Dream On | Livello D

Partecipanti: Aiko Netsushi | Qm: Utino (Autogestita)

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    A seguito di una lunga trattativa estiva tre piccole case discografiche di diversi paesi si uniscono in un’unica grande azienda musicale. Per la prima volta numerosi artisti si ritrovano dunque uniti sotto la stessa firma. Questa è l’occasione migliore per Aiko per trasformare la passione di una vita in un lavoro capace di dare un futuro a lei e ai suoi cari. Riuscirà la ragazza a fare tutto quello che le è possibile per diventare definitivamente una professionista? E sarà in grado di dare un’impronta personale al nuovo clima artistico nato da questa strana fusione?
     
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    La cerimonia con cui finalmente presi i voti fu molto fastosa e fu un momento davvero gioioso per me. Poche ore dopo Bajirio celebrò il matrimonio tra me e Draig, senza festa o invitati. Era un modo di rendere ufficiale il nostro rapporto agli occhi degli Dei, visto che non avremmo potuto farlo agli occhi della legge. Fu uno dei momenti più belli della mia vita, così come lo fu per la donna che adesso era diventata mia moglie, per quanto non potessi usare questo titolo in pubblico.
    Nei giorni successivi rimasi ad aiutare al tempio, anche se avevo già avvertito Josuhu Aburahamu che adesso ero disponibile a trasferirmi più vicino al luogo dove lavoravo. Il produttore si era infatti lamentato un paio di volte del fatto che vivessi così lontana dalla casa discografica, salvo poi accettare passivamente la cosa visto che pareva essere una sistemazione provvisoria. La risposta che ricevetti dall'uomo in quel settembre così denso cambiò ancora una volta la mia vita. Mi disse che qualcosa di grosso bolliva in pentola e di aspettare un po'. Pochi giorni dopo mi diede in anteprima una notizia di portata abbastanza grande. La sua azienda era stata coinvolta nella più grande fusione discografica del decennio. Aburamusic, con sede nel Paese della Neve, Memorie, con sede nel Paese del Tè, e Nappa Records, con sede nel Paese del Mare. Queste tre case di produzione si unirono per formare la Universal Music Inc. L'etichetta con cui avevo firmato era senza mezzi termini la più piccola del trio, era quella che pareva guadagnarci di più, mentre la Memorie aveva accettato dopo i tanti danni subiti dalla propria nazione nei mesi precedenti. Per quanto riguardava la terza etichetta giravano solo voci, ma esse insistevano su un qualche ladro che aveva messo a segno un colpo enorme ai danni dell’azienda, privandola di gran parte dei propri liquidi e costringendola a trovare alternative. In ogni caso non passò neanche un giorno dalla notizia della fusione che mi fu offerto un nuovo contratto. La sede della UMI era nel Mare e mi sarei dovuta recare lì per la firma ufficiale. Restai pochi giorni laggiù, ma furono molto importanti. Draig era venuta con me e insieme avevamo cercato casa, nella speranza di poterci trasferire laggiù. Non avevamo molti risparmi da parte, ma sembrava un investimento più che necessario e alla fine trovammo il posto giusto. Era una casa molto piccola in un sobborgo della capitale, talmente periferico da sembrare più campagna che città. Il pagamento sarebbe stato a rate, cosa importantissima visto che non avevamo tutto il contante necessario. Una volta concluso l'affare tornammo nell'Artiglio per sistemare tutte le questioni in sospeso. Salutammo tutte le persone conosciute e a noi vicine, consapevoli che per quanto non fosse un addio non ci saremmo visti sovente. Il commiato dal Tempio fu molto sentito e doloroso per me, ma sapevo che sarebbe venuto quel giorno. Prima di partire Bajirio mi fece promettere una volta di più che avrei agito sempre rettamente e in piena coscienza dei miei doveri in quanto sacerdotessa dei Sette. Lo feci volentieri e con solennità. Uno degli ultimi atti in terra di Artiglio fu la messa in vendita della casa di Draig, il luogo che per così tanti mesi era stata la nostra alcova d'amore. Così tanti ricordi e così tanti sacrifici da parte della mia donna per ottenere e mantenere quella sistemazione. Mi sentivo in colpa verso di lei, le sconvolgevo continuamente la vita e la trascinavo sempre via di casa.
    Casa mia è dove ci sei tu, Aiko. Non ti preoccupare per me, io non vedo l'ora di essere nel Mare, nella NOSTRA casa.
    Una volta raggiunti di nuovo i mari del Sud ci mettemmo subito all’opera per cercare di costruire le fondamenta del nostro futuro. Draig aveva vissuto tanti anni in quella nazione e aveva ancora diversi contatti, grazie ai quali riuscì a farsi assumere come cameriera nonostante il suo stato interessante. Io invece andai dalla Universal a cercare di trovare guadagni e conobbi così l'ex presidente della Nappa Records, Juan Nappa. Era un uomo sulla quarantina, del tutto pelato ma di bell’aspetto e con un’aria serissima. Parlava solo quando necessario ed era estremamente concreto, tutto al contrario di Aburahamu, chiacchierone e sempre entusiasta. Quest’ultimo era rimasto a gestire la divisione del Paese della Neve, quindi il mio punto di riferimento da lì in poi sarebbe stato Juan, motivo per cui cercai di chiedergli indicazioni.
    Sei tu che devi dirmi cosa hai intenzione di fare, non sono la tua balia. Ho sentito il tuo disco, non te la cavi niente male anche se secondo me dovresti provare a venderti meglio. Se hai già un progetto in mente posso affiancarti uno dei miei produttori artistici, così mettiamo in piedi un’opera meno intellettualoide e più di sostanza.
    Non capii bene cosa intendeva sul momento, ma in ogni caso risposi che non avevo abbastanza materiale originale per iniziare a pensare ad un nuovo disco. Volevo però trovare qualche modo di lavorare, di guadagnare e chiesi se c’era bisogno di qualche strumentista. Risposi alla sua seguente domanda indicando tutti gli strumenti che ero capace di suonare, indicando ogni volta quello che secondo me era il mio livello di bravura.
    Duttile, vedo. È un bene, ma può essere anche un limite. Non abbiamo bisogno di principianti, quindi se vuoi provare con percussioni e fiati prima devi migliorare, ma di sicuro ci servono archi. Ti faremo sapere appena abbiamo qualcosa tra le mani, tieniti pronta.
    Juan era terribilmente schietto, quasi rude, ma sapeva fare il suo lavoro alla perfezione e già la mattina successiva avevo un incarico. Nei giorni le richieste si moltiplicarono e la cosa mi mise un pochino sotto pressione, anche se ero contenta di poter lavorare. Non avendo mai suonato in orchestra potevo farlo solo in piccoli concerti e soprattutto durante la registrazione dei dischi. Sovente mi veniva chiesto di usare il contrabbasso, strumento meno diffuso nella zona, altre volte il violino e più raramente il violoncello. Fu l’occasione di conoscere moltissimi altri musicisti e lasciarmi inebriare da un clima artistico piuttosto florido. Tante persone prima lontane geograficamente ora si trovavano a collaborare e a influenzarsi a vicenda, era una situazione molto stimolante. Certo, non tutto era rosa e fiori visto che incontrai anche molte persone indisponenti o arroganti e che il lavoro in generale era abbastanza pesante, ma ero comunque soddisfatta. Oltretutto sia io che Draig tornavamo a casa stanche morte ma dovevamo occuparci nel primo periodo del trasloco e di alcuni dettagli pratici che resero quei giorni particolarmente intensi. Toccava tenere duro e lo avrei fatto, in modo da assottigliare il più possibile la differenza tra sogni e realtà.


    Grazie mille. Questo era il mio ultimo pezzo per stasera. Vedo che siete belli caldi, quindi siete pronti per Morgan Daraen. Vi posso assicurare che è in forma come non mai, quindi tenetevi saldi, sarà un grande concerto! Grazie ancora, alla prossima.
    Salutai il pubblico, che mi riservò una buona dose di applausi, poi lasciai il palco all’attrazione principale della serata, Morgan. Si trattava di una cantante famosissima nel Paese del Mare, un po’ più giovane di me ma con una carriera decennale che la rendeva una tra le artiste più acclamate di tutta la nazione. E lei aveva scelto me per aprirle i concerti durante il suo tour, un onore non da poco. Ne faceva un paio a settimana, cosa che mi permetteva di viaggiare molto ma anche di vivere un po’ della vita normale a casa e al lavoro. Morgan era una persona molto disponibile e simpatica, divenimmo quasi subito amiche, anche se era molto impegnata quindi era difficile trovare il tempo di parlare con lei. Aprii più di uno dei suoi concerti e questo si rivelò fondamentale, visto che l’opportunità concessami mi permise di far girare un po’ il mio nome. Alla fine delle dieci date programmate fui chiamata per aprire concerti di un paio di star internazionali in visita al Mare e poco dopo fui chiamata da Juan Nappa nel suo ufficio.
    Avevamo portato poche copie del tuo disco e pian piano sono andate via quasi tutte. Mi aspettavo che vendessi bene solo nella Neve, ma a quanto pare anche qui le cose vanno meglio del previsto. Ho in mente una cosa, ma ho bisogno del tuo assenso, ovviamente. Voglio ristampare il tuo disco con la nuova etichetta, così da avere una distribuzione più significativa. Ovviamente non ha senso stampare un disco identico ad uno già in circolazione, quindi pensavo di fare un’operazione leggermente diversa. Una versione deluxe, con contenuti extra. Dubito tu voglia aggiungere pezzi a caso o versioni alternative, quindi la cosa migliore è fare un doppio disco, il primo uguale alla versione normale e il secondo un live da qualche parte.
    Accettai con entusiasmo, sembrava un’occasione eccellente, anche se da come la presentava sembravano esserci delle complicazioni.
    Questa volta però si fa sul serio, Fukusha, non potrai tirare fuori un discarello e poi fare finta di niente tornando alla vita di prima. Questa volta ti impegnerai a venderlo. Voglio che il tuo nome giri, quindi verrai qui regolarmente e vedremo di tirare fuori almeno un video musicale con il nostro staff. Roba seria, vedrai come si lavora da professionisti. Le tue canzoni passeranno in radio e in tv, quindi tu dovrai farti vedere, fare ospitate, parlare e far parlare di te. Poi ti ammaestrerò su cosa puoi e non puoi dire in queste occasioni, ma devi dirmi se pensi di farcela. Dovrai essere disposta a promuoverlo per davvero il tuo disco, perché qui sono in ballo soldi e posti di lavoro. Sempre convinta di accettare?
    La mole di lavoro sembrava in effetti non leggera e l’idea di farmi vedere davanti alle telecamere per interviste e simili non mi faceva impazzire, però avevo bisogno di fare tutto quello che potevo per accontentare le aspettative di Juan. Il mio futuro dipendeva anche da questo. Dal giorno successivo iniziò dunque un nuovo tipo di impegno artistico, diretto su più fronti. Il presidente aveva organizzato un piano di lavoro intenso e molto preciso. Erano previsti ancora alcuni concerti di Morgan e mi fu chiesto di continuare a farle da apertura, ma allo stesso tempo mi fu concessa la possibilità di fare alcuni spettacoli da solista. Furono preparate cinque date, per il momento solo nel Paese del Mare. Non si trattava chiaramente di teatri e locali grandi come quelli in cui avevo modo di suonare con Morgan, ma era comunque un passo avanti enorme rispetto ai miei show precedenti. Mi fu assegnata una squadra di strumentisti con cui lavorare, visto che quello che Juan chiamò il “giochetto dei cloni” avrebbe a suo avviso stufato in fretta il pubblico e avrebbe rischiato di porre in secondo piano la musica. Per fortuna tutti i musicisti del gruppo si dimostrarono capaci e disponibili, quindi si creò un clima di collaborazione ottimo anche per la mia crescita artistica. Provammo più volte insieme per acquisire una buona intesa e per fare in modo che loro si adattassero al meglio al mio repertorio e al mio stile. Avevamo poco tempo per prepararci, dovevamo farlo fruttare a dovere. E nel mentre io mi stavo occupando anche di altre faccende, una delle più importanti era quella del video musicale. Juan mi aveva assegnato un regista e un paio di tecnici di qualche tipo con cui collaborare per realizzare il progetto. La scelta del brano fu semplice e quasi unanime, “Nessuna radice” sembrava quello più adatto ad essere trasmesso in televisione. Provai a tirare fuori alcune idee abbozzate, ma il regista me le bocciò tutte, ritenendole infattibili, troppo costose o troppo poco ambiziose. C’era bisogno di qualcosa di semplice ma che non sapesse di già visto, ma soprattutto di qualcosa che richiamasse uno dei temi fondamentali della canzone, ovvero il viaggio. L’intuizione giusta arrivò alla seconda riunione, quando il regista propose di fare un montaggio di riprese del tour, scene dei concerti e dei dietro le quinte.
    Così facciamo contento anche el señor Nappa. Mostrare i live sarebbe un’ottima pubblicità per il doppio disco, no?
    L’ultima frase mi fece storcere il naso, sembrava una mossa di marketing fredda e calcolatrice, ma a parte quello era un’ottima idea. Insieme facemmo un piccolo piano di azione, lasciando un certo spazio all’improvvisazione e alla spontaneità ma programmando un’altra parte di riprese in maniera che venissero proprio come le desideravamo. Tra video e registrazioni per il secondo disco dell’edizione deluxe mi stavo giocando tantissimo con quel tour, doveva per forza andare bene.


    Edited by GIIJlio - 13/10/2018, 22:28
     
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    No, non sono originaria di qui, vengo da lontano. Sono arrivata nel Mare per lavorare alla Universal, ma ero già stata alcuni mesi qualche anno fa. Adoro questa terra e sarei contenta di poter mettere radici qui.
    Sorrisi all'intervistore, per quanto gli ascoltatori non mi potessero vedermi ero sicura che l'espressione aiutasse a rendere il tono cordiale.
    Radici, eh. Immagino tu non abbia usato la parola a caso, vero?
    Lui capì la mia allusione e mi resse il gioco. Per quanto non fosse un passaggio programmato funzionò alla perfezione.
    No. - accompagnai la parola con un breve risolino - “non ho radici” è una canzone molto importante per me. Lì ho giocato con me, con le mie manie. È stato divertente, un modo di riflettere con me stessa e far riflettere gli altri.
    L'uomo fu ben contento di continuare su quell'argomento, mi fece un sorriso complice.
    Di sicuro è un pezzo molto accattivante. Quanto c’è di te in quel testo?
    Mi presi un secondo per riflettere. Sapevo che era preferibile non fare che pause brevissime, ma non volevo parlare a sproposito.
    Tutto e niente. È complicato, mi viene da dire. Diciamo che cerco di mettere me stessa in ciascuna delle mie canzoni, ma anche di non renderle troppo auto-referenziali.
    Mi ero messa all'angolo da sola, ma per fortuna lui lo capì e mi venne in soccorso.
    Per quanto mi riguarda ci sei riuscita.
    Tirai un sospiro di sollievo e ringraziai, di sicuro quella intervista era gestita in maniera tranquilla e accomodante.
    Da quanto leggo nella tua presentazione sei partita come violinista, giusto?
    Accolsi il cambio di argomento con piacere e istintivamente anuii, poi mi ricordai che eravamo in radio e risposi a voce.
    Sì. Non ho una formazione molto “canonica”, ma è tutto iniziato da lì. Il mio fido violino è con me fin dal giorno uno, ormai sono quasi dieci anni, credo.
    Lui fece un cenno di assenso e si prese un istante per dare un'occhiata a dei fogli che aveva davanti a sé.
    E a quanto c’è scritto qui hai trent’anni compiuti. Mi concederai che fare il proprio disco di esordio a trent’anni è un po’ insolito...
    Sorrisi, quella era una delle domande a cui Juan aveva detto di prepararmi in particolar modo.
    Certamente. Diciamo che io sono una persona del tutto insolita, nel bene e nel male. Ho iniziato tardi a suonare e non ho mai pensato di diventare una professionista in questo senso. Ho viaggiato molto e fatto tanti lavori diversi, la proposta della Aburamusic mi era arrivata quasi come un fulmine a ciel sereno. E adesso... adesso sono qui e tutto mi sembra così nuovo.
    Mi feci trasportare dalla risposta, ma mi impegnai anche a non sbrodolare troppo, a non perdermi in dettagli inutili.
    Sentiremo ancora il tuo nome?
    Quella domanda mi diede la certezza che l'intervista stava volgendo al termine, quindi risposi in maniera concisa ma decisa.
    Io farò di tutto perché sia così.
    E noi faremo il tifo per te. Grazie dell’intervista. Signori, Fukusha! E come saluto finale, sentiamolo questo pezzo di cui parlavamo prima! “Non ho radici”!
    L’uomo staccò quindi l’audio e alla radio iniziò a passare la mia canzone. Mi porse quindi la mano, ringraziandomi e dicendo che non me l’ero cavata male. Io strinsi la sua mano e lo ringraziai di cuore per la disponibilità. Quella fu la mia prima intervista radiofonica, fatta per Radio RioMare, una piccola stazione della capitale. L’aveva organizzata Juan per farmi abituare e prepararmi a interviste più importanti. Era stato un bene, ero così nervosa quella prima volta. Avevo timore di rovinare tutto e di dire qualcosa di sbagliato, nonostante le indicazioni precise, anche fin troppo, ricevute da Nappa. Nei giorni seguenti la cosa si ripeté più volte, fin quando non ci presi la mano e divenne meno pesante per me.
    Il passaggio alla televisione fu invece molto traumatico, non mi aspettavo tutta quella quantità di trucco per poter apparire in video e non mi aspettavo che la differenza tra la tensione provata potesse essere così marcata. Riuscii a non bloccarmi, ma più volte la mia emozione fu troppo evidente, tanto che Juan mi rimproverò al termine delle trasmissioni. Pian piano riuscii a superare anche questa difficoltà e alla quinta volta ero più tranquilla e naturale, anche se comunque mi trovavo un po’ a disagio. Tranne quando c’era da cantare e suonare, ovviamente, in quei casi andava tutto liscio come l'olio. Proprio questa maggiore abitudine fu fondamentale durante l’ospitata alla trasmissione “Il parlatoio”, un talk show che andava in onda in seconda serata del sabato in uno dei canali principali della nazione. Durante l’intervista il conduttore, un trentenne dal volto affilato di nome Suzaku, decise di provare a mettermi in difficoltà, come capii dal sorriso malizioso che precedette la sua domanda.
    Facendo un po’ di ricerche abbiamo scoperto che lei è una sacerdotessa. Come mai questa scelta?
    Secondo Juan questo era un argomento che era meglio non toccare, però sapevo anche che una volta messa alle strette non potevo rifiutare la domanda in maniera esplicita, non in un programma in diretta come quello in cui ero ospite.
    Durante uno dei miei viaggi ho scoperto il culto in cui credevano i miei antenati. Ho iniziato a studiarlo e dopo poco ho deciso di prendere i voti, tutto qui.
    Cercai di chiudere il discorso in fretta, ma il presentatore era di tutt’altra idea, probabilmente aveva fiutato qualcosa di buono e aveva deciso di battere quella pista.
    Capisco. Una scelta coraggiosa, di questi tempi. E in cosa consistono questi voti?
    La sua insistenza un po’ mi infastidì, ma non mi feci intimidire e cercai di rispondere in maniera efficace.
    Nulla di stravagante. Amare il prossimo e aiutarlo, difendere la vita, astenersi da qualsiasi azione malvagia o contraria alle leggi. Senza scendere in dettagli teologici possiamo riassumere dicendo che vuol dire vivere rettamente e promuovere la rettitudine tra le altre persone.
    L'uomo si mostrò stupito, ma in qualche maniera ero sicura che fosse una finta, volta solo a mettermi in difficoltà.
    Un’ambizione non da poco.
    Risposi in maniera rapida, secca, nella speranza di chiudere l'argomento in fretta.
    Faccio quello che posso per essere all’altezza dell’incarico che mi sono presa.
    L'uomo non si fece impressionare dalla mia determinazione e non mi lasciò tregua, continuando a incalzare.
    E questo come si coniuga con e nella sua musica?
    Quella frase mi colse estremamente di sorpresa, non mi aspettavo che volesse andare a parare lì.
    Wow, domanda complicata.
    Lui rise brevemente alla mia reazione spontanea. Non ero brava a nascondere lo stupore, in generale, ma lì lo avevo lasciato uscire in maniera palpabile e la cosa piacque a Suzaku.
    Non sono bravo con le domande semplici, come avrà notato.
    In quel momento percepii onestà nelle sue parole e da lì in poi iniziai a pensare che forse lo avevo giudicato affrettatamente.
    Ho notato, sì. Ecco... diciamo che io ho sempre interpretato la mia musica come un atto non individuale ma sociale. Suono per me, ma soprattutto per gli altri. E non si tratta solo di intrattenimento, quello che desidero fare è portare messaggi, messaggi importanti e positivi. Vivere nella comunità, una comunità che prima era piccola, il posto dove volta per volta mi trovavo a vivere, e adesso potrà essere più grande. Non che sia semplice, anzi, non so quanto sia riuscita a farlo nel mio primo disco. Forse mi manca ancora un po’ di consapevolezza.
    Non si può certo avere tutto e subito.
    Feci un risolino divertito, la conversazione pian piano era diventata interessante, per quanto ostica. Lui provò a chiedere della mia vita privata, ma feci capire in maniera quasi brusca che era un argomento off-limits. Non era soltanto una delle indicazioni di Juan, era anche una mia chiara intenzione quella di evitare di attirare l’attenzione su questo punto, non volevo guai. Suzaku cercò allora di deviare la discussione sui miei viaggi, chiedendomi come facevo a vivere e poi dove ero stata in quel periodo.
    Farei prima a dirle dove non sono stata. Ho cercato di visitare gran parte di questo continente e ho perfino partecipato ad una spedizione commerciale a Oriente, anche se solo per qualche giorno.
    Non entrai particolarmente nei dettagli e la cosa non piacque troppo all’intervistatore, che decise di virare argomento.
    Ho sentito che durante gli eventi disastrosi del Paese del Tè lei era lì ad aiutare.
    Non capivo come avesse fatto ad avere quelle informazioni e la cosa un po' mi inquietava.
    Vero. Ho fatto quello che potevo per essere utile.
    Risposi in maniera diretta e breve, prestando però il fianco alla sua volontà di approfondire la questione.
    E gli eserciti ninja come hanno preso la cosa?
    Non mi piaceva la piega presa dal dialogo, ma ancora una volta non potei più di tanto tirarmi indietro.
    Hanno trovato un modo in cui quello che avevo da offrire potesse essere utilizzato per aiutare le persone del posto.
    Ero soddisfatta di come avevo messo in parole la cosa, ma lui evidentemente no.
    Quindi come si rapporta con i ninja?
    Mi presi un attimo per pensare la risposta, perché non mi piaceva per niente quello che mi sembrava stesse insinuando.
    Ho molti amici che sono ninja, di varie nazioni. Ma se si chiede se ho qualche rapporto privilegiato con l’esercito di qualche villaggio, la risposta è chiaramente no.
    Suzaku annuì con aria convinta, soddisfatto di quanto gli avevo detto.
    Non era quello che intendevo con la mia domanda, ma è comunque una risposta molto interessante.
    Di nuovo il suo modo di fare mi lasciò perplessa, facendomi chiedere se non stessi esagerando con i sospetti.
    Faccio fatica a capire dove vuole andare a parare, mi sembra sempre che stia cercando di insinuare qualcosa.
    L’uomo rise alla mia confessione, il suo tono era sempre ammiccante o indagatore, era frustrante ma allo stesso tempo affascinante.
    Non mi piacciono le interviste troppo semplici o accomodanti, preferisco punzecchiare e spintonare i miei ospiti. Sento che il risultato è più vero di quanto otterrebbero altri con la cortesia pura. A costo di mettere a disagio gli altri.
    Quello spirito spigoloso mi colpì, ero convinta potesse esserci qualcosa di più dietro.
    E funziona di solito?
    Qualche volta di più, qualche volta di meno. Ho visto un suo intervento in tv di qualche giorno fa, pensavo non avrebbe retto la pressione e sarebbe sprofondata sotto terra, invece mi ha tenuto testa alla perfezione. Il mio metodo mi permette anche di mostrare parti delle personalità degli ospiti che altrimenti sarebbero rimaste nascoste sotto una finzione un po’ patinata. Preferisco parlare con persone e non con personaggi, a costo di farmi qualche nemico.
    Scambiammo ancora alcune battute, poi il discorso passò sul piccolo tour che avevo in programma e da lì volse al termine. Una volta che le telecamere furono spente non mi allontanai subito, rimasi ancora a chiacchierare un po’ con l’uomo. Mi raccontò un po’ di sé e parlammo del più e del meno. Era un tipo strano, in qualche maniera ci assomigliavamo nel nostro modo di apprezzare la compagnia altrui. Lui indagava nell’animo delle persone anche a costo di risultare sgradevole, pareva avere quella sfacciataggine e irruenza che io non riuscivo proprio a sviluppare per il terrore di dispiacere agli altri. Lui aveva fatto di una delle qualità che io non avevo avuto il coraggio di sviluppare una professione a tutti gli effetti, in qualche maniera lo ammiravo profondamente. E in qualche maniera mi aveva aiutato a tirare fuori quella che sarei dovuta essere nei rapporti con i media, schietta e sincera ma con dei limiti da non valicare. Non dovevo lasciarmi plasmare troppo da Juan ma neanche ignorare i suoi consigli. Non ero ancora un personaggio pubblico davvero famoso, ma non ero neanche più una sconosciuta, dovevo stare attenta a quello che facevo e dicevo.
     
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    Il tour andò bene, fu un discreto successo di vendite e il pubblico fu sempre caldo con me. Draig riuscì ad esserci quasi sempre, mancò solo una data ma per il resto fu costantemente lì a guardarmi e a gioire con me. Riuscimmo a trovare una buona alchimia con i membri del gruppo e questo fece diventare le riprese più naturali e piacevoli. Il regista se ne andò via con una tonnellata di girato e impiegò una settimana intera a scegliere il materiale migliore e a montarlo. Quando mi fece vedere l’effetto finale ne rimasi estasiata, era incredibile la capacità che possedeva quell’uomo, era riuscito a creare una sorta di filo continuo, quasi una storia breve del nostro viaggio. Rivedermi sullo schermo mi faceva stranissimo, mi imbarazzava come non mai, ma il risultato era il migliore che potessi sperare. Ero stata fortunata ad avere a che fare con persone così gentili e competenti. Al contrario i tempi per il disco si rivelarono un po’ più lunghi, la qualità dell’audio non era sempre perfetta, c’era bisogno di campionare, mixare e fare altre operazioni pratiche che mi vennero spiegate ma di cui non capii molto. Ma anche durante questa attesa le cose non rimasero ferme, un’altra occasione mi capitò tra le mani presto.
    Mentre ero nell’Artiglio mi era stato chiesto di fare la colonna sonora di una serie tv del Paese della Neve. Si trattava di una produzione a basso budget, una storia d’amore tra una giovanissima musicista e il principe di un regno fantastico. “La storia armonica”, questo era il titolo. Non furono molti gli spettatori, era un prodotto di nicchia, ma le musiche attirarono l’attenzione di un produttore che come me si era trasferito nel Paese del Mare dopo la fusione e che prima aveva come base di lavoro Yuki. Juan mi raccontò di quest’uomo che gli era venuto a chiedere di me, impressionato dal tema principale e in generale dalla colonna sonora. Costui stava per lanciare una nuova produzione molto importante, una serie chiamata “Gioco di troni”. Si trattava di un fantasy tutto particolare, Draig aveva letto i libri da cui era tratto e mi aveva detto che le erano abbastanza piaciuti. Kon Arukawa, il produttore, era rimasto colpito dai toni onirici e danzanti che avevo usato nella mia prima colonna sonora e si era chiesto se fossi interessata a provare qualcosa di complesso e nuovo. Avevano cercato volti giovani e freschi per gli attori e per le regie, volevano qualcuno di innovativo anche alle musiche. Avemmo un lungo colloquio, insieme, e parlammo in maniera molto chiara. Gli spiegai quelli che secondo me erano i miei limiti, non ero una compositrice nel vero senso della parola, mi mancava tutto un retroterra teorico, oltre che l'esperienza. Non sapevo niente di orchestrazione, se si aspettavano un certo tipo di composizioni io ero la persona sbagliata.
    Non mi servono per forza mille strumenti, sezioni chilometriche di fiati o dodici primi violini che si pestano i piedi. Una delle cose che mi era piaciuta dei tuoi pezzi che ho sentito era la leggerezza, però ovviamente se non te la senti non ti costringo. Facciamo così, mi firmi un pre-contratto di riservatezza e io ti passo la sceneggiatura di un paio di scene. Sono praticamente le uniche che abbiamo pronte del tutto, sono un po’ i punti focali della storia. Tu dacci una lettura, capisci se pensi di riuscirci e poi ci vediamo tra una settimana qui. Ci stai?
    Accettai, stringendo la mano all’uomo. Draig diceva sempre che mi fidavo troppo poco delle mie qualità e che dovevo lasciare agli altri decidere se il mio lavoro aveva davvero del valore. Era un’occasione unica per mettere in pratica il consiglio della mia amata. Il giorno dopo mi arrivarono i testi promessi, diverse pagine di sceneggiatura da leggere. Lo feci con impazienza e cercai di assorbire tutto, anche se mi dovetti far aiutare da Draig per cercare di entrare bene all’interno del clima dell’opera. Era molto più cupa e aspra di quanto mi aspettassi, ma mi piaceva l’idea di confrontarmi con qualcosa di così diverso, quindi mi misi quasi subito al lavoro e trovai presto l’ispirazione.

    La scena su cui mi concentrai per prima era particolare, un lungo dialogo tra due soli personaggi in una stanza chiusa, la stanza del trono. I due protagonisti erano entrambi delle seconde linee, non i personaggi principali della storia, ma in qualche modo i cardini nascosti di essa. Due burattinai, i cui piani coinvolgevano e sconvolgevano il mondo intero. Uno era un politico scafato e terribile, uno di quelli che cerca realmente di fare il bene della gente, ma lo fa attraverso tutti i mezzi a sua disposizione, alcuni dei quali per niente morali. Da quel poco che avevo letto quel personaggio mi incuriosiva e terrorizzava allo stesso tempo. Mi fossi trovata a dovermi confrontare con una persona del genere cosa avrei fatto? Avrei accettato i suoi compromessi o avrei preferito essere fedele ai miei ideali e principi, anche a costo di provocare danno? Un dilemma non da poco, mi chiesi se fosse quello l’obiettivo degli autori. Ma, per quanto interessante fosse, era l’altro personaggio il vero punto chiave della scena. Costui pareva la personificazione dell’ambizione, tutti i suoi sforzi puntavano ad una cosa sola: il trono. E non aveva limiti né riserve morali, in questo senso non c’era alcun problema a definirlo un malvagio puro. Draig mi aveva raccontato alcune delle sue malefatte e riuscii a farmi un’idea più che chiara di che tipo di personaggio fosse. E riuscii a capire cosa fosse realmente quella scena, ovvero la sua massima espressione, il punto in cui costui mostrava la sua pericolosità e la sua macabra brillantezza. Compresi anche cosa dovevo fare, come organizzare la musica. Non doveva invadere lo spazio degli attori, doveva accompagnarli, quindi nella prima parte della scena giudicai non fosse necessario la presenza di altri suoni. Ad un certo punto, quando il dialogo tra i due iniziava a farsi meno amichevole e più diretto sarebbe intervenuto il primo strumento, un violoncello che produceva solo una lunga nota gravissima. Poi un pianoforte, poche note basse e ben distanziate tra loro, a condurre lo spettatore tra le parole degli uomini, a dar ad esse maggior peso. Un secondo violoncello, meno grave ma altrettanto minaccioso, si inseriva nel momento in cui i due passavano a toni più accesi, a discutere delle proprie motivazioni. Finché il secondo personaggio non pronunciava la sua frase più iconica. “Il caos è una scala”. Lì il pianoforte tornava a farsi protagonista e dopo qualche battute esso e una piccola sezione di violoncelli iniziavano a dialogare, a darsi potenza. Ultimo inserimento erano percussioni, che alimentavano il ritmo degli archi e aumentavano l’impatto generale. Brevi volute, molto rapide ed energiche, nel mio pensiero da accompagnare al succo del monologo finale del cattivo. Parole pesanti, spietate, che ben si univano ad una musica così cupa e incalzante, a mio avviso, in un crescendo che voleva sottolineare quanto potesse essere minaccioso un individuo e un pensiero come quello. Quel personaggio mi aveva in qualche modo conquistato, aveva una negatività così estrema che mi convinsi andasse raccontato e messo in scena, però andava fatto con cautela. Non doveva essere esaltato, bisognava mostrare quanto i suoi modi e i suoi pensieri fossero orribili, sbagliati. In questo senso sentii l’importanza del mio lavoro ed esso fu come guidato da una mano esterna per quanto fui veloce a trovare i giusti accordi. Era questo quello che volevo fare, raccontare attraverso la musica, e se per riuscirci dovevo appoggiarmi ad altri media lo avrei fatto più che volentieri.
    Questo pezzo fu scritto in un pomeriggio soltanto, mentre il secondo brano che presentai a Kon ebbe una storia un po’ più complessa, che parte da più lontano. Era passato solo un giorno dal nostro arrivo nel Paese del Mare e scoprii quasi per caso che vicino alla nostra nuova dimora c’era un antico tempio in rovina. Era a mezz’ora di cammino da casa, in collina e nascosto dalla boscaglia. Non riuscii a capire a quale divinità fosse dedicato, era un edificio davvero enorme, ma probabilmente era stato vittima di qualche catastrofe naturale. Mancava del tutto il tetto, ma la quasi totalità dei muri portanti era ancora in piedi. Rimasi incantata dall’aspetto decadente e sacro di quel luogo, divenne il luogo in cui mi rifugiavo per pregare da sola, di tanto in tanto. Ma c’era un’altra cosa che attirò oltremodo la mia attenzione, ovvero la presenza di uno strumento musicale insolito e magnifico, un organo. Era grandissimo, maestoso e totalmente a mia disposizione. Ci pasticciai un po’, senza molta cognizione di causa e andando a tentativi, quasi come una bambina che gioca con un oggetto sconosciuto. Riuscii a capire che la qualità del suono era ancora ottima, per quanto le condizioni fisiche dell’oggetto non lo fossero per niente. I miei esperimenti non erano un vero e proprio tentativo di imparare a suonare lo strumento, ma lo divennero durante il tour, quando il pianista del gruppo mi diede alcune lezioni teoriche. Lui era un organista, in realtà, solo che per vivere ovviamente doveva suonare uno strumento meno raro e più utilizzato. Lui si divertì parecchio a insegnarmi le basi dell’organo, era davvero appassionato. Io a quel punto non ero più una principiante totale del pianoforte, quindi mi trovai avvantaggiata in quello studio a tempo perso. Mai avrei pensato che mi sarebbe tornato utile così presto.

    La colonna vertebrale del pezzo che iniziai a scrivere era lasciata al pianoforte, il tema principale era una frase musicale che dominava l’intero brano venendo ripetuto con qualche variazione innumerevoli volte. Un tema oscuro, triste, che a mio avviso ben si adattava alla parte di storia che doveva accompagnare. Si trattava del racconto di un processo a carico della regina cattiva, macchiatasi di numerosi delitti e costretta a rispondere alla giustizia da un gruppo di uomini che stava acquistando il potere nella regione in cui era ambientata la serie. Persone estremiste, che a detta di Draig non erano presentate come personaggi positivi, anzi erano pericolosi quanto il vecchio regime che si proponevano di rovesciare. La musica sarebbe proceduta con mestizia durante i preparativi del processo, violoncelli avrebbero accompagnato il dominio del pianoforte e delle sue note lente e riflessive. Un lungo percorso di avvicinamento ad un episodio importante e concitato, mia moglie mi aveva fatto leggere le pagine che descrivevano le modalità in cui si sarebbe svolto il procedimento penale e in effetti l’angoscia era l’attrice principale della scena, motivo per cui calcai la mano. Non fu difficile trovare la giusta atmosfera, bastò ripensare agli avvenimenti che mi avevano segnato negli ultimi anni, soprattutto gli eventi di Rokuro e quelli del Paese del Tè, più arduo fu mettere su carta questi sentimenti. Una volta trovato il tema principale il resto venne quasi da solo, ma a quel punto non riuscii a fermarmi. Sapevo cosa succedeva dopo la scena che mi era stata commissionata, Draig mi aveva raccontato tutto, e avevo una voglia matta di continuare a scrivere. Il libro passava a suggerire che la regina avesse qualche contromossa pronta, a dare piccoli indizi su cosa aveva intenzione di fare, poi continuava a mostrare in parallelo i preparativi di entrambi i fronti. La musica avrebbe rallentato in questo passaggio, per far poi spazio ad un altro elemento che avrebbe dovuto dare il via al processo vero e proprio, ovvero l’uso di un piccolo coro. Non avevo deciso delle reali parole da far cantare, semplicemente ero convinta che il suono delle voci umane potesse rendere meglio quel passaggio. Ne avrei parlato con il produttore o con il regista, se l’idea fosse piaciuta. In ogni caso da quel punto in poi la velocità della musica avrebbe iniziato ad aumentare, grazie all’intervento dei violoncelli e in seguito di un altro strumento, l’organo. Avevo provato e riprovato con quello del tempio e avevo avuto la conferma che quella sonorità imponente era la migliore per rendere la “tossicità” della situazione, per instillare nell’ascoltatore il terrore che le cose stessero per andare a scatafascio. Violoncelli, coro e organo, poi solo organo accompagnavano il dipanarsi del piano degli antagonisti della regina, mentre raggiungeva il suo culmine e sembrava raggiungere la vittoria. In quel momento tornava il pianoforte, il tema principale, la riflessività dell’inizio e l’angoscia ad essa accompagnata, per segnalare che qualcosa ancora poteva cambiare. Il violoncello alimentava una lenta costruzione della tensione, finché non tornava protagonista l’organo, nel momento in cui i frutti delle macchinazioni della regina iniziavano a venire mostrati. Da lì si anticipava il momento finale con più di una frase maggiormente ricca di suoni rispetto al resto del pezzo, mentre le immagini avrebbero mostrato l’enorme arsenale di esplosivi della regina, preparati proprio per l’occasione. Fino al climax, in cui i violoncelli avrebbero spinto da soli il ritmo fino al limite e poi fatto scoppiare il silenzio. Un istante dopo, nel mio piano, ci sarebbe stata la tremenda deflagrazione e il suo nefasto suono avrebbe preso il posto della musica, a segnare la fine traumatica della scena e a dare piena realizzazione alla potenza espressiva di tutto il pezzo.
     
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    Dopo un breve flusso di applausi il silenzio riguadagnò il possesso di quell’arena così diversa da quelle a cui io e gli altri musicisti eravamo abituati. Tutti i membri di quella band provvisoria ci scambiammo dei rapidi sguardi di intesa, poi la chitarra diede il via alle danze. A suonarla c’era Il Nemico, Kenji Netsushi, cantautore dalla carriera lunga e di successo, mio lontano parente. Il fatto che fosse lì, con me su quell’importante palcoscenico, era l’ennesimo regalo che avevo ricevuto da lui. Forse però era anche il modo migliore per ripagarlo, pensai vedendolo così contento durante i preparativi e dopo il concerto. Avevo fatto benissimo a coinvolgerlo nel mio progetto.
    Quando credi di esser sola
    su un atollo in mezzo al mare...

    Dopo un paio di frasi musicali cominciai a cantare, emozionatissima. Per fortuna la voce non tradì quanto fossi tesa in quel momento e riuscii a mantenermi lucida e produttiva. La canzone non era mia, era di Beruto Tenshi, un grandissimo cantautore mancato una decina di anni addietro. Era passato da poco l’anniversario della sua scomparsa, ma non era per quel motivo che stavamo suonando quel pezzo. Quelle parole, quella musica, erano semplicemente perfette per quello per cui eravamo riuniti tutti lì.
    Chiama, chiama piano,
    sai che non sarò lontano.
    Chiama, tu chiama piano
    Ed arriverò io, in un attimo,
    quell’attimo anche mio

    La mia voce era del tutto diversa da quella di Beruto, flebile, quasi gracile, al contrario della sua che era calda e profonda, ma il risultato fu più che soddisfacente. Lo spirito della canzone c’era e con esso il giusto inizio a quel grande e importante evento. Ma sebbene quell’attimo fosse anche mio, non era solo mio. Presto una seconda voce si unì alla mia.
    Quando crolla il tuo universo
    tra le righe di un giornale

    Il cantante che prese la parola era Katou Konu, un veterano. Quella canzone era stata incisa molto tempo fa, ma una delle sue versioni più famose era un duetto proprio tra questo artista e Beruto. La sua voce era molto particolare, aveva un timbro quasi angelico. Era stato uno degli ultimi artisti ad aderire al mio progetto e fu un’aggiunta molto importante. Sul palco insieme a noi anche un batterista e un contrabbassista, per le parti strumentali del brano. L’arrangiamento era abbastanza semplice e solido, se n’era occupato Kenji con estrema fedeltà al brano originale, anche se si era lasciato spazio per un lungo assolo dopo il secondo ritornello.
    Chiama, chiama piano
    Sai che non sarò lontano

    Era proprio per quel motivo che avevo insistito per iniziare con questo brano, per il suo significato. Era una canzone che parlava di essere comunità, un inno alla solidarietà umana e alla condivisione, sia dei momenti belli che di quelli difficili. Era il simbolo perfetto di quel concerto e di quello che volevo rappresentasse.
    Quando il fuoco sembra spento
    e non pensi d’aspettare

    Una lacrima scese dai miei occhi, in concomitanza con quelle parole. Erano così significative in quel momento, per quell’occasione, che sembrava quasi impensabile che fossero state scritte più di vent’anni prima e non in quei giorni. Mantenni comunque la concentrazione al massimo e la mia voce continuò a non tradire l’emozione fortissima che stavo provando. Quello su cui avevo lavorato così intensamente stava infine vedendo la luce.
    Chiama tu, chiama piano
    Ed arriverò io in un attimo,
    quell’attimo anche mio

    separatore


    Tutto era cominciato il giorno in cui dovevo incontrare Kon e Juan, di modo di far vedere loro i miei pezzi per la colonna sonora. Avevo portato entrambi gli spartiti, ma il produttore della serie dopo aver letto il primo aveva detto di voler sentire come suonava. Io misi le mani avanti sulle mie capacità da chitarrista e soprattutto da percussionista, però mi prodigai volentieri a convincerli della bontà delle mie composizioni. Creai dei cloni e ci dotammo dei giusti strumenti, per poi iniziare a suonare tutti insieme. L’esecuzione non fu perfetta, ma diede un’idea concreta di come doveva essere il prodotto finale. L’uomo ne fu entusiasta, disse che catturava bene la maniera in cui voleva girare la scena. Disse che potevo considerarmi sotto contratto, ma che era terribilmente curioso di sentire come avessi interpretato l’altra scena. Io gli mostrai lo spartito e gli raccontai di come volessi usare un organo per una parte del brano. Non c’erano organi nello studio della UMI, ma a mio avviso potevo rendere un’idea dell’impostazione del pezzo anche senza di questo strumento. Kon si rifiutò di sentire una versione incompleta e io dissi che l’unico organo di cui conoscevo la posizione era in un tempio abbandonato ad un paio di ore di cammino da lì, circa. Lui si mostrò incuriosito da quella frase e volle saperne di più. Quando gli descrissi il posto lui palesò vivo interesse anche dal punto di vista delle riprese, anche se lasciò la frase in sospeso. Con mia grande sorpresa prendemmo armi e bagagli e partimmo subito per poter visitare quel posto. Un po’ mi spiaceva perdere l’esclusiva del mio piccolo riparo segreto, però mi sembrava che fosse la cosa giusta da fare. Anche Juan ci seguì, visto che aveva la mattinata libera da altri impegni. Ci mettemmo un po’, ma alla fine arrivammo in quell’antico tempio in disuso. Dopo un breve tour dell’edificio tirai fuori gli strumenti che servivano e eseguii il pezzo, che piacque molto ad entrambi.
    Se ce la fai così la roba la colonna sonora potrebbe avere anche un po’ di mercato, sai? Oltretutto questo posto ha una acustica particolare, non sarebbe male farci concerti.
    Avevo pensato anch’io una cosa del genere, anche se me l’ero tenuta per me. A quel punto, visto che l’argomento era uscito, tirai fuori un’idea che da tempo mi ronzava in testa.
    A questo proposito avrei una proposta da fare, Nappa-san. Ci pensavo già da un po’ e si andrebbe a collegare a quanto si diceva ora. Io volevo organizzare un concerto di beneficenza per il Paese del Tè.
    Lui storse il naso quando sentì la parola “beneficenza”, ma non disse nulla, lasciandomi proseguire. Spiegai di come mi fossi recata in quella nazione qualche settimana addietro, per visitare un paio di miei amici. La situazione di quel posto era terribile, molte zone erano ancora distrutte e c’erano molti mutilati e orfani. Sapevo anche di organizzazioni che si occupavano di queste persone in difficoltà, ma a quanto mi era stato detto costoro si scontravano con gravi mancanze di fondi. Lì era partito il mio pensiero, su cosa potessi fare io in prima persona. Non avevo soldi da donare, io e Draig avevamo bisogno di risparmiare visto il trasferimento e il figlio in arrivo. Proprio allora mi era venuta in mente l’idea del concerto, ma da sola non avrei concluso nulla. Serviva coinvolgere molte più persone, ma ce l’avrei fatta? Di sicuro per farlo avrei dovuto appoggiarmi a qualcuno con contatti e capacità organizzate. Proprio come l’uomo che avevo davanti a me, anche se dubitavo potesse condividere il mio entusiasmo per un’idea del genere, motivo per cui fino a quel momento avevo tenuto per me il progetto.
    Tutto molto lodevole e interessante, ma...
    Come immaginavo Juan aveva delle obiezioni da porre, non ebbe bisogno di esplicitarle perché le capissi. Lui non era una cattiva persona, però era un uomo d’affari dalla testa ai piedi. Non avrebbe accettato di spendere tempo ed energie in qualcosa che non avrebbe avuto un riscontro economico per l’azienda.
    In realtà la cosa potrebbe sorprenderla, penso che ci siano possibilità di sfruttare un evento del genere a suo favore. Innanzitutto penso lei sappia bene quanto è importante la pubblicità. un concerto abbastanza grande potrebbe essere proprio quello di cui ha bisogno e il fine nobile aggiungerebbe appeal all’azienda. Tre case diverse si sono unite, portando insieme tanti artisti diversi, farli suonare in una volta sola potrebbe aumentare le tirature, a mio avviso. Soprattutto se si riesce a coinvolgere una qualche televisione. Io sono certa di riuscire a convincere a partecipare alcune persone, le ho già parlato dei miei viaggi e dei tanti contatti che ho creato durante essi. Potrebbe essere un buon modo di tastare il pubblico e vedere se qualcuno può essere messo sotto contratto. E visto che le interessa questo posto potrebbe essere un buon modo di inaugurarlo, metterlo alla prova e vedere se può essere utilizzato anche in altre situazioni, più “commerciali”. I costi non sarebbero elevati, ma i benefici sarebbero molto grandi, a mio avviso.
    Lui mi fissò per qualche secondo, ragionando in silenzio. Giochicchiava con il suo pizzetto, con un sorriso malizioso sulle labbra.
    Ti ho sottovalutato, Fukusha. La tua proposta non è male. Ci ragionerò e ti farò sapere.
    Dopo poco tornammo tutti e tre in sede, ma Juan aveva lo sguardo perso ed era preso dai suoi pensieri, cosa che sul momento mi parve molto positiva. Firmai il contratto con Kon e poi potei ritornare a casa. Fui richiamata due giorni dopo, proprio nell’ufficio di Nappa. Lui mi disse che aveva parlato con altri uomini della UMI e aveva proposto ufficialmente di organizzare quel concerto di cui gli avevo parlato. Era riuscito a trovare un'emittente televisiva disposta a trasmetterlo in diretta e aveva trovato persino qualche sponsor, per dividere le spese a dovere, visto che le mie previsioni economiche erano chiaramente sbagliate.
    Alcune di queste aziende lo farebbero per lo più per “pulirsi” il nome o la coscienza, ma credo che non ci si possa fare niente, ci sono molto utili. Ho parlato con il sindaco e ho concluso l’affare per acquistare il tempio per pochi soldi. Necessita un po’ di manutenzione, ma pensavo di non cambiarlo quasi per niente, è suggestivo e accogliente al punto giusto. Pensavo di nominarti direttrice artistica del progetto e farti lavorare insieme ad un paio dei miei uomini, così puoi mettere a frutto i tuoi contatti. E preparati, le cose possono essere tutte belle e piacevoli, però organizzare vuol dire lavorare con dati e soldi, non è per niente semplice.
    Ringraziai molte volte, affermando che avrei fatto del mio meglio e che avrei accettato qualsiasi consiglio da parte dell’uomo e dei suoi sottoposti.
    Ah, ho anche un piccolo dono per te. L’organo che hai suonato laggiù è l’unica cosa che pensavo di togliere. Ho provato a farlo vedere ad un esperto, per quanto il suono sia abbastanza buono non è riparabile in modo da renderlo presentabile. Io lo butterei, ma ho visto che a te piace assai, se vuoi puoi prenderlo. Mi pare tu possa infilarlo in uno di quei tuoi rotoli strani, no? Se non lo vuoi lo distruggiamo, ma mi faceva piacere premiarti per la tua idea. Forse vi sembro senza cuore, ma io ci tengo a tutti voi e alla vostra soddisfazione.


    Organo del tempio abbandonato
    Antichissimo strumento musicale, appartenente alla famiglia degli aerofoni. Si suona utilizzando due tastiere e una pedaliera, che attraverso un complicato sistema meccanico fa affluire aria nelle tante canne da cui poi esce il suono finale. Le canne sono raggruppate in una sorta di scaffalatura di legno, che le mantiene unite. Questa struttura è alta e larga circa dieci metri, quindi questo strumento ha bisogno di luoghi particolari per poter essere suonato. Viste le dimensioni è altresì quasi impossibile spostarlo normalmente, ma questo problema può essere risolto tramite l'utilizzo di Rotoli Orchestrali. Nonostante sia stato abbandonato per una quantità di tempo sconosciuta la qualità del suono è ancora ottima, ma l'aspetto è cadente e quindi sarà impossibile trovare un compratore per un oggetto del genere, il cui valore commerciale è pari a zero.


    Edited by GIIJlio - 9/11/2018, 22:27
     
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    Chiama piano... lo abbiamo fatto e voi siete qui, su questo prato o a casa, davanti allo schermo. Noi siamo qui per un motivo, perché c’è qualcosa che possiamo fare, insieme. Tendere una mano, aiutare chi è in difficoltà, chi ha passato momenti durissimi e ora deve continuare a vivere, in qualche modo. Siamo qui per loro, in questo attimo anche nostro, per fare la differenza. Insieme siamo inarrestabili, quindi vi ringrazio di essere qui, volevo solo dirvi questo.
    Feci un inchino e mi presi una bella dose di applausi. Nel mentre Kenji, Katou e gli altri avevano abbandonato il palco, lasciandomi da sola al centro. Una volta finito di parlare fui però raggiunta da Suzaku. Lo presentai, facendogli prendere altri applausi, tutto sommato era un personaggio abbastanza famoso in quel Paese, nonostante la sua spigolosità. Ero rimasta molto sorpresa che avesse accettato di partecipare, non me l’aspettavo da lui, soprattutto dopo che alcuni altri conduttori televisivi avevano rifiutato.
    Signori e signore, Fukusha! È proprio da questa testolina qui che è nata l’idea di questa occasione, quindi voglio un gran bell’applauso. E non vi preoccupate, tornerà tra un po’ a farci sentire qualcos’altro.
    Feci un altro inchino, prendendomi l’incitamento del pubblico, poi uscii dal palco tutta eccitata. Raggiunsi le quinte e mi misi a parlare con uno degli altri direttori artistici, per confrontarci su come stavano andando le cose. Per ora nessun imprevisto, tutti i preparativi stavano procedendo come era giusto che fosse. Ascoltai da lì Suzaku annunciare il gruppo di artisti successivi, i Konoha City Ramblers, una band attiva sulla scena alternativa da decenni. Erano stati fra i primi a partecipare ed avevano irradiato l’invito a diversi altri artisti, amplificando la diffusione. Dopo un paio di pezzi entrò sul palco un rapper di Suna, KoRuka, assieme a cui fecero una sorta di duetto. La band uscì di scena dopo questa canzone, lasciando spazio all’ultimo arrivato. Per quanto non fossi una fan sfegatata del suo genere era indubbia la sua capacità di produrre testi sferzanti e accattivanti. Dopo di lui toccò a Gonsou, il pianista e cantautore con cui avevo collaborato nella Neve, ma questa volta non facemmo duetti. Dopo si alternarono Matt Heryul, il Nemico, i Falchi da spettacolo e numerosi altri artisti che avevo conosciuto in passato, insieme ad altri ancora che avevo incontrato per la prima volta in quel periodo. Allargare i miei contatti era stata una delle cose più positive di quei primi mesi nel Mare, volle dire ampliare gli orizzonti musicali e personali in una maniera mai vista prima. Quel concerto era l’apice di questa crescita, il fatto che stesse venendo bene era un punto d’orgoglio per me. E con l’arrivo del culmine della serata stavano per arrivare alcuni dei momenti più alti della mia breve carriera musicale.
    Adesso abbiamo un piccolo dono per voi, un’esclusiva di stasera.

    Quella frase era il segnale convenuto. Entrai in scena con passo tranquillo e sorridendo, anche se dentro di me mi sentivo esplodere dall’emozione. La donna che mi aveva presentata era Dolores, cantante dei Mirtilli, una famosissima band del Paese del Mare. Loro erano già tutti sul palco, avevano già suonato due pezzi e si apprestavano a fare il loro ultimo della serata. Insieme a me, insieme a una mezza sconosciuta spuntata fuori dal nulla, un onore grandissimo per me.
    Questa è la nostra versione acustica di... “Zombie”.
    Un boato accolse quella notizia, si trattava della canzone più celebre del loro repertorio, cosa che ovviamente aumentava il mio onore e la mia responsabilità. Tirai un gran respiro e poi espirai cercando di soffiare via tutti i timori e le incertezze. Inforcai il mio fido violino e gettai uno sguardo di intesa ai membri della band. Avevamo provato diverse volte, quell’arrangiamento era molto bello.
    A dare il via furono tutti gli strumenti insieme, con una lunga introduzione strumentale. Arcate profonde e acute furono il mio apporto principale in questa partenza, dando un tono abbastanza diverso al pezzo rispetto alla versione classica, più riflessiva e quasi tetra.
    Un altro corpo morto
    e morta è anche l’aria.
    La violenza è del silenzio
    la causa primaria.

    Il testo era molto esplicito nel dichiarare tematica e nel dare subito l’atmosfera al pezzo. Si parlava di guerra e di quanto creasse dolore e tristezza. Ma le parole non erano solo un monito generico, erano un riferimento chiaro ad un evento specifico. Tutti i membri dei Mirtilli provenivano da famiglie originarie del Paese del Suono, del resto come lo era la mia. Il testo era stato scritto a seguito della guerra civile nella patria dei nostri antenati ed era stato composto proprio in quell’ottica, guardando da fuori alla distruzione e alle pene causate da un conflitto così duro. Mi avevano scelto proprio per quello, perché avevano scoperto che i miei genitori venivano da lì e avevano detto che quindi era mio pieno diritto suonare con loro questa canzone. E io lo stavo facendo con orgoglio.
    Gli autori dichiaravano la loro estraneità a quel conflitto, a tutte le fazioni, era una posizione pacifista in maniera assoluta.
    Nella mente, nella tua mente
    loro combattono

    Il ritmo era ossessivo e sincopato, il testo era diretto e elencava le armi e le atrocità che gli eserciti avevano compiuto durante la battaglia. Una guerra sporca, una guerra dolorosa, i cui segni erano ancora vivi sulla popolazione, da quello che sapevo.
    Nella tua mente, stanno piangendo
    nella tua mente, nella tua meheente
    zoombie, zoombie, zoombie-bi-bie

    Le prodezze vocali di Dolores erano perfette per una canzone del genere, i suoi gargarismi accentuavano le parole e le rendevano più graffianti, colpivano meglio l’ascoltatore. Oltre a ciò ovviamente davano un’identità al pezzo inconfondibile, era anche questo che lo aveva reso un successo grandioso in patria. E in tutto questo il violino si affannava a dare supporto, a essere vicino alla voce e a rafforzare la sua potenza comunicativa.
    È la stessa vecchia storia
    di serpi e presunta gloria
    nella testa, nella tua testa
    lottano ancoraaaa...

    Una dichiarazione politica senza mezzi termini, che mi sentivo di sottoscrivere in pieno. I miei genitori erano fuggiti da Orochimaru e i suoi metodi assurdi, i miei amici avevano lottato per bandire la minaccia della sua erede dalla faccia della terra. Il male che aveva sofferto Oto era qualcosa di indicibile e c’era solo la speranza che il futuro potesse cambiare.
    È nella tua testa, nella tua testa!
    Zombie! Zombie! Zombie-i-i-ie!

    Nella sua chiarezza il testo era molto sottile, era una denuncia delle ripercussioni della guerra, fisiche ma anche e soprattutto psicologiche. Era un invito a uscire dalle dinamiche, a liberarsi da quelle categorie mentali che trasformavano gli otiani in zombie, che avevano creato il mito degli abitanti del Paese del Suono come sanguinari e malvagi. Qualcosa si stava facendo in tal senso, pian piano le cose stavano cambiando, ma molto era ancora da fare.
    Dopo il secondo ritornello la musica continuava, insistente e malinconica, per qualche battuta, fino ad un’interruzione brusca, segnata da una nota secca e decisa di violino, a mettere il punto esclamativo sull’esecuzione. Avevo suonato al meglio delle mie possibilità ed ero riuscita a non essere un peso per la band che stavo accompagnando, ero davvero soddisfatta. Una tempesta di applausi fu la risposta del pubblico, nettamente positiva. Tutti quanti ci profondemmo in grandi inchini, prima di uscire di scena. Ebbi giusto tempo di ringraziare i miei compagni di un brano soltanto, poi dovetti tornare all’opera di coordinamento insieme agli altri.
    Nel mentre Suzaku annunciò quella che sarebbe stata l’ultima cantante a esibirsi nella serata, Morgan Daraen. La mia nuova amica aveva in scaletta tre pezzi e i primi due scivolarono via con estrema facilità. Gli strumentisti erano stati molto bravi e lei aveva dato libero sfogo alla sua splendida voce. Gli spettatori, nonostante iniziasse a essere tardi, erano davvero eccitati. Come dar loro torto, quella donna era straordinaria come al solito, una trascinatrice naturale.
    Grazie! Grazie di tutto, siete davvero un pubblico sensazionale. Purtroppo il tempo a nostra disposizione sta per finire...
    La donna fece una pausa, per lasciare che gli spettatori sfogassero il loro dispiacere per la notizia. Era un mostro da palcoscenico, conosceva alla perfezione i tempi e gli spazi in cui gestire uno spettacolo, per non parlare del rapporto empatico estremo con il pubblico. Avevo molto da imparare da lei, davvero molto.
    Ma per l’ultima canzone ho un regalo molto bello per voi. Una mia amica me l’ha donata e ve la presento qui in anteprima, la ascolterete voi prima di chiunque altro.
    L’attenzione era attirata e il pubblico lo fece capire con un boato di approvazione.
    Però per farlo ho bisogno della persona che l’ha scritta. Che è anche la persona che ha ideato questo concerto. Signori e signore, un bell’applauso per Fukusha!!
    Aspettai mezzo secondo, poi feci il mio ingresso in scena. Ero meno tesa del solito, avevamo provato tanto ed ero sicura di me. Quella sera indossavo un lungo vestito rosso, più bello e costoso di qualsiasi cosa avessi mai posseduto in vita mia, ma impallidivo di fronte alla fiera eleganza di Morgan. Mi posizionai vicino a lei, con il mio fido violino sotto braccio, poi feci un inchino mentre dietro di me iniziarono a posizionarsi gli altri strumentisti. Un secondo violino, un violoncellista, un contrabbassista, un batterista e una pianista. Avevo scelto un arrangiamento molto ricco per quel brano, ma era solo per far splendere ancora di più quella che era la protagonista assoluta. Una volta pronti ci scambiammo un cenno di intesa, poi partimmo.

    L’intro era strumentale e coinvolgeva tutti quanti tranne la voce. A risaltare di più erano gli archi, con volute rapide ed energiche, poi Morgan si avvicinò al microfono, mostrando a tutti la dolcezza del suo canto.
    Ogni volta che lo guardo allo specchio
    il mio volto sembra sempre più vecchio...

    Inutile negare che ci fosse una spinta autobiografica dietro alla scelta della tematica. Il tempo passava e ne iniziavo a portare qualche segno, anche se per il momento non troppo evidente. La relazione con Draig, il figlio in arrivo, le responsabilità del lavoro e delle spese quotidiane per la casa, erano tutte cose nuove, che non sapevo come gestire e che pesavano sulle mie spalle. Mi facevano abbastanza paura, anche perché non sarei diventata più giovane di così, piuttosto sarebbe successo il contrario.
    Lo so, lo so, nessuno lo sa
    Dove la vita ti condurrà

    Era un testo con un po’ di oscurità, soprattutto all’inizio. Era intenso, ci avevo racchiuso gran parte della mia esperienza personale, delle mie paure, delle mie speranze. “Devi perdere per sapere come vincere” era una frase che mi aveva detto Draig per tirarmi su in uno dei momenti peggiori della mia vita e che avevo fatto mia. L’avevo inserita in quel testo con il suo permesso, senza rivelarle niente. Lo avrebbe scoperto insieme a tutti gli altri; avrei voluto spiarla e vedere la sua sorpresa, ma mentre suonavo era difficile poter osservare nel dettaglio il pubblico. Non potevo distrarmi.
    Canta con me, il passato in un canto
    Canta la gioia, canta il tuo pianto

    La musica era quieta, quasi tetra, fatta di molti pizzicati di archi e di un motivo semplice e accattivante con il piano. Poi l’energia del pezzo sarebbe cambiata radicalmente, con l’avvento del ritornello. La voce di Morgan si sarebbe fatta energica, quasi rabbiosa in alcuni punti, con una potenza che pochi al mondo avrebbero saputo raggiungere. Di pari passo gli archi avrebbero dato fondo a tutta la loro espressività, con suoni acuti e dall’alto valore patetico, in grado di accompagnare e rafforzare la potenza della voce.
    Canta per me, per oggi sii mia
    Prima che gli dei ti portino viaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!

    Un acuto grandioso, di più di cinque secondi, segnò la fine della prima parte del brano. Era proprio per cose come queste che avevo scelto Morgan, perché aveva una voce sia dolce che potente, in grado di raggiungere e tenere note impossibili per altri. Io non sarei mai riuscita a far diventare quel passaggio così sentito, era una maestra in quello e il fatto che si fosse fidata di me e avesse accettato il mio dono era stato un privilegio e un onore.
    Dopo quel grande acuto Morgan avrebbe taciuto per qualche battuta. Il piano e il violoncello avrebbero dialogato, con calma, come se fosse appena passata una tempesta. A loro si sarebbe aggiunta di nuovo la voce, con qualche gorgheggio giusto accennato, per aumentare la tensione musicale e preparare il ritorno di quello che c’era stato poco prima. Un altro ritornello, un altro passaggio di intensità assoluta, un altro acuto, ma questa volta ad esso non sarebbe seguito il silenzio.
    Sogna ancora, sogna ancora, sogna ancora
    Sogna finché non sarà realtà!!

    I violini ebbero il loro spazio maggiore in questo punto, a sottolineare il passaggio da una strofa a quella successiva, che fu identica alla precedente, solo più intensa. E dopo la seconda ce ne fu una terza, anche se leggermente diversa, più forte e rapida.
    Sogna ancora, sogna ancora, sogna ancora
    Sogna ancora, sogna ancora
    Sogna ancora
    Sognaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

    Ancora più acuto, ancora più lungo, ancora più espressivo. Non c’era limite a quello che Morgan potesse fare, con quelle sue corde vocali magiche. Non avrei potuto scegliere persona migliore per affidarle quel brano, lo aveva trasformato e reso davvero splendido, senza di lei non sarebbe mai stato così.
    Una volta esaurito lo slancio della voce, accompagnato da potenti volute degli archi, ci sarebbe stata mezza battuta di silenzio. La voce riprese poco dopo, accompagnata solo dal pianoforte. Ma il tono era diverso, come esausto dopo quella dimostrazione di volontà e vitalità estrema.
    Canta con me, il passato in un canto
    Canta la gioia, canta il tuo pianto
    Canta per me, per oggi sii mia
    Prima che gli dei ti portino via!

    Una volta terminato il testo ci fu ancora qualche battuta strumentale in cui tutti i musicisti diedero il loro commiato al pezzo, che si spense con poche note intense di piano e violino. Poi silenzio, interrotto però quasi subito dagli applausi. Tanti, convinti, una marea gioiosa e commossa. Ci riunimmo e ci avvicinammo al pubblico, per fare un paio di inchini. A noi si aggregarono pian piano tutti gli altri artisti, guidati e presentati da Suzaku, che ringraziava gli spettatori e tutti quelli che avevano collaborato alla realizzazione del concerto e della sua trasmissione in diretta. Io nel mentre ricercai con gli occhi Draig e la individuai poco dopo, tra le prime file. Mani sul volto, lacrime di gioia e commozione, questo era il miglior premio a cui potessi ambire. Anche se era passato attraverso la voce di un’altra donna, quel brano era anche dedicato a lei come sempre. Era frutto di quel periodo, era la rappresentazione dei timori, della fatica, delle speranze e dei miei sogni. Quei sogni per cui stavo combattendo e che stavano iniziando a diventare pian piano realtà. Quel palco, il disco, la nostra casa, il bambino che mia moglie portava in pancia, il servizio ai Sette Dei, i soldi che avevamo raccolto quella sera. Io ero una donna ingorda, non avrei rinunciato a nulla di tutto ciò. Avrei lottato fino all’ultimo per plasmare il futuro il più possibile simile alle mie aspirazioni. Sogna ancora, Aiko!


    Edited by GIIJlio - 9/11/2018, 21:35
     
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    Tutta la quest è stata scritta con una regia magistrale che ormai è il tuo marchio di fabbrica quando si parla di role che riguardano Aiko e la sua carriera musicale. Purtroppo, essendo una non ninja, può sempre e solo svolgere Quest di livello infimo e questo, forse, limita le ricompense materiali che possiamo concederle. TUTTAVIA, come qualcuno diceva qualche giorno fa, questo non è un videogioco ma un GdR, giusto?

    Aiko ottiene:
    -10 exp
    -Organo del tempio abbandonato
    -Un piccolo fan club ufficiale nel Paese del Mare che in breve tempo raggiunge un centinaio di membri. Il suo disco deluxe, inoltre, si piazza al secondo posto nella Top 10 dei dischi più venduti dell'anno all'interno della nazione.
     
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