui mai un'autorità si era rivolta a me coi medesimi dubbi. Poi decisi di concentrarmi sul suo volto alla ricerca di qualcosa che andasse oltre lo scetticismo: ne vidi tristezza, rassegnazione, quasi la decisione di sbarazzarsene fosse stata presa controvoglia, unica soluzione a un male peggiore persino dell'omicidio. Oppure forse la tristezza era per me: una ragazzina che a breve avrebbe dovuto sporcarsi le mani per chissà quale assurdo motivo.
    Io, di mia volta, non provavo niente: ero svuotata da ogni affetto ora che ero rimasta sola al mondo.
    Ho bisogno di alcune informazioni. Questa donna ha qualche abilità particolare? Devo sapere esattamente cosa sa su di lei, in modo da non essere colta di sorpresa quando sarà fatta la sua volontà.
    Esordii decisa, allontanando il volto dalla foto e cercando lo sguardo del mio interlocutore.
    Le chiedo poi se è a conoscenza di particolari abitudini o passioni della ragazza: potrebbero servirci. Infine, ho bisogno di sapere dove posso trovarla e se vi è un modo per entrare in contatto con lei senza destare sospetti
    Gli sorrisi decisa: doveva capire che io ero solo uno strumento di esecuzione, sentire il peso della sua decisione: sporcarsi le mani per mano di altri era qualcosa che difficilmente riuscivo ad accettare, ma in quel momento il bisogno di soldi, di purificarmi sporcandomi superava ogni pregiudizio.
    Non si preoccupi: io farò di questa ragazza ciò che lei vorrà.
     
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    Abilità? Essere l'amante del capo conta come abilità? Purtroppo è proprio il fatto che sia incapace il problema.
    Un sorriso triste gli colora il viso, ma lo scaccia via subito, per rispondere alle altre domande.
    Non so molto di cosa fa nel tempo libero. Quando non è in scena si rintana nel suo camerino e appena finiamo se ne scappa a casa sua. Dovrebbe abitare in una zona più centrale, posso farti comunicare l'indirizzo preciso entro qualche giorno. Nell'ultimo periodo gira con un tizio, credo sia una sorta di guardia del corpo, anche se lo chiama il suo "agente". Un armadio di due metri. Ecco, ho una foto anche di lui.
    Ti mostra l'immagine di un uomo sulla quarantina, pelato e dallo sguardo truce.
    Qualche giorno fa mi ha quasi minacciato per far cambiare ad Haruko una battuta che non riusciva a dire. Adesso che stiamo facendo questa merda chiamata "Occhi del cuore" posso ancora accettarlo, ma stiamo per iniziare un nuovo progetto, una cosa di qualità finalmente e so che lei cercherà di infilarsi. Non posso permetterlo, rovinerebbe tutto, rovinerebbe qualsiasi speranza di risollevare la mia carriera. Per questo ho bisogno del tuo intervento. Per entrare in contatto con lei forse conviene che tu venga a teatro, che ti inserisca in qualche maniera tra i lavoratori. Non parla molto con i lavoratori, ma con altri attori ogni tanto lo fa, quindi forse possiamo organizzare qualcosa. Tu riusciresti a travestirti?
     
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    Demone puccioso

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    Fissai incuriosita il suo sorriso triste, inclinando il capo. Non capivo quali abilità dovesse possedere una donna per esser l'amante del capo se non un bel corpo, dote di cui il bersaglio sembrava essere provvisto, e al massimo buone doti intime.
    Non so molto di cosa fa nel tempo libero. Quando non è in scena si rintana nel suo camerino e appena finiamo se ne scappa a casa sua. Dovrebbe abitare in una zona più centrale, posso farti comunicare l'indirizzo preciso entro qualche giorno. Nell'ultimo periodo gira con un tizio, credo sia una sorta di guardia del corpo, anche se lo chiama il suo "agente". Un armadio di due metri. Ecco, ho una foto anche di lui.
    Avvicinai la foto al mio sguardo trascinandola lungo il tavolo: l'uomo aveva effettivamente un aspetto imponente, e riflettei di colpo sulla difficoltà che poteva comportare uno scontro con lui. Il fatto che girasse con una sorta di scorta mi spingeva a sospettare che avesse bisogno di supporto nel difendersi, facendo così dell'uomo il mio principale ostacolo. Il mio spacciatore mi aveva venduto quello come "lavoro per soldi facili", ed ero molto delusa dalla presenza improvvisa di un così grosso avversario; solo in quel momento mi sentii vagamente stupida ad esser stata assoldata indirettamente da uno spacciatore, eppure il pensiero morì presto nella mia testa: mi sarei fatta regalare una dose extra di qualcosa e l'avrei perdonato, più probabilmente dimenticato.

    Ascoltai con finto interesse le paturnie dell'uomo sul suo spettacolo senza mai distogliere lo sguardo dalla foto del mio primo obiettivo, imprescindibile ostacolo al superamento della missione. I miei occhi incontrarono i suoi solo quando mi propose, seppur in quel classico modo indiretto che caratterizzava i discorsi del mio interlocutore, di entrare in teatro come attrice.
    Restai qualche secondo in silenzio, assorta nella domanda che mi aveva appena posto.
    Le informazioni circa le abilità di qualcuno provenienti da quell'uomo erano inutili.
    Doveva ignorare totalmente, radicalmente qualunque abilità ninja, poiché trasformarsi era una delle prime tecniche che venivano insegnate in accademia; compresi pienamente il suo scetticismo, guardandomi per la prima volta con I suoi occhi. Una ragazzina minuta in età adolescenziale che si propone di eliminare il problema.
    In altri tempi sarei stata più paziente, eppure la consapevolezza di quel che provava l'uomo non comportava in me nessuna empatia, persa nel disinteresse apatico in cui vivevo.
    Mi dica quando venire a teatro; sarò bionda come la sua vittima, ma più bassa e dal fisico paffuto, qualche anno in meno rispetto alla donna di cui la libererò. La prego di essere molto cauto e non destare nessun sospetto.
    Aspettai un cenno dell'uomo affinché avesse ben chiaro che avrebbe avuto innanzi a lui una persona radicalmente diversa da quella che stava comunicando in quel momento. Avevo ponderato con attenzione l'aspetto dietro cui celarmi: avevo bisogno che la donna rivedesse in me una sua versione più giovane e ingenua, al fine di suscitarle empatia, e allo stesso modo una versione meno bella e decisamente incapace, in modo da non suscitare in lei invidia, gelosia o sospetto. Una sorta di sorella minore brutta e grassa di cui potersi fidare.
    Il mio aspetto, del resto, poteva essere noto all'interno del Paese del Tè: oltre ad aver notato pericolose locandine di una me più giovane ma non per questo meno riconoscibile, avevo partecipato pochi mesi prima ad uno scontro, vincendo in pochi turni e rischiando di guadagnare una piccola fama della quale avrei fatto volentieri a meno.
    Un'ultima domanda: ha idea del perché quest'uomo la affianchi solo nell'ultimo periodo? Lei o qualcun altro ha già provato a liberarsene? Oppure ha semplicemente alimentato i suoi sospetti in qualche modo?
     
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    Demone incendiario

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    L'uomo accetta il tuo piano, dicendo che puoi venire in teatro già dal giorno seguente e che ti avrebbe trovato un ruolo adeguato.
    Una scusa per mandare via una delle comparse la posso trovare senza fatica, alcune di loro sono semplicemente terribili. Se ti mettessi in alcune scene in cui compare anche lei forse potresti studiarla o cercare di parlarle. O preferisci non entrare in contatto con lei direttamente?
    La sua goffaggine sembra aumentare ogni minuto che passa. Non ha idea di come si faccia, non sembra avere idea di niente. Per fortuna pare riprendersi un minimo quando gli chiedi della guardia del corpo.
    Credo che il motivo principale sia stato un episodio spiacevole con un fan troppo fissato. Nulla di che, si era solo presa un grande spavento. Nonostante reciti in maniera orribile a certa gente piace, solo per il suo aspetto, immagino. Quindi credo voglia usare il suo armadio per difendersi dagli ammiratori, ma come detto gli ha già anche chiesto di mezzo minacciarmi, quindi credo abbia deciso di usare quel bestione in maniera aggressiva, per ottenere quello che vuole. Se Haruko scopre del mio nuovo progetto non accetterà un no.
    L'uomo si fa estremamente preoccupato, mentre pronuncia quell'ultima frase.
    Il lavoro deve essere completato entro una settimana, una e mezza al massimo, altrimenti sarà tutto inutile...
    Se non hai altre domande l'uomo ti lascia andare e puoi prepararti per il giorno successivo nella maniera che preferisci. Ti ha lasciato delle indicazioni chiare sul posto da raggiungere, è in un quartiere del centro. Mentre passi in quella zona di città noti subito la differenza rispetto a quelle in cui avevi girato prima. Sembrano come due mondi differenti. E, se usi la trasformazione, nessuno pare prestare attenzione a te.
    Il teatro è un edificio enorme, molto elegante. Se provi a entrare vieni fermata subito da una donna sulla cinquantina, che ti chiede chi sei e cosa ci fai laggiù.
     
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