Il mio mondo | Livello D

Partecipanti: Aiko Netsushi | QM: Utino (Autogestita)

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    Demone velatore

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    Un po' da qui e un po' da là

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    Un disco ben accolto in patria è un ottimo primo passo, ma fuori dal Mare il nome di Fukusha è ben poco noto. Il presidente Nappa ha organizzato una serie di eventi e un piccolo tour, perché il successo ottenuto possa allargarsi a macchia d'olio. Il mondo è lì davanti a te, ragazzina, vai a farlo tuo!
     
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    Capisco. Quindi... sei pronta a tornare in azione?
    Avevo appena raccontato al presidente Nappa gran parte dei problemi che avevo avuto durante quell'inizio di estate. Era stato un periodo terribile e pieno, non ero entrata nei dettagli ma ci voleva poco a capirlo. E lui, invece di compatirmi o dire frasi fatte, aveva saputo leggere bene il mio sguardo.
    Non vedo l'ora.
    Passammo l'ora successiva di incontro a progettare le prossime mosse. "Jiro" era stata una hit incredibile, nessuno avrebbe saputo predire l'entità del successo che aveva avuto un pezzo che nella mia mente era destinata ad essere una canzone quasi secondaria, dal punto di vista commerciale. Potevo scegliere se cavalcare l'onda quel successo e diventare una star a livello nazionale oppure puntare su altro. L'idea di avere una fama di quel tipo mi spaventava un po', non volevo finire a fare pubblicità o ospitate televisive che non c'entravano nulla con la musica, solo per mantenere il mio nome, non volevo finire su riviste di gossip. Inoltre non mi ispirava molto chiudermi in un piccolo cantuccio, io volevo aprirmi al mondo, volevo che le mie canzoni fossero conosciute da quante più persone possibili. Era questo il mio sogno, fare in modo che la mia arte toccasse i cuori degli altri.
    Quindi questo è quello che vuoi, in fondo. Mi sta bene, mi piace, posso lavorarci con questo. Abbiamo sedi anche nel Tè e nella Neve, ma qualche contatto altrove dovrei avercelo ancora. Si tratta però di un percorso non semplice, tutt'altro. Ci sarà da muoversi, da faticare. Sei pronta a farlo?
    Non ci fu bisogno di parole, bastò un sorriso eccitato e un cenno d'assenso per rinfocolare la determinazione del presidente.
    Tra poco più di una settimana ci sarà l'anniversario di nascita del Paese della Luna. All'inizio pensavo di mandare te e Morgan come rappresentanti della UMI, poi visto che non sembravi tornare in tempo ho ridotto a solo lei. Se ti senti pronta però posso provare a includerti, dovremmo essere ancora in tempo. Sarebbe un buon primo passo per un tour.
    Era un'occasione splendida, adoravo Morgan e andavo molto d'accordo con lei, sia personalmente che artisticamente. Cercai di far capire con parole e mimica quanto ero grata per questa opportunità e dovetti riuscirci, dato il sorrisetto compiaciuto di Juan.
    Molto bene. Fatti trovare alle due qui, ci sarà anche lei. Discuteremo dei dettagli insieme.


    Certo che veniamo anche noi, che domande! Non ti libererai di noi tanto facilmente, vero Ryuko?
    La bambina fece qualche verso insensato e un sorrisone in risposta alla domanda di sua madre. Aveva appena riferito a Draig quello che mi aveva proposto il presidente e le avevo chiesto se se la sentiva di partire insieme a me. Lei non aveva avuto dubbi, anzi si era dimostrata più contenta di partire di quanto avrei pensato. Le diedi un buffetto sul naso, come risposta alla sua provocazione, poi diedi un bacetto sulla guancia della nostra piccolina e un altro, di diversa intensità, sulle labbra della mia donna.
    Sai, ho sempre voluto avere un assaggio della vita che facevi prima. Da quando stiamo insieme alla fin fine sei stata sempre più o meno ferma. Sia nell'Artiglio che qui. Voglio provare l'ebbrezza di viaggiare insieme a te, anche solo per poco. Ti toccherà fare la mamma anche in tour, sai?
    Non vedo l'ora. Che dici, andiamo a fare subito le valigie?
    Con i sigilli ad una mano creai un paio di cloni fisici e poi feci cenno a Draig di passarmi la bimba. Le diede un bel bacetto, prima di fare lo scambio di mamme, poi insieme ci spostammo in camera. Ci sarebbero state un bel po' di cose da preparare.


    GRAZIEE!!
    Il pubblico era caldo, attivo, festoso. Ci trovavamo in una piccola e antica arena poco fuori la capitale, la serata era iniziata da poco, quel concertone faceva parte dei festeggiamenti meno ufficiali, ma era comunque trasmessa in diretta su una delle emittenti principali del Paese. Era un evento piuttosto grosso, c'erano ospiti da quasi ogni parte del mondo, e anche se non eravamo state messe nel momento più caldo della serata ero comunque eccitatissima. Avevo appena finito di cantare "Jiro" e "Non ho radici", che avevano riscontrato un forte gradimento da parte degli spettatori, ma ora toccava a qualcosa di diverso.
    Grazie di tutto, di questa accoglienza. Ora vorrei che faceste lo stesso per una mia amica e collega, che canterà qui insieme a me. Una vera stella, una delle più brillanti del Mare, una voce magnifica. Signori, un bell'applauso per Morgan Daraen!
    Per fortuna il pubblico mi diede retta e accolse con un'ovazione la donna, che avanzò sicura in un bellissimo vestito tradizionale del Mare, che evidenziava il suo fisico in maniera sopraffina. Ogni volta mi sentivo un po' intimorita dal contrasto tra i nostri corpi e le nostri voci, lei era sensuale e potente, io mi sentivo una bambina scema al confronto. Per fortuna Draig era una maestra a rassicurarmi e saperla dietro le quinte, ad ascoltarmi, mi dava una forza immensa.
    Grazie! Ora abbiamo una sorpresa per voi, un omaggio ad un cantante scomparso da poco, una delle canzoni più famose della vostra terra, suonata nello stile della nostra terra. Signori, "Svegliami"!

    Un piccolo boato ci diede il via libera, l'idea era piaciuta. Aspettammo che gli spettatori si chetassero un po', poi una delle chitarre partì, seguita poco dopo da Morgan.
    Estoy sintiendo mi camino a través de la oscuridad...
    Mi inserii a quel punto con il violino, per il momento con un accompagnamento piuttosto timido e leggero.
    guiada por mi corazón
    no sé decir dónde le je va terminar
    pero sé por dónde empezar.

    A quel punto intervenne il resto degli strumenti, tra cui soprattutto le trombe, che riprodussero il passaggio più famoso di quella canzone. Poche note semplici, entrate come poche altre nella cultura popolare di tutto il continente.
    Il pezzo andò avanti ancora per mezza strofa, prima di raggiungere il ritornello, quando sospesi il mio contributo con il violino per dedicarmi al supporto vocale a Morgan. Le nostre voci, pur così diverse, si fusero in una sola, più forte ed elegante. Avevamo provato tantissime volte e il risultato era stato grandioso. Funzionavamo proprio bene come duetto.
    Despiertame cuando todo haya terminado,
    Cuando sea mayor y mas sabia,
    Todo este tiempo he estado encontrándome a mi misma,
    Y no sabìa que me perdi.

    Il testo originale era in lingua comune, ma esisteva una traduzione fatta molto tempo addietro in quella del Paese del Mare. L'arrangiamento invece era nuovo ed era parecchio azzardato, univa la melodia tipica del pezzo alle sonorità tipiche di un certo tipo di tradizione del Mare. L'uso delle trombe era stata un'idea geniale, in quello.
    Yo intenté llevar el peso del mundo,
    pero solo tengo dos manos,
    espero tener la oportunidad de viajar por el mundo,
    pero yo no tengo ningún planes.
    Desearía poder quedarme así de joven para siempre,
    no temo cerrar los ojos,
    la vida es un juego hecha para todos
    y el amor es el premio.

    Adoravo quel testo, era un inno a quanto c'era di buono e giusto nella vita. Crescere, sbagliare, viaggiare. Era a tratti malinconica, ma senza essere triste. Conoscevo quella canzone da anni, l'avevo suonata così tante volte e cantare questa versione, nel luogo in cui era nato chi l'aveva scritta... era qualcosa di davvero speciale. La mia carriera mi stava dando così tante soddisfazioni che sembrava quasi irreale.
    Dopo il secondo ritornello ci fu una piccola pausa e un piccolo assolo di chitarra. Morgan cantò un'altra volta il ritornello, in questo caso in comune, e la accompagnai con un lungo vibrato di violino, poi ritornammo allo stile precedente.
    Despiertame cuando todo haya terminado
    Cuando sea mayor y mas sabia
    Todo este tiempo he estado encontrándome a mi misma
    Y no sabia que me perdi.

    Il brano continuò ancora un poco, con Morgan che ripeté un paio di volte l'ultimo verso, più intensamente ogni volta, finché la musica non si spense piano. A quel punto avemmo la conferma che la scommessa pareva aver pagato, visto che il pubblico si lasciò andare ad una grande ovazione. Un ottimo modo di concludere la mia parte di concerto.
    Grazie! Grazie di tutto!
    Feci un sentito inchino, poi iniziai ad allontanarmi dal centro del palco. Sarei andata avanti a suonare anche altri cento anni, ma ora era il turno di Morgan.
    Un bell'applauso per Fukusha!
     
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    Dopo la Luna la serie di concerti iniziò in senso pieno. Juan aveva organizzato tappe abbastanza ravvicinate, quindi sarebbe stato un tour de force vero e proprio, come lo definì lui con un gioco di parole divertente. Il primo posto in cui ci fermammo, scelta quasi obbligata vista la vicinanza geografica, fu il Paese dell'Acqua, in particolare nell'isola principale. Il primo live fu a compimento di una fiera locale, quindi con un palco improvvisato e un'acustica non perfetta. Ricollegarmi ad un evento già esistente fu però il modo perfetto di radunare un buon numero di spettatori. Il pubblico fu caldo e accogliente, un buon modo di iniziare le danze.
    Se il primo concerto era stato dal lato opposto dell'isola rispetto a Kiri, il secondo fu un po' più vicino alla capitale, in una città portuale piuttosto grandicella. Il luogo in cui mi esibii era un teatro abbastanza ampio, abituato a eventi di questo genere. In questo caso il presidente aveva mosso tutti i suoi contatti per garantire un sistema di promozione ben più consistente. Nei giorni precedenti avevo fatto ospitate radiofoniche e persino un'intervista in televisione. Creare movimento, attrarre l'attenzione, Juan aveva insistito molto su questi punti. I risultati furono ottimi, andai parecchio vicina al tutto esaurito e il concerto fu un successone.
    Il terzo e ultimo live previsto per il Paese dell'Acqua fu in un piccolo club musicale, in un altro villaggio portuale a pochi kilometri da Kiri. Pochi posti, ma un ambiente estremamente suggestivo, fu un'esperienza da brividi suonare laggiù. Una emittente televisiva privata aveva ottenuto anche i permessi per filmare l'evento e lo avrebbe trasmesso in differita il giorno dopo. Ero al settimo cielo e anche il mio direttore artistico, Jonas Kamiizumi, era molto contento. Era convinto avessimo messo le basi per far conoscere il mio nome in quel Paese e aveva trovato accordi per la distribuzione dei miei dischi, appoggiandosi a compagnie terze che già si occupavano di distribuire altri artisti della UMI, tra cui Morgan.
    In tutto questo Draig e Ryuko viaggiavano sempre con me, per quanto non sempre riuscissi a stare con loro quanto avrei voluto. Se la cavavano alla grande, in ogni caso. Mia moglie si divertiva a scrivere - teneva un diario del viaggio e stava lavorando ad alcuni racconti - e a visitare i luoghi dove passavamo, anche se ovviamente la maggioranza del tempo era assorbita dalle cure della nostra bambina, a cui contribuivo in qualche modo con i cloni ma non nella maniera che avrei voluto. Se non altro lei non sembrava farmene una colpa, anzi. E Ryuko stava bene ed era felice, quindi la cosa mi sollevava.
    La tappa successiva era il Paese del Tè. Ci saremmo fermati di più, laggiù, erano previsti almeno sei concerti. Del resto era uno dei paesi in cui aveva sede la UMI, quindi i miei lavori giravano di più rispetto a fuori. Il primo live era in una specie di antico anfiteatro, sull'isola Nagi. Poi ci saremmo trasferiti sul continente, per arrivare a Port City. Però mentre eravamo sulla nave Jonas venne a parlarmi con aria seria.
    C'è una persona che ti sta cercando. Conosci Makoto Sensou?
    Avevo già sentito quel nome, era un compositore di colonne sonore piuttosto famoso, ne avevo ascoltate diverse e mi piacevano molto. Il produttore mi rivelò che costui aveva sentito i miei lavori e voleva propormi una collaborazione. Io accettai senza lasciare nemmeno finire all'uomo la frase, chiedendo di portarmi subito da costui. Lui rise e mi fece strada.
    Makoto era un uomo sulla quarantina, elegante e distinto, figlio di un poeta di Konoha ma che lavorava molto tra Fuoco, Tè e anche altri Paesi. Dopo i convenevoli mi spiegò cosa aveva in mente. Stava scrivendo la colonna sonora di un film in particolare e aveva composto un pezzo che aveva bisogno di una cantante che sapesse dare vitalità e spessore al tutto. Aveva pensato a me e già questo fu un onore enorme.
    La musica è praticamente pronta, prova a dare un'occhiata.
    Mi porse uno spartito, che lessi con avidità. Chiusi un attimo gli occhi, cercando di immaginarmi come sarebbe stata la musica.
    È... è bellissima...
    Ci misi qualche attimo a ritrovare compostezza, al che chiesi se aveva già qualche idea sul testo. Lui mi raccontò la trama del film a grandi linee, mi raccontò in quali scene pensava di inserirla e mi disse cosa pensava dell'atmosfera del pezzo, lasciandomi per il resto piena libertà.
    Capito. Entro pochi giorni le invierò una bozza. Ho già qualche idea. Spero le piacerà.



    Il piano, suonato da Makoto stesso, partì subito, insieme ad una chitarra solitaria. Poche note, molto tenui e tristi, ma ben caratteristiche. Erano la colonna vertebrale della partitura e mi piacevano da impazzire, nella loro apparente semplicità.
    Sono gocce di memoria
    queste lacrime nuove.
    Siamo anime in una storia
    incancellabile.

    Quell'incipit rappresentava bene il tema di cui avrei trattato. Del passato, di ricordi, di amore che superava la morte. Il film trattava questo argomento, la memoria aveva un ruolo centrale, ma avevo attinto ispirazione anche da un'esperienza personale. Scrivere di questo tipo di cose non poteva non farmi pensare a Rin e Kiryan, al loro rapporto. Non sapevo molto, non avevo avuto modo di conoscerli quanto avrei voluto, ma questo non mi aveva impedito di sentirli come figure importanti per me, non mi aveva impedito di piangere la morte del ragazzo dalle molte cicatrici che avevo conosciuto in quella stazione termale.
    Le infinite volte che
    mi verrai a cercare, nelle mie stanze vuote.
    Inestimabile,
    è inafferrabile la tua assenza che mi appartiene.

    Arcate di violino rade si inserivano ogni tanto, a dare forza alla melodia, a rendere l'atmosfera più evocativa e onirica. Avevo insistito per suonarle io, quelle parti, ci tenevo a fare mio quel pezzo il più possibile. Era stata una collaborazione nata quasi per caso, ma mi aveva colpito e volevo lasciare il mio segno, visto che adoravo il lavoro fatto da Makoto.
    Siamo indivisibili,
    siamo uguali e fragili
    e siamo già così lontani...
    lontaaaani.

    Il testo non era del tutto esplicito, ma ai miei occhi sembrava alludere in maniera piuttosto chiara. A dividere i due protagonisti della vicenda non era stata una separazione qualsiasi, non poteva essere stata nient'altro che la morte. Avevo già fatto un'operazione simile con "L'ultimo bacio", ormai uno dei classici del mio repertorio, ma qui la canzone aveva una sfumatura diversa. Quello era un canto di addio, funebre, che celebrava il momento di tragica separazione. Questo altro testo invece raccontava un momento successivo, il momento del ricordo, il momento in cui uno dei due ha proseguito il cammino da solo ma sente sempre viva la presenza dell'altro, pur così lontano ormai. Non sapevo quanto le mie allusioni potessero essere comprensibili agli ascoltatori, se non altro a Makoto piacquero.
    Le parole furono interrotte dalla melodia iniziale, che accentuò in maniera agrodolce il finale di strofa. Poi iniziò quella successiva, con una grinta assente in precedenza, sia nella voce che nella musica.
    Con il gelo nella mente,
    sto correndo verso te.
    Siamo nella stessa sorte,
    che tagliente ci cambierà.
    Aspettiamo solo un segno,
    un destino, un'eternità.
    E dimmi come posso fare per raggiungerti adesso...
    per raggiungerti adesso,
    per raggiungere te

    L'energia della seconda strofa si accumulò pian piano, per arrivare a confluire in quello che poteva essere una sorta di ritornello, o almeno la cosa che più vi si avvicinava in questa canzone. Con la fine delle parole a prendere il ruolo di protagonista era stato il violino, con l'imitazione del motivo principale di pianoforte, però più ritmato e deciso. Makoto aveva insistito che questa parte fosse accompagnata anche dalla voce, da delle specie di piccoli virtuosismi che di solito non erano il mio forte, ma che con un po' di insistenza riuscii a fare per bene. Questi si portarono dietro la musica, arrivando a diminuire di intensità dopo il picco precedente.
    Siamo gocce di un passato,
    che non può più tornare.
    Questo tempo ci ha tradito,
    è inafferrabile.
    Racconterò di te,
    inventerò per te
    quello che non abbiamo.

    Il tono e il motivo della canzone ripresero in toto l'inizio, giocando con le parole in modo crudele, tra somiglianze e differenze. Avevo fatto uno sforzo di immaginazione per cercare di mettermi nei panni dei protagonisti, così come dei miei amici a cui era ispirata la canzone. Cosa avrei fatto se fosse mancata Draig? Cosa avrei voluto facesse lei, se fossi morta io? Il nostro legame era troppo forte per spezzarsi, anche con qualcosa del genere. Sarebbe rimasto per sempre a tormentare e impreziosire la vita del sopravvissuto. Così la pensavo o così temevo stesse facendo al povero Rin.
    Le promesse sono infrante
    Come pioggia su di noi.
    Le parole sono stanche,
    ma so che tu mi ascolterai.
    Aspettiamo un altro viaggio,
    un destino, una verità.
    E dimmi come posso fare per raggiungerti adesso
    Per raggiungerti adesso,
    per raggiungere te.

    La rabbia e la grinta uscivano dalla mia voce in corrispondenza con quel passaggio. Una ribellione tardiva ma indispensabile contro il destino crudele, quello era ciò che cercavo di comunicare con l'ultima strofa. Resilienza, per usare un termine che ultimamente avevo sentito spesso, usato anche a sproposito. L'energia che Makoto aveva infuso nella parte strumentale era perfetta per rappresentare quel concetto e speravo che le mie parole potessero in qualche modo aiutare a esprimere quella sensazione di dolore misto a voglia di riscatto e pienezza. Quella era la mia risposta, quello era ciò che avrei fatto per raggiungerla, se Draig fosse mancata. Avrei cercato di vivere la mia vita in pieno, portando avanti la sua memoria, rendendole onore. Raccontando a nostra figlia di lei, mantenendo vivo il legame come fosse ancora viva. Ovviamente era la risposta di una persona che non si era trovata in quella situazione, ma era comunque un messaggio che volevo comunicare.
    Con la fine del testo violino e voce si lanciarono in assoli paralleli, accompagnati dal resto degli strumenti. Alcune battute energiche, forti, poi la voce si eclissò e il tono della musica virò sostanzialmente, improntato più sulla dolcezza e sulla calma, fino alla naturale conclusione del pezzo.
    Ottimo lavoro.
    Quello fu l'unico commento di Makoto, mentre si toglieva le cuffie. Il fonico e il direttore artistico confermarono con gesti di apprezzamento. Io ringraziai tutti quanti per il duro lavoro e l'opportunità concessa, ero davvero felice di come era uscito quel pezzo. Il compositore mi aveva dato anche il permesso di inserirlo nel prossimo disco che avrei fatto, ovviamente segnando il suo nome come autore delle musiche. Avrei potuto anche suonarlo nei live, però mi aveva chiesto di aspettare l'uscita del film, prevista a settembre.
    Ci abbiamo anche messo meno del previsto. Domani si riparte, Aiko, sei pronta?
     
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    C'era stato un tempo in cui mai avrei pensato di finire in televisione, un tempo in cui l'unico luogo in cui suonavo era la strada, un tempo in cui facevo tanti lavori diversi per sopravvivere. Mi piaceva, all'epoca, ora invece era tutto diverso. Vivere di musica era bellissimo, un sogno divenuto realtà, ma aveva anche dei piccoli contrattempi. Come il dover fare promozione, soprattutto quando suonavo in Paesi in cui il mio nome era totalmente sconosciuto. In alcuni programmi, sia televisivi che radiofonici, potevo cantare almeno un pezzo, ma spesso dovevo prestarmi a interviste lunghe e noiose. Domande comode, prodotti precostituiti, stereotipati. Un prezzo non così caro e che pagavo senza fare storie, anche se malvolentieri. Per fortuna ogni tanto qualcuno mi dava l'occasione di fare qualcosa di molto diverso.
    Ero nel Paese del Fuoco, in una cittadina a pochi chilometri da Konoha, e il mio direttore artistico mi disse di essere stato contattato da un programma comico molto famoso nella zona, "serata dagli Ylvis". Era un classico late show, però più tendente al demenziale, condotto da due fratelli, Barudo e Vegarudo Ylvisawa. Due giovani a posto, simpaticissimi e perfino professionali quando si trattava di scherzare. Mi proposero un'idea folle e io tentennai per un po', poi mi lasciai trascinare dall'entusiasmo. Avrei partecipato ad uno dei loro classici sketch, per fortuna non in diretta, un paio di giorni dopo.

    La sera della messa in onda ero nascosta dietro le quinte, a osservare di nascosto lo schermo dietro il bancone dei presentatori che finalmente si illuminava. Era il momento della mia parte. Si trattava di un video su cui avevamo lavorato il giorno precedente, ma non partii subito io. Dopo pochi secondi e poche note di piano entrava in scena infatti il protagonista, ovvero Barudo.
    Il sorriso
    è tutto quello che servì,
    un dito
    che passa tra i capelli rossi...

    Sullo schermo comparve a quel punto una ragazza, dall'aspetto evidentemente orientale. Si chiamava Lynn, un'attrice originaria del Paese del Miele, anche se viveva a Occidente da decenni ormai. Dopo aver scambiato qualche sguardo languido con l'uomo iniziò a cantare, ma la voce non era la sua, era la mia. Mi era stato proposto di doppiare quella scenetta, visto che conoscevo la lingua barbara.
    Helo,
    mae gennych glustiau hardd.

    Il testo era assurdo come i movimenti dei due protagonisti del video. La ragazza salutava lui e poi si complimentava per le sue orecchie, "piccole e belle". Quando mi avevano chiesto di tradurre quella frase avevo iniziato a subodorare stranezza, ma non avevo ancora capito dove volevano arrivare.
    Come, scusa?
    Non riesco a capiiirti...

    La scenetta andava avanti, in un crescendo di intensità demenziale notevole. Gli attori erano molto bravi, la musica semplice ma decisamente professionale.
    Dal fi'n dynn.
    "Stringimi forte", una frase che conoscevo fin troppo bene. Era una delle preferite di Draig, sempre pronta a chiedere un po' di coccole, ancora meglio se nella sua lingua materna. All'interno della storia l'attrice la pronunciava ad una persona appena conosciuta, ma quella non era di certo la cosa più assurda.
    Cusanwch fi!
    Anche di fronte alla richiesta di un bacio il protagonista ribadiva di non riuscire a capire, poi però aggiungeva di starsi innamorando lo stesso. A quel punto il mio ruolo era già terminato, ma la storia continuava. I due si mettevano a baciarsi, con lui che esaltava nel testo la sua "tecnica orientale". Non sapevo se qualcosa del genere esistesse, ma nel caso Draig la padroneggiava di sicuro alla grande. A quel punto si arrivava al ritornello, dove finalmente la battuta costruita nei versi precedenti trovava sfogo. I due protagonisti infatti, per superare la barriera, iniziavano a parlare "il linguaggio dell'amore". O almeno così diceva il testo, perché nel video in realtà i due iniziavano a fare versi inumani, urlandosi contro. C'erano anche i sottotitoli, che cercavano di trasformare la scena in un dialogo quasi normale, ma niente di quello poteva dirsi sensato. Quando avevo sentito la progettazione dello sketch avevo avuto dei dubbi iniziali, ma ora che vedevo il risultato finale effettivamente faceva molto ridere, a suo modo. E il pubblico in studio pareva del tutto d'accordo.
    Ma non finiva lì, lo sketch andava avanti. La coppia si spostava ad uno zoo e lui ad un certo punto adocchiava uno degli animali, una foca. Si ripeteva una scena simile a prima, con la foca che cercava di comunicare, usando versi simili al "linguaggio dell'amore", e il protagonista che diceva di non capire. La foca era interpretata da Vegarudo, usando la trasformazione, ci eravamo divertiti un sacco durante le riprese. Poi Barudo aiutava l'animale a fuggire e andavano insieme a casa, mentre la bella ragazza orientale se ne doveva andare via. Infine il protagonista e la luna improvvisavano un duetto, con la voce ovviamente distorta, in cui concordavano sul fatto che l'amore era la cosa più grande e bella della vita, dato che permetteva di parlare il "linguaggio dell'amore". A quel punto, con un verso di approvazione della foca, si chiudeva la canzone. Un grande applauso accolse il ritorno della luce nello studio, lo sketch era piaciuto.
    Ero molto soddisfatta di aver partecipato a quell'impresa assurda, oltretutto al di là dello scherzo sia la musica che la recitazione erano di buon livello e i partecipanti erano tutte persone molto simpatiche e alla mano, nonostante fossero delle sorta di superstar in quella zona. A quel punto la scaletta prevedeva che venissi chiamata sul palco, per far partire un'intervista quasi normale, però era stato estremamente divertente fare qualcosa di totalmente folle e fuori dalle mie abitudini, ero contenta di averlo fatto.
    Grazie! Grazie! E ora direi di fare entrare la ragazza che ha deciso di prestarsi ai nostri deliri. Direttamente dal Paese del Mare per parlarci del suo tour mondiale... un bell'applauso per Fukusha!


    Quella non fu l'unica occasione in cui ebbi l'opportunità di uscire dagli schemi mentre ero ospite in televisione. La seconda occasione mi fu concessa quando mi trovavo nel Paese del Fulmine. Venivo dalle due date nel Fuoco e da altre tre tra Zanna e Artiglio. Era stato bello tornare nei luoghi in cui avevo trovato la mia fede e in cui la storia con Draig era diventata quella che era ora, ma purtroppo non potemmo stare a lungo laggiù. Una volta superato il confine il direttore artistico mi rivelò che ero stata contattata da un programma che andava in onda tutte le mattine a Kumo, su una emittente non di primo piano. Fin lì tutto nella norma, ma non mi fu offerta solo un'intervista normale. Quando ascoltai la loro proposta strabuzzai gli occhi ed ebbi qualche secondo di tentennamento, poi decisi di cogliere l'opportunità.

    Il Mignolo col Prof.
    Sì, il Mignolo col Prof.
    Uno è un gran genio e l’altro un idiota...

    Iniziai a cantare non appena l'orchestra del programma partì a suonare. Ritmo lento, ma le note erano pesate e forti. Dense. Come fossero cariche di significato, anzi cariche di seduzione. Era stata quella l'indicazione base del regista, del resto.
    Sono cavie fatte su,
    sbagliando il menù
    Che coppia,
    il Mignolo col Prof. Prof. Prof. Prof.
    Prooooof.

    Quella che stavo cantando era la sigla di un vecchio cartone animato per bambini. Quando ero piccola non avevo la televisione a casa, quindi l'avevo scoperto anni dopo, nella stazione termale del Paese della Terra. Era simpatico, anche se decisamente strampalato e infantile. Mai avrei pensato, più di dieci anni dopo, di finire a cantare quella canzoncina, soprattutto non in quel modo. Truccata di tutto punto, con un vestito lungo vertiginoso e dotato di uno spacco quanto mai ambizioso. Draig mi avrebbe presa in giro a vita per quell'outfit, oppure me ne avrebbe preso uno uguale da indossare ogni tanto. Oppure, conoscendola, avrebbe fatto entrambe le cose.
    Una volta terminata la prima strofa mi sarei messa da parte e sarebbero intervenute due persone che erano rimaste dietro l'orchestra fino ad allora. Due uomini un po' attempati, vestiti da baristi. Si trattava dei doppiatori originali del cartone, che si erano prestati volentieri a quella scenetta. Interpretavano i loro personaggi, con la scusa narrativa che i due topini si stavano travestendo da esseri umani per raccogliere abbastanza soldi per un loro piano. Era uno sketch molto breve, ma ben costruito, con un paio di battute folgoranti e i tormentoni tipici dello show originale. Un omaggio molto sentito, ero onorata di aver potuto partecipare e aver conosciuto dei grandi vecchi dello spettacolo.
    La notte è fonda fonda,
    tanto da conquistare la Terra.
    Ma prima che nasca il Sole
    c’è chi li scopre e finisce male!

    La musica riprendeva la sigla originale, ma il pianista aveva fatto un lavoro eccelso a creare quell'arrangiamento, così suadente. Con poche note era riuscito a creare un'atmosfera intima e seducente.
    Il Mignolo col Prof,
    ma specialmente il Prof.
    Col suo cervellone è un pericolo mondiale.
    Insieme fan scintille,
    ne combinan sempre mille.
    Che coppia,
    il Mignolo col Prof. Prof. Prof. Prof.
    Proooof.
    Prof. Prof. Prof.

    Narf...

    Conclusi recitando il verso tipico del più alto dei due topi, caricando quella parola priva di senso di tutta la carica erotica di cui ero capace. Non ero sicura del risultato finale, ma più avanti Draig mi disse di essersi sciolta sul posto quando l'aveva sentita, quindi non doveva essere andata così male. Per fortuna al termine del pezzo ci fu la pubblicità, quindi ebbi modo di recuperare dall'imbarazzo che stavo provando. Dopo essa ci sarebbe stata l'intervista vera e propria, oltretutto ovviamente in diretta, quindi non potevo lasciarmi prendere troppo dall'emozione. Ero così contenta di essere stata coinvolta in un progetto del genere, quella tournée attorno al mondo si stava dimostrando piena di sorprese e occasioni uniche.
     
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    Demone incendiario

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    Il periodo nel Paese del Suono fu molto piacevole, passammo molto tempo con il mio amico Bort e la sua nuova ragazza. I due concerti andarono bene, così come le tre date nella Neve. Lì fu un po' più semplice vendere i biglietti, visto che era uno dei Paesi in cui la UMI aveva sede e quindi il mio nome era un minimo più conosciuto. Fu proprio in quella occasione che il mio direttore artistico fu avvicinato da un trio di ragazzi, che gli propose di chiedermi una collaborazione. Erano i membri di un gruppo alle prime armi, tutti e tre takiani ma sotto contratto da poco con la UMI. Si chiamavano "linea Kymppi" e stavano incidendo il loro primo disco. Li vidi approcciare Jonas con un po' di timore reverenziale e quando lui mi indicò - stavamo pranzando in un piccolo ristorantino - li vidi ancora più nervosi. Mi dissero di aver sentito il mio ultimo disco e di essersi innamorati della mia versione di "un ragazzo di nome Paivi", una canzone con cui in qualche maniera erano cresciuti, visto che i loro genitori la adoravano.
    Noi siamo rapper, quindi non proprio il tuo genere, ma nel disco sperimentavi roba, quindi magari ti potrebbe piacere anche questo. Quello che vogliamo portare avanti è qualcosa di innovativo, di diverso. Abbiamo già un testo di base e la tua voce sarebbe perfetta per il ritornello. Se vuoi dare un'occhiata...
    La timidezza veniva totalmente meno quando parlavano di musica, mi ricordavano un po' come ero io fino a non molto tempo addietro. Mi feci passare il foglio che lui aveva tirato fuori dal suo zaino, ignorando il dessert con cui prima ero occupata. Lo osservai con cura, prendendomi il tempo di dare una lettura completa.
    Carino. Mi piace. La musica?
    Il ragazzo tirò fuori un altro foglio e me lo diede. Chiesi una matita a Jonas e lui me la porse, poi chiesi il permesso di proporre un paio di modifiche rapide. Il trio si accigliò quasi all'unisono, ma mi disse di sì. Segnai giusto un paio di cose sullo spartito, nei primi righi, poi lo girai a loro.
    Una cosa così? Secondo me potrebbe migliorare la melodicità di quel pezzo.
    Osservarono il pezzo di carta, poi fecero una controproposta, che effettivamente si integrava bene con la mia idea. Mi girai a quel punto verso Draig, che stava osservando la scena con sguardo particolarmente divertito. Probabilmente le sarò sembrata una bambina dinnanzi a un gioco irresistibile.
    Vai pure, vai pure. Immagino ne avrete per un po'. Come pedaggio però mi tengo il tuo dessert.

    Dei semplici accordi di chitarra diedero il via al pezzo, presto raggiunti da un lieve sottofondo di violino a dare spessore. Si notava appena, ma metterlo era stata la mia idea per arricchire la melodia e aveva funzionato. Un paio di note di tromba diedero il via alla voce. Partì il primo del trio, Janne, con il suo rap. Più che un canto sembrava una recitazione rapidissima, ancora non mi ci ero abituata del tutto anche se si sentiva sempre più spesso come genere musicale. Il testo raccontava delle sue tribolazioni amorose, di come fosse rimasto traumatizzato da una storia passata. Si rivolgeva ad una interlocutrice immaginaria e le raccontava di come i dubbi lo tormentassero, come una bomba ad orologeria pronta a farli esplodere, presto o tardi.
    Hey, bambin, non temere,
    qui c'è un'altra triglia
    che è cotta di te.
    Difetti ne ho anch'io.
    Oh, vieni ad abbracciarmi,
    tu mi piaci come sei!

    Il ritornello non era niente di che, molto tranquillo, ma lo trovavo adorabilmente dolce. Sapevo già che Draig mi avrebbe preso in giro a vita per il testo che cantavo. Non si sarebbe lasciata certo sfuggire la possibilità di usare "triglia" come nomignolo, del resto nei giorni precedenti aveva usato mi aveva definita la sua "fochetta preferita" o "topina", in riferimento alle mie prodezze televisive. Sapeva essere adorabile anche dicendo le cose più stupide, in bocca sua qualsiasi cosa poteva essere dolce e sensuale allo stesso tempo.
    Para, parara, pa pa para,
    para, parara, pa pa para.
    Para, parara, pa pa para,
    para, parara, pa pa para.

    Durante la strofa la musica era molto semplice, si limitava a pochi accordi di chitarra e a percussioni martellanti. Si aprì un po' di più nel momento del ritornello, ma fu soprattutto dopo quello, in corrispondenza di quelli strani gorgheggi, che acquisì maggiore importanza. Soprattutto grazie all'intervento dell'accordion, uno strumento che adoravo tantissimo, anche se non sempre riuscivo a inserirlo nelle mie canzoni.
    La strofa successiva fu quella di Niko, che andò più sull'autobiografico, raccontando le difficoltà che una storia chiusa male gli aveva provocato. Tra i tre era quello con cui avevo legato un pochino di più, lo trovavo buffo e divertente. L'ultimo a intervenire, dopo il mio secondo intermezzo, identico al primo, fu Sami, che invece si descrisse come un ragazzo più superficiale e pigro, cercando di mostrare però la sua natura sensibile in maniera indiretta. Erano davvero tutti e tre buffi e carini, si vedeva che erano piccoli, nessuno di loro aveva ancora compiuto vent'anni. Mi piaceva l'idea di averli aiutati, nel mio piccolo, con la loro carriera. Chissà dove sarebbero potuti arrivare!
    Prima del terzo e ultimo ritornello ci fu spazio per un brevissimo assolo dell'accordion, poi dopo la fine del testo ripetei più volte quei gorgheggi strani e divertenti, che andarono pian piano sfumando mentre la parte strumentale accelerava un pochino, fino a che non si spense quasi all'improvviso.
    Ero contenta di aver partecipato a quel pezzo, era allegro e sbarazzino. Senza troppe pretese, ma ogni tanto era bello concedersi anche quello. Ironicamente fu proprio tale esperienza a spalancare le porte di un'altra, diametralmente opposta in un certo senso.
    Ero nel Paese dell'Erba e mi era passato a trovare Kenji Netsushi, quel mio lontano parente che così tante volte mi aveva aiutato durante la mia carriera. Mi fece conoscere anche dei suoi amici che abitavano lì, la fine delle due grandi fazioni ninja voleva dire anche solo la possibilità per civili di rivedere persone che prima erano quasi irraggiungibili. Fu divertente conoscere il giro di musicisti che avevano segnato la sua carriera, erano tutte persone esperte e cordiali. Passammo una serata fuori molto divertente e uno dei suoi amici mi fece anche una proposta quasi indecente. Si trattava di un rapper vecchia scuola, in arte si faceva chiamare Frankie anche se di nome faceva Francisco, era emigrato dal Mare nel Paese dei Fagioli Rossi decenni prima. Era una sorta di guru per gli appassionati del genere, anche se era un po' di nicchia. Avevo sentito qualcosa di suo e mi era sembrata interessante, per quanto non fosse il tipo di musica che ascoltavo di solito.
    Mi propose una sorta di scommessa. Visto che con il mio tour sarei passata nella sua zona una settimana dopo, avremmo provato a organizzare una collaborazione senza collaborare direttamente, ognuno facendo la propria parte, io la musica e lui il testo. Ci accordammo vagamente su un tema e soprattutto sul tono generale, poi sette giorni dopo ci trovammo come previsto nella locanda che il mio direttore artistico aveva prenotato. Ci scambiammo spartiti e testi, in modo da poter leggere ognuno la parte dell'altro. Ed entrambi ne fummo impressionati.
    Roba strana, ragazza mia, roba diversa da quella che faccio di solito. Mi piace un sacco. Chiedi al tuo uomo quando possiamo incidere questa cosa, perché voglio farlo assolutamente.

    La musica partì con un sottofondo di batteria, che nelle intenzioni doveva imitare il suono delle cicale di notte. Mi ero fatta aiutare dal batterista della mia band per quello specifico passaggio. La breve introduzione contava su esso e sulla presenza di una nota tenuta lunga di violino, che doveva dare vita a quel clima di inquietudine, dominante nella canzone.
    Anima che indossa gli individui come guanti in lattice,
    aderendo come mastice,
    aspirando ad esser vertice di un vortice,
    che a sua volta aspira
    ad esser perno di una forbice,
    letale quando gira.

    Il rap di Francisco partì subito a pieno ritmo. Quando avevo letto per la prima volta il testo ero rimasta estasiata dalla concentrazione di giochi di parole e rime rapide, folgoranti. Il tema che avevamo deciso di trattare era quello dell'oscurità che corrompeva le persone, che causava la loro disumanità. Pur amando incontrare persone nuove, pur rimanendo convinta che esse fossero la maggioranza netta, non potevo chiudere gli occhi di fronte alla malvagità che usciva fuori da alcuni cuori, dalla perfidia di alcuni, che rischiava sempre di rovinare la vita di tutti gli altri.
    La musica restava più complicata di quanto sapevo essere la norma per le canzoni rap anche durante la strofa, più simile al Soul come genere. Usai una parte di chitarra, una di pianoforte e una di violino, che si alternavano nel tentativo di rendere sempre ricca e interessante la melodia. Sotto essa il tappeto di percussioni, a mantenere il clima "notturno".
    Anima,
    nero sprofondo,
    libero spettro, immondo e muto,
    sogno perduto,
    breve ricordo mai vissuto.
    Anima,
    mare contrario,
    stretto sudario m'incatena.
    Eco e sirena,
    remota, sconosciuta cantilena.

    Gli archi prendevano ancor più preponderanza durante il ritornello, ma del resto rimanevo una violinista come origine musicale. Francisco aveva scritto anche il ritornello e mi piaceva molto, lo cantai con trasporto. Era un lamento verso la parte più oscura di tutti noi, quella che le persone di buona volontà cercavano sempre di reprimere, quella a cui, in quanto Sacerdotessa dei Sette, avevo giurato di non cedere.
    Anima bruta,
    non mastica quando inghiotte, ma solo quando sputa,

    Adoravo le immagini che Frankie era riuscito a trovare, erano evocative e dirette. La loro brutalità si accompagnava alla perfezione al tono che avevo cercato di dare alla parte strumentale. L'esperimento sembrava essere un vero successo, più di quanto avremmo pensato possibile.
    Anima,
    pena immortale,
    fiato animale,
    smarrimento,
    preda del vento,
    fumo sospiro lascia il fuoco spento

    Francisco aveva deciso di lasciare solo la prima metà del ritornello uguale, l'altra cambiava con altre immagini metaforiche. Era un testo a dir poco criptico, ma io lo trovavo affascinante.
    Stormo di granelli prendi il volo,
    migra via da solo,
    lascia che sia il vento il tuo ultimo respiro -
    purché sia davvero libero -
    che per sopravvivere in quell'attimo ne basta appena un alito.

    La terza strofa fu tagliente e sferzante come le prime due, ma verso la fine fu velata di una certa malinconia tragica, perfetta per segnare il passaggio verso l'ultimo giro di ritornello. Che fu identico alla prima versione, all'inizio, per poi segnare un ulteriore mutamento.
    Anima,
    fuoco di paglia,
    fradicia spoglia
    in controluce,
    sfila veloce,
    senza riposo e senza voce.
    Anima,
    portami via,
    cara, incostante compagnia.
    Pietosa bugia,
    liquida evanescente scia.

    Con la conclusione del ritornello la musica si chetò notevolmente, quasi come una resa. Restò solo il tappeto di percussioni e qualche intervento di chitarra, mentre con la mia voce segnavo la fase conclusiva del pezzo.
    Anima,
    mio nascondiglio,
    fragile appiglio, abbaglio...
    Anima,
    mio nascondiglio...
    Anima,
    mio nascondiglio...

    Così come il mio canto la musica sfumò piano, fino al silenzio totale. A quel punto io e Francisco ci guardammo, scambiandoci un breve sorriso di intesa. Dopo aver ri-ascoltato la versione finale ne avemmo la certezza, quella canzone era uscita proprio come la volevamo. Eravamo riusciti a inciderla in una giornata soltanto, con un tour de force notevole, ma del resto avevo poco tempo libero per farlo.
    Ero al settimo cielo per quella collaborazione, Jonas diceva che poteva essere persino utile per la UMI, per creare punti di contatto con la casa discografica di Frankie. Io invece ero soddisfatta di aver potuto provare qualcosa di diverso, di aver partecipato ad un progetto ambizioso insieme ad un musicista di prim'ordine, uno specialista di un genere così lontano al mio. Non sapevo se quella canzone si sarebbe diffusa particolarmente, ma poco importava. Mettermi in gioco e divertirmi era già un premio più che sufficiente.
     
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    Demone incendiario

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    Dopo la tappa nel Paese dei Fagioli Rossi feci un concerto a Takumi, l'unico villaggio ninja in cui mi fu dato il permesso di suonare. Portava ancora i segni della guerra, ma era in ripresa, la ricostruzione procedeva lenta ma costante. Non avevo capito molto di quello che era successo, essendo roba da ninja la tenevano abbastanza segreta, ma decisi di comune accordo con la casa discografica di voler far qualcosa anch'io. Una parte consistente degli incassi della serata sarebbero stati devoluti ad una associazione che si occupava dei feriti di guerra e dei parenti delle vittime. Il mio amico Saruwatari mi aveva aiutato a trovare il contatto e poi avevo conosciuto queste persone, molto capaci e gentili. Accettarono di buon grado il mio aiuto, non tanto per i soldi - non saremmo di certo riusciti a tirare su tanti ryo - quanto per la visibilità che l'evento avrebbe dato all'associazione.
    Il concerto andò bene, purtroppo il giorno dopo dovemmo già partire di nuovo. Dopo un breve viaggio in traghetto raggiungemmo le Terme, dove feci una sola data, ma dove potemmo tutti rilassarci agli stabilimenti che davano nome al Paese. Fu rigenerante, date tutte le difficoltà dettate dagli spostamenti, fu quasi come rinascere. Fu la prima volta che la piccola Ryuko poté andare alle terme e tutto sommato parve gradire molto l'esperienza, in questo doveva aver preso dalle madri vista la nostra passione per quell'attività.
    Dopo la giornata di relax fu però tempo di ripartire e di attraversare il deserto. Per fortuna il viaggio fu molto più tranquillo dell'ultima volta in cui ero andata laggiù, non corremmo nessun rischio, visto che ci eravamo uniti ad una carovana molto organizzata. Feci un concerto in una delle oasi del Paese del Vento, un posto estremamente suggestivo. Poi, il giorno dopo, di nuovo in cammino, verso il Paese degli Uccelli. Due date nella capitale, una in un piccolo stadio sportivo, l'altra in una sorta di club musicale, molto intimo e per questo perfetto per un concertino come quello che avevo fatto io. Quei giorni furono pieni anche di lavoro di promozione, soprattutto nelle radio ma anche con un'ospitata in televisione. Ero stata poche volte in quel Paese e ritornarci fu molto bello. Feci ancora un concerto laggiù, questa volta un po' lontano dalla capitale, quasi al confine Ovest.
    Dopo questa tappa passammo nel Paese della Terra per un paio di concerti, nella parte meridionale del territorio. Fu piacevole ritornare in un posto in cui avevo vissuto un annetto, così come incontrare di nuovo persone che non vedevo da una vita. Però era un'altra cosa che mi teneva in tensione non poco, in quel periodo. Il passaggio successivo sarebbe stato in un altro posto chiave per me, il posto che per tanto tempo avevo chiamato "casa", il Paese degli Orsi. Non ci tornavo da anni, era stata una scelta precisa quella di mettere laggiù le ultime tappe del mio tour, ma ora che era così vicino mi scoprii molto più tesa di quanto pensassi. Soprattutto perché insieme a me c'erano Draig e Ryuko, mi sentivo in agitazione a presentare a loro, alla mia famiglia, il luogo in cui ero cresciuta. Mia moglie mi prese un po' in giro e mi rassicurò a dovere, due delle cose che le venivano meglio.
    Finalmente arrivò il giorno e, dopo il primo concerto fatto nella capitale, avemmo una giornata libera in cui potei finalmente fare quello che mi ero preposta. Ero tornata solo una volta nel mio villaggio natale, pochi anni prima. Non era rimasto quasi più niente, dopo un decennio gli edifici erano crollati, quando non erano stati demoliti volontariamente per riutilizzare il legno. Camminare laggiù mi metteva una nostalgia terribile, era davvero passata un'eternità. Raccontai a Draig dei miei giochi da bambina, le indicai quelli che un tempo erano i campi, il punto in cui si trovava la nostra casa. Lei sapeva tutta la storia, ma vedere con i nostri occhi quel posto fu comunque molto emozionante. E poi venne il momento più toccante, quello in cui visitammo il cimitero del villaggio. Era piccolo e quasi del tutto coperto da vegetazione, visto che era abbandonato da anni. Riuscii comunque a trovare le tombe dei miei genitori e di mia sorella. Con le lacrime agli occhi "presentai" la mia nuova famiglia a quella che mi aveva cresciuta. Avrei voluto potessero conoscersi, sapevo che sarebbero andati d'accordo. Restammo a lungo a parlare, tranquillamente. Ero con la mano della mia adorata moglie nella mia e nostra figlia in braccio, nel luogo in cui ero nata. A suo modo fu uno dei momenti più belli della mia vita.


    Due giorni dopo ci fu l'ultimo concerto previsto dal mio tour, in un grande anfiteatro a qualche chilometro dalla capitale. Juan e Jonas avevano mosso i loro contatti magistralmente, quello era un luogo magnifico in cui cantare. L'opera di promozione era stata enorme, puntavano molto su quell'ultima data. Il prezzo di ingresso era basso, del resto quello degli Orsi era un paese abbastanza povero, quindi l'affluenza parve buona, anche se dal palco non riuscii a farmi un'idea precisa.
    Suonai con il cuore in gola, ma con la mente libera. Dire che ero al settimo cielo era riduttivo. Quel tour, quel viaggio... non era solo un'occasione immensa, era proprio un mio sogno divenuto realtà. Non tutto era stato perfetto, sicuramente mi aveva stancata da morire, ma era stato fantastico. E ora stava per trovare coronamento.
    Diedi libero sfogo a tutto il mio repertorio, in quel concerto finale, con una scaletta serrata e ben studiata. Al termine di ogni pezzo ringraziai un membro della band che mi aveva accompagnato fin laggiù, ringraziai Jonas, Juan e tutti gli uomini e le donne che si erano occupati dell'organizzazione. Passai da "Non ho radici" a "Fortunata", urlai al cielo la mia "Canzone di verità" e "l'ultimo bacio", dedicai "Occhi da orientale" alla mia amata che mi aveva seguita fin laggiù. Dopo alcuni altri brani infine arrivai a quello che forse più di tutti mi aveva portato laggiù, quello a cui dovevo il mio successo. Cantai e suonai "Jiro" con tutto il cuore, con tutto il trasporto possibile.
    Poco de amor...
    Poco de amor...

    Mentre eseguivo col violino le ultime note, leggere, il pubblico proruppe in un applauso generale. Feci un inchino, quasi allo stremo delle forze ma ancora piena di adrenalina.
    Grazie! Grazie per tutto questo calore! La canzone che avete sentito è dedicata ad un posto lontano da qui, a Jiro, una piccola isola nel Paese del Mare, dove adesso vivo. Ma io non sono nata lì, il Paese degli Orsi è il posto dove sono nata e cresciuta, un posto che mi è rimasto sempre nel cuore. Per questo stasera ho preparato un piccolo omaggio per voi, prima di lasciarci. Spero possiate perdonare la mia pronuncia se non sarà perfetta e grazie di cuore per tutto.

    Dopo aver fatto un cenno di intesa al batterista partimmo insieme, lui con due colpi rapidi di grancassa, io già con il testo.
    Fimmina chiangi d'amuri
    e vulessi lassari
    sta terra e partiri cussì
    supra a mari e vulessi vulari
    e lu cori seguiri
    e i capilla tagghiari
    e sciuntiri.

    Un tappeto musicale si creò sotto la mia voce, composto per lo più da semplici accordi di chitarra, oltre che da un sapiente uso delle percussioni. Era un arrangiamento abbastanza minimale, ma comunque suggestivo, mi ero fatta aiutare molto per metterlo a punto, visto quanto ci tenevo. Era una canzone importantissima per me.
    Me l'aveva insegnata mia madre, quando io ero piccola. Chiudendo gli occhi, ogni volta, era come fosse ancora lì, riuscivo ancora a sentire la sua voce. Più dolce e meno roca della mia, per quanto non avesse mai studiato canto era naturalmente armoniosa. Lei non era degli Orsi, era del Suono, proprio come mio padre, ma quando si erano trasferiti era stata una delle prime cose che aveva imparato. Un canto popolare, in grado di farla sentire a casa nella sua nuova terra. Di farci sentire tutti a casa. La cantava dolcemente a me e a mia sorella, quando dovevamo andare a dormire, era un ricordo che conservavo gelosamente. Ma non era solo quello.
    Quando ero stata catturata dai banditi, anni dopo, ed ero in vendita come schiava, una donna era venuta e aveva chiesto a me e alle altre ragazze nella mia situazione di cantare. Io, quel giorno, ripetei proprio quelle parole e quelle semplici note. L'impatto che ciò aveva avuto sulla mia vita era stato enorme. La donna aveva scelto me e altre due ragazze, aveva pagato per noi, ci aveva liberate e portate con sé. Si trattava di Ayako, della donna che mi aveva cambiato la vita. Mi aveva insegnato la musica, mi aveva insegnato l'amore, mi aveva insegnato la libertà. Le dovevo tantissimo e quella sera, su quel palco, il mio pensiero andò naturalmente a lei.
    Fenyw yn crio am gariad!
    Ma mia madre e Ayako non furono le uniche a cui era dedicato quel canto, c'erano altre due femmine a cui sentivo di volerlo fare. E se le prime due rappresentavano il mio passato, visto che erano prematuramente mancate, per quanto mai dimenticate, le altre due rappresentavano il mio presente e il mio futuro. La mia famiglia. Proprio per questo avevo chiesto a Draig, in vista di quel concerto, di tradurre per me il testo nella sua lingua natia, per arricchire la parte vocale. Avevo chiamato un clone a cantare con me, in modo da permettermi di duettare da sola.
    Fimmina chiangi d'amuri
    Dopo aver ripetuto una volta il canto in barbaro, ricominciai con il dialetto del Paese degli Orsi, ma a metà noi due ci saremmo amalgamate in una sorta di canone, in modo da mischiare i testi e le voci. Era un effetto strano, ma mi piaceva molto, mi dava quel senso di intreccio che secondo me si accompagnava bene anche al significato delle parole. Il testo infatti parlava di una donna, la invitava a piangere per amore e a sognare di viaggi verso un'altra possibilità, oltre il mare, a sognare di volare e di potersi tagliare e districare i capelli, in segno di ribellione e desiderio di libertà. Adoravo quelle parole, le sentivo così vicine a me, piagnona come poche e amante assoluta della libertà e del viaggio.
    e vulessi vulari
    e lu cori seguiri
    e i capilla tagghiari
    e sciuntiri.

    Il canto, fino a quel momento energico e carico di patetismo, si placò un minimo, per farsi dolcemente malinconico. La chitarra seguì il medesimo processo, rendendo l'atmosfera quasi onirica, in un decrescendo lieve che portò il brano verso una naturale conclusione, coronata dal silenzio e poi dagli applausi. Mentre lacrime di gioia e malinconia invadevano pian piano il mio viso feci un grosso inchino, per ringraziare il pubblico. Non solo quello della serata, idealmente voleva essere un ringraziamento a chiunque avesse partecipato, anche solo per poco, al mio sogno, mi avesse aiutato a realizzarlo.
     
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    Un po' da qui e un po' da là

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    Bello, bello, bello. Sono sinceramente invidioso della vastità di musica che riesci sempre a tirar fuori dal cilindro e mi sorprende ogni volta il modo in cui riesci ad adattarla al concerto o disco di turno. Ancora una volta per me è tutto impeccabile.

    Aiko riceve 10 exp e 75 ryo.
     
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6 replies since 28/7/2019, 22:33   158 views
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