La Clef de Sol | Livello D

Partecipanti: Aiko Netsushi

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    Un po' da qui e un po' da là

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    Voci lontane mormorano per le strade,
    due uomini eleganti si sorridono con superba complicità,
    una donna corre a comprare il nuovo abito da festa;
    migrazioni dal mondo per il suo animo ardente,
    il sipario si alza,
    "È lei! È Aiko Netsushi!"


    Nome pg: Aiko Netsushi
    Oggetto della quest: concerto
    Livello: D


    Buona fortuna!


     
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    Demone incendiario

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    Un contrabbasso, una tromba, una chitarra classica e delle scarpe da tip tap. Questo era il bottino che avevo ottenuto dalla mia incursione in città. Avevo trovato un negozio musicale che faceva una svendita e non avevo saputo resistere. In un attimo erano svaniti quasi tutti i miei risparmi, evaporati nel nulla. Passai a ritirare i miei acquisti solo dopo aver creato un rotolo orchestrale grande, dentro cui riuscii a sistemare tutto quanto tranne il paio di calzature da ballo, che finì nel rotolo guardaroba. In preda a eccitazione quasi febbrile ritornai a casa, pronta a iniziare ad affrontare le conseguenze della mia scelta. Avevo un sacco di nuovi strumenti, ma dovevo imparare a usarli correttamente altrimenti si sarebbero rivelati un pessimo acquisto. Per fortuna almeno di uno ero già un pochino pratica, ovvero la chitarra. Certo, dimensioni, timbro e espressività erano del tutto diversi da quelli della mia Cigar Box Guitar, ma la tecnica non era tanto differente. Grazie all’aiuto di Kenji e dei “Falchi da spettacolo” avevo imparato le basi e alcuni trucchi per padroneggiare almeno in parte lo strumento. Non ero ancora brava, ma almeno sapevo suonare decentemente.
    Una volta arrivata al mio piccolo appartamento iniziai a stabilire il piano d’azione. Non avevo tempo di prepararmi solo nei momenti di pausa, come avevo fatto invece per il concerto di Kenji. Dovevo sfruttare la medesima strategia che avevo adottato quando si era trattato di migliorare le mie abilità di controllo del chakra, ovvero deputare gli allenamenti ai cloni superiori mentre io lavoravo al locale. Purtroppo, per non disturbare tutti quanti nei dintorni, avrei dovuto cercare un posto tranquillo in cui esercitarmi. Per questo motivo, il giorno successivo, sguinzagliai ben cinque NichiBunshin in altrettante direzioni diverse, perché cercassero luoghi adatti alla loro impresa. A termine della giornata, come concordato con loro, mi arrivarono i ricordi che avevano ottenuto. Per tre di loro il viaggio era stato inconcludente, ma gli altri avevano trovato un paio di location adatte. Una spiaggia deserta e un rudere abbandonato, entrambi luoghi silenziosi e in cui non avrei dato fastidio a nessuno.
    Dal giorno successivo iniziarono gli allenamenti. Per prima cosa dovevo acquisire le basi dei due strumenti che non conoscevo quasi per niente. Mandai un clone al rudere con una copia della tromba e un altro alla spiaggia con una replica del contrabbasso. Al termine della giornata scoprii con stupore che il primo non aveva concluso quasi niente e non era riuscito a comprendere neanche un minimo quale fosse il modo giusto di suonare quello strumento a fiato. Non sapevo neanche da dove iniziare. Più fortunato era stato invece l’aspirante contrabbassista. Conoscevo discretamente quello strumento, per quanto non avessi mai provato a studiarlo. Iniziai a mettere le basi tecniche scimmiottando i movimenti che avevo visto fare a suonatori più esperti, ma alla lunga sapevo che questo sarebbe servito a poco. Mi serviva un mezzo per superare le difficoltà impreviste in cui mi ero trovata, ma non seppi trovare una soluzione sul momento. Dopo il secondo giorno di risultati nulli decisi di accantonare per un po’ lo studio della tromba e di puntare a migliorare l’uso della chitarra acustica. Per poter sfruttare al meglio le sue caratteristiche dovevo conoscerlo a fondo, capire le differenze rispetto alla Cigar Box Guitar, anche quelle più sottili, e comprendere come sfruttare i due strumenti. Quello nuovo era molto elegante e permetteva tanti utilizzi diversi, per quanto mi piacesse la bizzarra sonorità di quello che avevo già prima non potevo che essere contenta del mio acquisto.
    In un paio di settimane raggiunsi un buon livello di preparazione con la chitarra e una decente qualità di esecuzione del pizzicato contrabbassistico. E mentre continuavo ad allenarmi, sempre sfruttando i cloni e la loro capacità di passarmi informazioni di tutto ciò che apprendevano, trovai il modo di sbloccare la mia impasse con la tromba. Mi capitò di scambiare quattro chiacchiere con uno degli avventori del locale, a cui raccontai brevemente la mia situazione. Lui mi spiegò che un tempo aveva tentato di imparare a suonare il sassofono e che aveva preso lezioni da un maestro che viveva al porto Degarashi. Il mio interlocutore aveva abbandonato quasi subito, ma si disse convinto che il maestro esercitasse ancora. Per questo motivo, qualche giorno dopo, sfruttai il fatto di avere diverse ore libere per precipitarmi nel grande centro abitato. C’ero stata da poco, alla ricerca di notizie su una guerra passata, ora cercavo un altro tipo di informazioni. Grazie all’indirizzo fornitomi trovai quasi subito il maestro, di nome Jun Watanabe. Abitava in un piccolo appartamento, in cui mi accolse quando gli spiegai che ero lì perché interessata ai suoi insegnamenti. Gli raccontai dei miei problemi con la tromba e lui disse con aria sicura che era in grado di risolverli. Fu molto poco contento di sentire che avevo intenzione di venire a lezione sotto forma di clone, per un attimo sembrò quasi offeso. Capivo il suo punto di vista, ma quando gli raccontai per esteso tutti i miei problemi lui sembrò comprendere. Disse che l’importante era che pagassi con soldi veri e non clonati.
    E comunque non credere che in tre mesi scarsi possa renderti una suonatrice esperta, il massimo che posso fare è insegnarti le basi. Con solo quelle ti ci fai ben poco in concerto, ragazzina.
    Quello che volevo non erano abilità sufficienti a reggere un intero spettacolo con la tromba, volevo solo poter suonare quei due brani che avevo selezionato e che prevedevano interventi di quello strumento. E proprio perché sapevo bene quello che desideravo, mi ero portata dietro gli spartiti dei due pezzi. Li mostrai all’uomo, che osservò attentamente per qualche secondo.
    Si può fare. Se le cose dovessero andare male posso aiutarti ad arrangiare una versione semplificata, ma credo che ce la faremo senza problemi, se sarai motivata a sufficienza.
    Jun aprì dunque l’agenda che si era portato vicino sin dall’inizio e la sfogliò per qualche istante. Poi mi propose i suoi orari. Lunedì, giovedì e domenica, sempre di mattina. Accettai senza riserve, mi serviva per davvero il suo aiuto e poi sembrava un uomo molto capace nel suo lavoro. I fatti dimostravano che non mi ero sbagliata su quel punto. Dal giorno successivo iniziai le lezioni e insieme continuai la pratica con contrabbasso e chitarra. Pian piano migliorai, con il lavoro quotidiano. Il maestro Jun trovò un po’ di difficoltà, all’inizio, a fornirmi le basi più basilari. Non avevo mai suonato strumenti a fiato, del resto, erano abbastanza diversi dai cordofoni a cui ero abituata. Mi fece anche eseguire molti esercizi di respirazione e di resistenza, per migliorare la materia prima su cui si basava l’arte degli areofoni, ovvero proprio il fiato. Alla fine del mese arrivai con in tasca una padronanza decente della tromba, anche se non ero ancora pronta per eseguire le parti dei brani che mi ero imposta di imparare. Per quelle avrei avuto bisogno di lezioni specifiche. Stavo dunque continuando tutte le mie opere di preparazione quando finalmente il proprietario del locale mi prese da parte per parlare. Mi chiese se avessi ancora intenzione di fare un concerto laggiù, come avevo fatto precedentemente capire. Mi chiese che tipo di musica volessi fare, quando prevedevo di fare questo spettacolo, mi chiese tutti i dettagli che gli vennero in mente. Io gli risposi a tutto, dandogli tutte le informazioni possibili. Alla fine gli chiesi anche se voleva sentire come me la cavavo, se voleva farmi una sorta di provino.
    Ti ho sentito quella sera con il Nemico. Mi fido abbastanza da darti una sera a metà settimana. Però ricordati, un concerto da solista è tutt’altra cosa rispetto all’accompagnamento di qualcuno di affermato. Noi ospitiamo spesso artisti giovani, non famosi, alcuni addirittura alle prime armi. Alcuni sfondano, pochi, la maggioranza no. Noi ti offriamo un’opportunità, il resto dipenderà da te. Cerca solo di attirare un po’ di gente e di non farla scappare a metà...
    Rassicurai l’uomo, avrei dato il meglio di me e avrei garantito il miglior spettacolo possibile. Cercai di fingermi sicura, anche se ero piena di dubbi sul risultato finale. Probabilmente lo feci male, perché lui mi diede un piccolo buffetto affettuoso sulla guancia.
    Tranquilla, giovane, mi sembri una che può farcela. Il 4 luglio, questa è la data che ti offro. Hai ancora due mesi, c’è tempo per completare i preparativi. Per qualsiasi cosa, noi siamo qui.


    Shakuton: NichiBunshin (Arte della Vampa: Clone del Sole)
    Livello B
    Evoluzione degli Hino Bunshin. I cloni creati da questa tecnica tecnica saranno senzienti, autonomi e dotati di tutti i sensi. Queste copie nascono a partire da una sfera di puro chakra Shakuton, da cui si formerà prima la testa e poi il resto del corpo dei bunshin. Sarà possibile utilizzare come materiale anche una delle sfere di Vapore Assassino, riconvertite grazie ad una spesa di chakra adatta.
    Le copie sono in grado di sopravvivere a ferite lievi, ma spariscono in seguito a danni moderati. I cloni hanno una temperatura corporea più elevata di circa 10 gradi rispetto alle persone normali e inoltre l'utilizzatore può scegliere di apportare loro qualche modifica estetica con un costo aggiuntivo. In particolare si può rendere il loro aspetto diverso da quello dell'utilizzatore, anche se sarà impossibile essere troppo precisi con i dettagli al punto da replicare un'altra persona. Sarà inoltre possibile modificare anche la voce dei cloni, sia a livello di timbro vocalico che di range di note coperte. Infine, con un'ulteriore spesa energetica, sarà possibile rendere le copie luminose (risulteranno colorate di un rosso acceso).
    [Sigilli: 5]
    [Tipologia: Superiori]
    [I cloni hanno statistiche pari al 60% di quelle dell'utilizzatore, ma hanno un bonus di 10 punti all'Agilità (aggiunto dopo il calcolo)]
    [La copia possiede gli stessi oggetti dell'utilizzatore, ma la loro resistenza sarà il 50% di quella originale]
    [I cloni possono essere creati ad un massimo di 5 metri di distanza, ma questo limite viene meno se viene riconvertita una sfera presente già in precedenza in campo, allargandolo al raggio di controllo su queste altre tecniche]
    [I cloni conoscono tutte le jutsu dell'utilizzatore]
    [Le modifiche di aspetto dei cloni non avranno effetto sul loro carattere.]
    [Questi cloni rimangono attivi al massimo 24 ore, dopo le quali spariscono automaticamente senza ridare indietro il chakra all'utilizzatore]
    [Se un NichiBunshin termina il chakra a propria disposizione, scomparirà immediatamente]
    [I NichiBunshin non possono eseguire a loro volta questa tecnica]
    [L'utilizzatore può decidere di dotare queste copie di chakra, da 10 a 80 unità.]
    [L'utilizzatore può riassorbire i cloni per recuperare il chakra di cui li ha dotati.]
    Consumo: 30 a copia
    Consumo per riconvertire una sfera di Vapore Assassino: 15
    Consumo per il cambio di aspetto: 2 a copia
    Consumo per il cambio di voce: 2 a copia
    Consumo per rendere la copia luminosa: 6 a copia
     
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    Demone incendiario

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    Dopo la discussione con il padrone le cose cambiarono. Prima di allora avevo comunque una scadenza, certo, ma era qualcosa di vago e di lontano. Ora che avevo una data non lo era più. Il tempo a mia disposizione improvvisamente iniziò a sembrarmi troppo poco, così come iniziai a sentire molto più pressante il suo scorrere continuo. Sarei riuscita a essere pronta? Ce l’avrei fatta davvero? Per quanto cercassi di farmi forza e ignorare la paura, questa mi inseguiva come un'abile cacciatrice. Forse sarebbe riuscita a piegarmi, forse, se non fosse stato per l’intervento provvidenziale di Kenji. Arrivò come un eroe a togliermi dai guai. Era passato a trovare suo fratello e i suoi nipoti, ma involontariamente quasi lo rapii per farmi tranquillizzare e aiutare. Quel mio lontano parente, a cui dovevo in gran parte la possibilità stessa di fare un concerto, fu ben contento di sentire i miei dubbi e di darmi una mano a pianificare il tutto. Lui aveva una lunga carriera concertistica alle spalle, i consigli di un veterano erano davvero ciò di cui avevo bisogno. La sua cooperazione riuscì a calmarmi e mi diede anche molte idee su argomenti che altrimenti probabilmente mi avrebbero mandato nel pallone. Uno su tutti la scaletta, ma anche la composizione del palco e mille altri dettagli tutt’altro che trascurabili. In pochi giorni diede un’impronta concreta e decisiva ai miei lavori di preparazione. Poi ripartì verso casa, ma mi lascio i suoi contatti, così che potessi inviare messaggi disperati nel caso si fosse presentata la necessità.
    Nei giorni successivi continuai a lavorare sugli strumenti in cui ero meno sicura. Dovevo diventare molto brava in molto poco tempo, per cui cercai di non sprecare neanche un attimo. Facevo pratica ogni giorno, aumentando sempre di più i cloni sfruttati e arrivando quindi a fine giornata letteralmente esausta. I cloni superiori passavano tutta l’esperienza che acquisivano nella loro breve vita, ma passavano anche la loro stanchezza e questa era un’arma a doppio taglio. Con il maestro Jun riuscii a raggiungere il livello che desideravo con la tromba e lui stesso mi diede una mano abbassando la difficoltà delle parti che gli avevo passato. Con la chitarra mi sentivo quasi perfettamente a mio agio, quasi quanto con il violino ormai. Con il contrabbasso invece avevo un repertorio ben limitato di abilità, che integrai un po’ grazie al come sempre tempestivo intervento di Kenji. Fu infatti lui a far venire apposta un maestro, che mi diede un paio di lezioni private che ampliarono non di poco la mia familiarità con quello strumento. Non avevo alcuna conoscenza esterna al semplice pizzicato, ma almeno in quello ero diventata decente. Quando provai a pagare il mio insegnante, questi mi disse di avere un profondo debito di gratitudine nei confronti del mio parente e di non aver bisogno di ricompense. Non capii bene, ma accettai la cosa, semplicemente. Forse era stato aiutato anche lui in maniera simile a quanto era successo a me; Kenji era una persona magnifica, molto premurosa, e faceva di tutto per la musica.
    L’aspetto che rimase più indietro furono le percussioni, non ero per niente portata per quel tipo di strumenti. Le avrei usate in maniera molto limitata, pensai. Dovetti esercitarmi anche molto nel canto, alcuni dei pezzi che avevo scelto non erano per niente semplici da quel punto di vista. Per persone con un range di note tutto sommato non elevatissimo come me l’intonazione era tutto, non potendo contare su virtuosismi concessi ad altri. Inoltre dovetti occuparmi anche di un aspetto particolare, ovvero allenare la voce dei cloni. Per alcuni dei pezzi avevo messo in conto di non cantare io in prima persona, ma di provare a sfruttare la possibilità di cambiare loro timbro vocale. Avevo bisogno di poter essere sicura di creare dei cloni con l’esatta voce che avevo in testa e avevo bisogno di essere in grado di farli rendere nel modo migliore. Un errore di calcolo e tutto sarebbe crollato su se stesso come un castello di carta mal progettato. Per fortuna quel processo impiegò poco tempo, fu molto più intuitivo di quanto temessi.
    Una volta raggiunta nei singoli campi l’abilità richiesta però dovevo fare ancora un passaggio fondamentale, dove unire tutto insieme. Per quanto fossimo tutte me, i cloni superiori erano del tutto autonomi. Ciò voleva dire che dovevamo accordarci come se fossimo persone diverse, trovare la giusta intesa ogni volta anche se ogni volta i cloni erano diversi. Fortunatamente anche in questo caso i problemi si rivelarono inferiori a quanto temessi, dato che furono sufficienti degli allenamenti normali. I NichiBunshin, nel momento in cui sparivano, mi passavano tutta la loro esperienza, anche quella relativa alla collaborazione tra loro stessi e me. Dovevo solo stare molto attenta e concentrata nel momento della creazione, era un requisito fondamentale per riuscire a generare cloni dalle giuste capacità.
    Il lato più direttamente artistico dell’organizzazione pian piano stava arrivando a compimento, quando fu il momento di occuparsi anche di creare una sorta di marketing per invogliare il pubblico a partecipare. Mi fu presentato un disegnatore e creativo pubblicitario, queste erano le professioni che dichiarò, dal nome un po’ strano, Kuniyoshi Asegawa. Fu gentile e mi spiegò come avrei dovuto fare per creare un manifesto. Gli spiegai come volevo impostare il concerto, lasciandolo non poco stupito.
    Devi trovare qualcosa che incuriosisca senza svelare tutto. Al di là del testo, potremmo mettere qualche immagine di te che suoni alcuni degli strumenti, senza far capire che sono cloni. Tipo mettere un’immagine più grande e poi alcune più piccole.
    Rimanemmo a discutere davanti ad una tazza di caffè per un’altra mezz’ora, finché non raggiungemmo una prima bozza che soddisfaceva tutti e due. Due settimane dopo, in perfetta linea con i tempi che aveva annunciato, Kuniyoshi mi fece avere la versione finale. Gran parte del manifesto era occupata da un mio primo piano dipinto magistralmente. Stavo suonando il violino, nell’immagine, e avevo lo sguardo rivolto allo spettatore. Uno sguardo deciso, forte, mi piaceva un sacco il modo in cui mi aveva ritratto. Più in basso c’era un’altra me, questa volta con una chitarra in mano e un microfono vicino alla bocca. Ma la vera chicca era al fondo del manifesto, vicino all’indirizzo del locale. Laggiù c’era una piccola me che fissava un grande contrabbasso con aria interrogativa, come se non sapesse come fare con quello strumento dalle dimensioni giganti. Risi di gusto a quella visione, era stata un’iniziativa personale dell’uomo ed era stata di sicuro un’ottima idea.
    Nella parte più alta del foglio, a caratteri belli grandi, campeggiava il nome che avevo scelto: “Fukusha”. Non avevo avuto alcun dubbio su quell’aspetto, era quello l’unico nome con cui mi sarei mai esibita in pubblico. Me lo aveva donato Ayako, quando ancora non sapevo mettere due note una in fila all’altra. Bellezza frugale, leggiadria, questo lei aveva visto in me, questo era il messaggio portato dal mio nome. Lo utilizzavo con assoluto orgoglio, ma da poco si era aggiunta anche un’ulteriore motivazione. Il sostantivo "copia" era un omofono di quel nome, si scriveva con altri caratteri ma il suono era lo stesso. Io suonavo copiando, nel senso che utilizzavo tecniche di moltiplicazione per aumentare le mie possibilità musicali. Trovavo molto simpatica quella coincidenza e mi sembrava quasi poetico che Ayako avesse involontariamente profetizzato come si sarebbe evoluta la mia arte. Dovevo tutto a lei e ancora oggi guidava la mia mano.
    Una volta ottenuto il manifesto tutto era pronto per la vendita di biglietti. A quel punto feci una cosa anche abbastanza azzardata, invitai più gente possibile. Persone che non vedevo da molto, come Sousuke, Shu, Miki o Bort, insieme ad altri che avevo conosciuto solo di recente, come Walter, Drey, Kenichi e tutti gli altri che avevo incontrato in quel periodo nel Paese del Tè. Sentii sia il maestro Egor, sia quella sorta di mio allievo che era Zen. Invitai ovviamente Kiryan, Nayra, Rin, Natsuki, Yuya e tutte le ragazze della stazione termale del Paese della Terra. Inviai lettere a tutte le persone di cui conoscevo l’indirizzo. Volevo che ci fossero tutti, ero così fiera di poter mostrare loro ciò che ero, ciò che sapevo fare. In parecchi mi risposero, alcuni dissero di non potere ma agli altri riuscii pure a prenotare il biglietto. Ero così contenta, era un momento importante per me, avere persone a cui volevo bene al mio fianco mi avrebbe dato una marcia in più.
    Un altro aspetto a cui dovetti pensare era dare direttive ai fonici che si occupavano dell’acustica del palco. Mi bastò dare loro le indicazioni di ciò che desideravo e loro fecero tutto. Erano professionisti di livello assoluto e riuscirono a stare dietro anche a quelli che in un primo momento mi erano sembrati quasi capricci infantili. Per quanto riguardava invece i tecnici delle luci avevo ancora meno richieste, quindi lasciai del tutto in mano a loro. Quando, pochi giorni prima del concerto vero e proprio, ebbi modo di fare le prove generali, confermai l’opinione che avevo avuto di quelle persone. Avevano fatto un lavoro eccellente, senza dubbio.
    Alla vigilia del grande giorno, quando tutto ormai era quasi pronto, mi ritrovai a passeggiare su una spiaggia desolata, per spezzare la tensione. Quella che avevo di fronte a me era una grande occasione, certo, ma avevo paura di vivermela male se avessi concentrato troppo le mie pretese su essa. Niente sarebbe cambiato dopo quel giorno, quindi non dovevo preoccuparmi. Far conoscere il mio nome non era necessario per vivere la vita che volevo vivere. La fama non mi interessava per niente, quello che mi interessava era divertirmi e divertire il pubblico. E diamine se lo avrei fatto! Avevo lavorato sodo, avevo sputato sangue. Era ora di raccogliere ciò che avevo seminato.
     
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    Demone incendiario

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    I miei passi risuonarono sul legno del palco, ma non riuscirono a frenare più di tanto il brusio della sala, nonostante il sipario fosse stato alzato. Mi avvicinai al microfono centrale, violino in mano, con aria solenne. Gli altri strumenti erano già lì, appoggiati a terra vicini ad altri microfoni e pronti per essere suonati. Sentii che qualcuno zittì il pubblico, preparandolo per il mio arrivo. Mi ripetei che dovevo rimanere calma, che sarebbe andato tutto bene, nonostante la paura ero determinata a dare il massimo. Quando arrivai al centro del palco presi il microfono e ci battei un dito sopra, per verificare che funzionasse. Quando lo feci il silenzio prese il sopravvento e potei iniziare sul serio.
    Buonasera a tutti! Io sono Fukusha, spero che il mio spettacolo vi piaccia. Però prima di partire, permettetemi di presentarvi la mia band!
    Tirai su il mio fedele violino e caricai l’archetto. Poi con movimenti veloci eseguii cinque note casuali. Non erano una melodia, non avevano un significato in se stesse, però erano quelle necessarie per sostituire i sigilli per la creazione di un Nichibunshin. E infatti ne comparve uno, nella stessa medesima posizione in cui ero io. Aveva pochissimo chakra a disposizione, mi sarebbe servito dopo quello. Il clone posò il violino e si diresse verso la tromba. Nel mentre ripetei l’operazione e un altro clone fu creato dal nulla, questa volta senza chakra aggiuntivo. Poggiò il violino copiato e si diresse verso i bonghi.
    Ancora un attimo di pazienza, signori, presto sarà tutto pronto!
    Posai al suolo, con la massima cautela possibile, il mio violino e presi in mano la chitarra. Ancora una volta eseguii i Sigilli Musicali e creai un altro clone. In questo caso scelsi di modificare l’aspetto rispetto al mio. Era una donna, i suoi lineamenti non erano molto differenti dai miei, ma era abbastanza più alta. Lei si portò subito al contrabbasso, era quello il motivo del cambiamento di statura. Dopo aver fatto ciò creai un ultimo clone, questa volta di sesso maschile, che rimase con la sua chitarra clonata in mano.
    Ancora un istante soltanto.
    Mentre dissi quelle poche parole, per far capire al pubblico che le cose erano quasi pronte, tutti i cloni inforcarono i propri strumenti. Quando tutti furono pronti presi di nuovo il violino e diedi il la. Gli altri mi seguirono, entrando a turno e verificando brevemente che tutto fosse accordato alla perfezione. Mi ero assicurata di farlo prima dell’inizio, ma controllare un’ultima volta non faceva male. Dopo un paio di battute di la, tutti gli altri strumentisti eseguirono una nota particolare, tutti con un fortissimo che creò un grande guazzabuglio improvviso. Durò un istante soltanto, poi silenzio, che fu però accompagnato dalla comparsa di tre nuovi cloni, con nuovi strumenti. Questa volta si trattava di Hinobunshin, ma questo cambiava poco per gli spettatori. Un paio di loro erano delle mie versioni maschili, che avrei utilizzato per dei ruoli specifici.
    Bene, ora ci siamo tutti! E voi siete pronti?
    Ero ancora più energica del solito. Fremevo dalla voglia di iniziare e sentivo il cuore battere all’impazzata, ma ormai non c’era più traccia di paura in me, solo eccitazione. La risposta del pubblico fu affermativa e abbastanza convinta, ma potevo avere di più. Volevo avere di più.
    Ho chiesto: siete pronti?!
    Il risultato fu migliore, potei dirmi soddisfatta. Con un ghigno di eccitazione mi girai verso i miei compagni cloni e feci un cenno con il capo.

    Un istante dopo inforcai il violino e partii. Il primo brano che avevo scelto, quello con cui rompere il ghiaccio, era uno dei miei preferiti in assoluto. Era la quintessenza di ciò che avevo sempre voluto essere, il testo era un inno agli artisti di strada, anche se non parlava di un musicista. Il protagonista era un funambolo e il suo approccio spericolato e giocoso alla vita, tanto che si definiva nel primo verso “maestra di follia”. Adoravo quella canzone, anche perché il violino aveva un ruolo fondamentale nella partitura. Non era una parte facile, in molti momenti la musica accelerava e toccava vette piuttosto virtuosistiche. Era un pezzo che metteva alla prova i violinisti, ma io lo avevo studiato molto e lo conoscevo ormai da tantissimo tempo. Ero sicura di averlo padroneggiato a dovere. Meno certa ero dell’arrangiamento che avevo provato per quella occasione. Il brano originale era stato composto da una band straniera, quindi era pensato per essere suonato da un discreto numero di strumenti, molti dei quali non erano in mio possesso. Avevo dovuto adattare, per costruire il pezzo in maniera sensata, per dargli nuova vitalità. Ero abituata a eseguirla con solo violino e voce, ma era una versione impoverita. In questo caso avevo optato per qualcosa di più ambizioso. Avevo usato la chitarra per accompagnare lo strumento principale, per dare corpo alla musica nei momenti in cui esso calmava la sua furia. Avevo previsto alcuni momenti in cui dare pieno sfogo a quel poco che avevo imparato sulle percussioni, sfruttando i bonghi. Avevo dato al clone contrabbassista il ruolo di amalgamare i suoni, renderli più armoniosi. Durante le prove i risultati erano stati confacenti alle mie aspettative e lo furono anche quella sera. Il pezzo sembrava godibile alle mie orecchie, ne ero contenta. Vista la difficoltà di quella parte, io mi concentrai sul violino e lasciai a un altro dei cloni il canto. In questo modo riuscii a dare al meglio l’espressione che intendevo dare al brano, l’allegria scanzonata ma allo stesso tempo seria di chi rischiava ogni giorno la vita con un sorriso da bambino mai cresciuto sul volto.
    E ringrazio
    Chi ha disegnato questa vita mia...

    Quando arrivò quel verso la parte del violino rallentò pian piano, lasciando spazio ad un crescendo contrario della voce, che rimase in sospeso per un attimo e poi esplose di nuovo. E per dare ancora più energia al verso successivo a cantarlo non fu un clone soltanto, ma tre. Tre di quelli identici a me, con la stessa voce dunque. Tutti insieme, con una voce dunque potenziata esponenzialmente.
    PERCHÉ MI HA FATTO BATTERE NEL PETTO IL CUORE DI UN’EQUILIBRISTA!!
    Queste furono le ultime parole del testo, anche se il pezzo continuava ancora per quasi un minuto, lasciando libertà soprattutto al violino. Il volteggiare delle sue note era proprio come quello del funambolo di cui parlava la canzone e gli altri strumenti lo accompagnavano solo per accentuarne l’espressività e l’energia. Ero convinta che l’equilibrio del pezzo funzionasse, anche se essendo incentrato tutto per lo più su uno strumento soltanto era passibile di disastri nel caso avessi sbagliato anche solo una virgola. Per fortuna non lo feci e l’esecuzione andò come doveva andare. Quando la musica rallentò di nuovo, facendosi più grave e stanca, sarebbe stato evidente che il pezzo stava volgendo al termine. E così fu, con un’ultima nota di violino tenuta per un po’ di battute, che fu sovrastata dall’applauso del pubblico. Finalmente potei prendere un bel respiro, preparandomi per il passo successivo.
    Grazie!

    Mi girai verso i miei cloni, per vedere se erano pronti. Lo erano, quindi diedi loro il via con una piccolo cenno della mano. Partì un violino, che eseguì una nota lunga, la più grave fra quelle suonabili con quello strumento. Una battuta dopo si aggiunse un altro violino, a fare la melodia principale, una ballata rapida e leggiadra. I due violini, suonati entrambi da cloni, danzarono insieme, scambiandosi in qualche momento il ruolo di protagonista e di supporto. A pochi secondi dall’inizio era partita anche la parte vocale, che cantai io in prima persona, per assicurarmi che fosse eseguita al meglio. Era una canzone molto bella, composta da una mia amica della stazione termale nel Paese della Terra. Lei suonava una ghironda ed era proprio per quello strumento aveva ideato il pezzo. Io lo avevo convertito e arrangiato in modo di poterlo suonare con gli strumenti che avevo io. Avevo chiesto consigli anche all’autrice, l’ultima volta che le avevo parlato, e lei si era dimostrata contenta della mia idea. Mi aveva aiutato a completare quell’arrangiamento per due violini e una voce, che riusciva a rendere bene lo spirito della canzone originale. Certo, il timbro e l’espressività erano molto diversi, così come il range di note coperte, ma con un piccolo sforzo eravamo riuscite a trovare una soluzione che non snaturasse la musica. Differenti erano anche le nostre voci, quella dell’autrice era più dolce e femminile della mia, che quindi forse poteva sembrare persino più adatta al testo. Questo infatti trattava di un navigante, un marinaio che fremeva dal desiderio di partire, di viaggiare, di lasciarsi alle spalle i problemi e di inseguire i propri sogni. Una partenza improvvisa, un ritorno incerto, possibilmente da eroe. Mi piacevano quelle parole, sapevano di libertà e di voglia di vivere. Verso il finale la musica cambiò tono per poco tempo, assumendo un aspetto più riflessivo. Solo poche note di pizzicato, mentre gli altri strumenti tacevano e la voce solista ripeteva un’altra volta il ritornello. Poi i due violini ripresero il movimento rapido e allegro per un ultimo giro, finché la musica rallentò e infine si spense in contemporanea con la parole cantate, che sfumarono in un silenzio rotto subito dagli applausi.

    Appena ritornò la calma nella sala io indietreggiai di qualche passo, mentre tre cloni avanzarono davanti. Uno dei tre era maschile, mentre un altro aveva una chitarra in mano, quella originale. Il trio si scambiò un veloce sguardo di intesa, poi iniziarono un piccolo coro a due voci, a cui si aggiunse subito dopo lo strumento, sul quale erano eseguiti dei semplici accordi di accompagnamento. Poco dopo partì la voce femminile. Il testo era strano, mi sembrava parlasse del rapporto tra due persone. Una delle due chiedeva all’altra di restare con lei, di “salpare”, nonostante i suoi difetti, tra cui soprattutto il suo Disturbo da Deficit di Attenzione, di cui si professava ben consapevole in più momenti. O almeno questa era l’interpretazione che avevo dato io, non ero sicura fosse quella giusta. Era un testo molto particolare, fatto di pochissimi versi e di molti vocalizzi, ma soprattutto della ripetizione martellante della parole che dava il titolo al pezzo. “Naviga”. Insieme a me, sottintendevo io. Un viaggio, metaforico o fisico aveva poca importanza, attraverso cui ottenere la comprensione reciproca e una maggiore intensità dei sentimenti. Mi piaceva quella interpretazione e non mi interessava del tutto sapere che fosse quella corretta, che fosse quello che intendeva davvero chi l’aveva scritta. Ero io che la ripensavo e la riproducevo, quindi quella versione era solo mia.
    La voce femminile e quella maschile duettarono lungo tutto il brano, alternandosi le strofe e sovente facendosi i cori a vicenda. Durante l’esecuzione i due si lanciarono spesso sguardi complici e divertiti. Poco importava se erano tutte e due dei miei alter ego, tutto quello faceva parte dello spettacolo, anche l’occhio voleva la sua parte in fondo. Alla fine, dopo un lungo outro, i due vocalist raggiunsero il culmine, alzando di qualche tono le note dell’ultima ripetizione e chiudendo con un fulmine finale.
    Lalalalalalala. Lalalalalalala. Sail!


    Chakra: 204/328 (62%)
    -1: Sigilli Musicali (5)
    -31: Nichibunshin (+10 di chakra aggiuntivo) #1
    -1: Sigilli Musicali (5)
    -21: Nichibunshin (senza chakra aggiuntivo) #2
    -1: Sigilli Musicali (5)
    -35: Nichibunshin con voce e aspetto diverso (+10 di chakra aggiuntivo) #3
    -1: Sigilli Musicali (5)
    -33: Nichibunshin con aspetto diverso (+10 di chakra aggiuntivo) #4

    Clone #1
    Chakra: 8/10
    -1: Sigilli Musicali
    -1: HinoBunshin

    Clone #3
    Chakra: 6/10
    -1: Sigilli Musicali
    -3: HinoBunshin con voce e aspetto diversi

    Clone #4
    Chakra: 6/10
    -1: Sigilli Musicali
    -3: HinoBunshin con voce e aspetto diversi




    Sigilli Musicali
    Livello C
    Tipo: Ninjutsu
    I ninja hanno imparato a controllare il chakra attraverso l'uso del posizionamento delle proprie mani in speciali “sigilli”, grazie ai quali sono in grado di attivare jutsu e abilità varie. Aiko Netsushi è riuscita a creare a sua volta una propria versione personale di questi sigilli, utilizzando la diteggiatura necessaria a suonare uno strumento musicale. In questo modo può utilizzare i suoi Sigilli Musicali al posto di quelli normali, pagando un costo aggiuntivo di chakra.
    [Ogni nota riprodotta (dalla diteggiatura, non è necessario che sia suonata effettivamente) dall'utilizzatore corrisponderà ad un sigillo dei 12 canonici]
    [Non è possibile usare questa tecnica con strumenti che non richiedano diteggiatura (ad esempio le percussioni)]
    [Se uno strumento potrebbe essere usato per fare accordi anche con una sola mano (ad esempio il pianoforte), dovranno essere usate entrambe in ogni caso affinché questa tecnica abbia successo]
    [Non è possibile utilizzare i sigilli musicali senza avere in mano lo strumento in questione (o vicino alle mani in casi come quelli del pianoforte)]
    [La velocità nella composizione dei sigilli sarà uguale tra il metodo normale e quello di questa tecnica, ovvero derivata dalla velocità dell'utilizzatore]
    [Non è possibile aumentare la velocità dei Sigilli Musicali attraverso tecniche di nessun tipo, a meno che non sia specificato esplicitamente]
    Costo: 1 ogni sigillo

    Shakuton: NichiBunshin (Arte della Vampa: Clone del Sole)
    Livello B
    Evoluzione degli Hino Bunshin. I cloni creati da questa tecnica tecnica saranno senzienti, autonomi e dotati di tutti i sensi. Queste copie nascono a partire da una sfera di puro chakra Shakuton, da cui si formerà prima la testa e poi il resto del corpo dei bunshin. Sarà possibile utilizzare come materiale anche una delle sfere di Vapore Assassino, riconvertite grazie ad una spesa di chakra adatta.
    Le copie sono in grado di sopravvivere a ferite lievi, ma spariscono in seguito a danni moderati. I cloni hanno una temperatura corporea più elevata di circa 10 gradi rispetto alle persone normali e inoltre l'utilizzatore può scegliere di apportare loro qualche modifica estetica con un costo aggiuntivo. In particolare si può rendere il loro aspetto diverso da quello dell'utilizzatore, anche se sarà impossibile essere troppo precisi con i dettagli al punto da replicare un'altra persona. Sarà inoltre possibile modificare anche la voce dei cloni, sia a livello di timbro vocalico che di range di note coperte. Infine, con un'ulteriore spesa energetica, sarà possibile rendere le copie luminose (risulteranno colorate di un rosso acceso).
    [Sigilli: 5]
    [Tipologia: Superiori]
    [I cloni hanno statistiche pari al 60% di quelle dell'utilizzatore, ma hanno un bonus di 10 punti all'Agilità (aggiunto dopo il calcolo)]
    [La copia possiede gli stessi oggetti dell'utilizzatore, ma la loro resistenza sarà il 50% di quella originale]
    [I cloni possono essere creati ad un massimo di 5 metri di distanza, ma questo limite viene meno se viene riconvertita una sfera presente già in precedenza in campo, allargandolo al raggio di controllo su queste altre tecniche]
    [I cloni conoscono tutte le jutsu dell'utilizzatore]
    [Le modifiche di aspetto dei cloni non avranno effetto sul loro carattere.]
    [Questi cloni rimangono attivi al massimo 24 ore, dopo le quali spariscono automaticamente senza ridare indietro il chakra all'utilizzatore]
    [Se un NichiBunshin termina il chakra a propria disposizione, scomparirà immediatamente]
    [I NichiBunshin non possono eseguire a loro volta questa tecnica]
    [L'utilizzatore può decidere di dotare queste copie di chakra, da 10 a 80 unità.]
    [L'utilizzatore può riassorbire i cloni per recuperare il chakra di cui li ha dotati.]
    Consumo: 30 a copia
    Consumo per riconvertire una sfera di Vapore Assassino: 15
    Consumo per il cambio di aspetto: 2 a copia
    Consumo per il cambio di voce: 2 a copia
    Consumo per rendere la copia luminosa: 6 a copia

    Shakuton: Hinobunshin (Arte della Vampa: Clone Ardente)
    Livello C
    Tecnica che unisce l'utilità all'estetica, dando un'ampia gamma di utilizzi alla sua creatrice. Dopo i sigilli viene concentrato il chakra dell'elemento Shakuton, dando vita a dei cloni corporei privi di chakra proprio. Questi sono un po' più leggeri rispetto all'originale, fatto che ne migliora l'Agilità, hanno una temperatura più elevata di qualche grado rispetto alle persone normali e inoltre l'utilizzatore può scegliere di apportare loro qualche modifica estetica con un costo aggiuntivo. In particolare si può rendere il loro aspetto diverso da quello dell'utilizzatore, anche se sarà impossibile essere troppo precisi con i dettagli al punto da replicare un'altra persona. Inoltre sarà possibile modificare anche la voce dei cloni, sia a livello di timbro vocalico che di range di note coperte (più qualitativamente che quantitativamente). Infine, con un'ulteriore spesa energetica, sarà possibile rendere le copie luminose (risulteranno colorate di un rosso acceso).
    [Sigilli: 3]
    [Tipologia: Fisici]
    [I cloni hanno statistiche pari al 50% di quelle dell'utilizzatore, ma hanno un bonus di 5 punti all'Agilità (aggiunto dopo il calcolo)]
    [Le copie svaniscono se ferite in maniera Lieve]
    [Possono essere generate copie fino a una distanza massima di 5 metri]
    [La copia possiede gli stessi oggetti dell'utilizzatore, ma la loro resistenza sarà il 40% di quella originale]
    Consumo: 10 a copia
    Consumo per il cambio di aspetto: 1 a copia
    Consumo per il cambio di voce: 1 a copia
    Consumo per rendere la copia luminosa: 3 a copia
     
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    Un, due, tre, quat...
    Una delle mie due voci maschili diede il via, insieme ad un giro semplice di una delle chitarriste, ad uno dei punti climatici di tutto il concerto. In quel brano avevo messo insieme tutto ciò che potevo, era un arrangiamento abbastanza difficile e molto completo. Il vocalist attirava molto l’attenzione, ma la parte strumentale comprendeva l’uso di due chitarre, il violino, il contrabbasso di supporto e infine della tromba, che interveniva in maniera improvvisa a colorare il pezzo. Mi ci ero messa di impegno a elaborare quell’arrangiamento così ardito, alzando al massimo l’asticella della difficoltà. Certo, avevo avuto bisogno dell’aiuto preliminare di Kenji su alcune cose e soprattutto quello del maestro Jun per calibrare bene il coefficiente di sfida con le mie reali capacità. Però era comunque un risultato di cui essere fieri. L’esecuzione andò bene, il pubblico sembrò stupito e divertito dalla sorpresa che avevo preparato. Quella canzone, famose in una veste totalmente pop e con la voce armoniosa e cristallina di una celebre star, stava venendo eseguita come una sorta di polka strampalata e cantata da un maschione con un timbro vocale rauco e abbastanza basso. Mi piaceva il testo di quella canzone, cosa non frequente per brani così commerciali, ma quel mio arrangiamento ardito ne stravolgeva totalmente il senso. Però era terribilmente allegro e ballabile comunque, non potevo non dirmi del tutto soddisfatta. Alla fine il pezzo terminò in modo improvviso, quando la voce ripeté per l’ennesima volta che l’avrebbero sentito ruggire e la tromba eseguì un’ultima nota volutamente sghemba, tenuta per un paio di battute a mettere il punto alla fine del racconto. Ancora una volta mi presi gli applausi del pubblico, di cui approfittai per riguadagnare un po’ di fiato. Io, il corpo originale, ci avevo dato dentro con la tromba e la cosa mi era pesata abbastanza. Non ero ancora abituata allo sforzo che chiedevano i fiati, ma mi mancava solo più un ultimo sforzo da quel punto di vista poi per quella sera avrei potuto dire superato tale test.
    Il prossimo pezzo è una collaborazione. Il testo è mio, la musica l’ho scritta insieme ad una persona che qui è conosciuta bene. Un mio lontano parente e vicinissimo amico, voi lo conoscete invece come “Il Nemico”! Stasera la suono per la prima volta in pubblico, spero che vi piaccia!

    Mi girai un attimo, feci un cenno agli altri musicisti, poi tornai con il volto vicino al microfono e iniziai a cantare. Fu una chitarra a partire con me, poi pian piano si aggiunsero gli altri, contrabbasso e violino di accompagnamento per primi, la tromba nei momenti chiave a vivacizzare il tono, i bonghi in alcuni punti per dare il ritmo della composizione. Lo strumento principe di quel pezzo era la voce, la mia voce. Particolare attenzione avevo posto nella composizione del testo, era la prima volta che provavo a fare il paroliere di una canzone. Era un inno al viaggio, partiva con un’invocazione alla Strada, una richiesta di mostrarmi qualcosa di nuovo e di suonare la sinfonia dei passi del mio stesso cammino. Il testo continuava affermando che muoversi era fondamentale, ma non era un modo di fuggire dal proprio destino. Invitava all’anticonformismo, alla diversità gioiosa. Il ritornello era la confessione di una viaggiatrice impenitente come me, che amava le Strade e continuava a percorrerla senza tregua, perché “la vita è solo un viaggio”. Alla fine del secondo ritornello feci io stessa un bell’assolo di violino, accompagnata dal resto del gruppo, finché non ripartì una volta di più il ritornello.
    Non vuoi venire con me?
    Questo invito alla condivisione era ripetuto ogni volta, al termine del ritornello, e lo accompagnai sempre con un cenno della mano, quasi un invito fisico a partire subito tutti insieme. Dopo l’ultima ripetizione di questa parte ci fu un breve outro strumentale, poi il pezzo giunse al termine. Accompagnai lo sfumare della musica con un minuscolo inchino di ringraziamento, visto che sentivo già arrivare degli applausi in nostra direzione. Avevo il fiatone, ma ero così contenta che sentivo di poter ignorare la stanchezza e tutto il resto. La canzone che avevo scritto, in cui avevo cercato di mettere tutta me stessa, stava venendo applaudita. Cosa avrei voluto di più dalla vita?

    Il contrabbasso iniziò a suonare non appena il pubblico terminò di far rumore, facendo un piccolo assolo introduttivo. Era un esperimento ardito anche quello, non avevo idea di come sarebbe stato accolto, ma avevo voluto tentare. La Cigar Box Guitar intervenne dopo qualche battuta, finché non intervennero anche la chitarra e la voce. Il mio corpo originale non venne coinvolto in questo brano, per darmi il tempo di riprendere il fiato dopo che mi ero spremuta con la tromba per due pezzi di fila. La voce però era quella di un clone identico a me stessa e proprio lì stava il grosso azzardo. Il testo parlava di una donna, un’abile seduttrice che conquistava con facilità il protagonista e lo trascinava in una notte di passione sfrenata. Era una canzone abbastanza esplicita nelle sue allusioni, ma non la trovavo per niente volgare, anzi. Però i problemi erano altri. Prima di tutto non era sempre accettato da tutti che una donna parlasse di sesso in maniera così aperta e libera, per quanto fosse più per allusioni e non in modo diretto. Inoltre cambiando il genere del protagonista ma non quello della sua compagna veniva fuori una storia d’amore lesbica, anche lì implicita ma chiara. Sapevo che erano in molti a disapprovare o disprezzare l’omosessualità, quindi un po’ ero intimorita ad accennare l’argomento, che pure mi toccava di sicuro molto. Però sapevo che i rapporti saffici avevano un certo fascino sugli uomini, indifferentemente dai loro ideali sull’argomento, quindi speravo che questo potesse annullare ogni tipo di protesta da parte di bacchettoni e omofobi. Era una scommessa, ma vedendo la partecipazione del pubblico mi sembrò di averla vinta.
    PER TUTTA
    LA NOOOOTTE!

    Le ultime parole dell’ultima ripetizione del ritornello furono ripetute da altri due cloni, per dare ancora più energia al finale, che arrivò mezza battuta dopo, improvvisa. Gli spettatori ne rimasero sorpresi, ma risposero quasi subito con una buona dose di applausi.
    Grazie. Grazie mille. Spero di avervi... “scosso” abbastanza. Ora però vorrei cambiare tono per un po’. E vorrei dedicare il prossimo pezzo ad una persona che non c’è più, a mia sorella.

    Mi girai ancora una volta verso i cloni, che avevano preparato gli strumenti necessari al pezzo successivo. Un brevissimo scambio di sguardi di intesa, poi vi voltai di nuovo verso il pubblico. A partire fu il contrabbasso, che con un andamento tranquillo e sicuro rese alla perfezione i passi di una donna che avanzava. Pochi secondi e si unirono due violini, uno con arcate sicure e patetiche, l’altro con un accompagnamento fatto di note gravi tenute a lungo. Per ultime si aggiunsero voce e chitarra, che completarono lo scenario angelico costruito in quella maniera.
    E te ne vai, Maria, fra l’altra gente...
    Il testo era molto dolce, un racconto che riuniva sacro e profano in maniera eccelsa. La protagonista era una figura leggendaria, Maria, che in una religione orientale era considerata la Madre del figlio di un Dio. Non conoscevo molto di questo mito straniero, ma non mi serviva altro che questo per capire al meglio il testo. Maria era una donna e come tale veniva pitturata, in maniera molto evocativa. L’argomento principale era la maternità, motivo per il quale non potevo non collegare quel pezzo alla mia povera sorellina. Era passato tanto tempo, ma non l’avevo dimenticata, non l’avrei mai dimenticata. Me la ricordavo, lei, così minuta e con quel pancione così pronunciato. Me la ricordavo, sopraffatta dalla fatica e dal dolore, madida di sudore, abbracciare con il volto radioso i suoi figli appena nati. Lei era nata per essere madre ed era morta per quello.
    Gioia e dolore
    hanno il confine incerto
    nella stagione
    che illumina il viso.

    Quasi mi commossi pronunciando ad alta voce quelle parole, così vicine alla mia esperienza. Per fortuna riuscii a mantenere la concentrazione e diedi inizio al verso che dava il titolo alla canzone. Voce e musica si alzarono, mantenendosi sempre evocative al massimo delle mie possibilità. Il cantato non era per niente facile, per quanto non avesse note altissime da coprire richiedeva una grande intonazione.
    Femmine un giorno
    poi, madri per sempre
    nella stagione
    che stagione non sente...

    Dopo queste ultime parole il contrabbasso, accompagnato da tutti gli altri strumenti, riprese le note iniziali, come a voler rappresentare la donna che riparte nel suo lento e soave cammino dopo essersi fermata parlare con i passanti. La musica pian piano si fece più leggera, fino a sfumare del tutto, sostituita da un sentito applauso. Con il cuore colmo di gioia ringraziai il pubblico, con un inchino molto profondo. Ero davvero contenta di essere riuscita a far venire con me, in un momento così importante, la mia povera sorellina. Ora sarebbe stato il momento di un altro omaggio.
     
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    La chitarra partì da sola, per qualche attimo, dando il via al pezzo successivo. Era una canzone molto importante per me, era la canzone preferita di Ayako. Ce la cantava spesso, con quella sua voce così armoniosa e brillante, non era sua ma ne aveva fatto un arrangiamento praticamente perfetto per pianoforte. Era una canzone semplice e quasi brutale, ma la sua voce la rendeva dolce, poetica. Avevo fatto di tutto per trovare un adattamento adatto per gli strumenti che avevo a mia disposizione. Mi aveva aiutato tantissimo Kenji, era quasi solo grazie a lui se ci ero riuscita. Di conseguenza il pilastro del brano era la parte di chitarra, che quindi era quella più difficile da eseguire e dunque affidata al corpo originale. Un altro clone si occupava del contrabbasso, mentre ad un terzo era deputata la parte vocale. Avevo modificato alla sua creazione timbro e range di quest’ultimo, perché fosse il più simile possibile a quello di Ayako, anche se avevo ovviamente dovuto accontentarmi di una somiglianza non eccessiva. Era una voce meno soave, più squillante, ma ugualmente una buona unione di potenza e grazia. La partitura era perfetta per accentuare un certo tipo di virtuosismi vocali, che mai avrei potuto eseguire io in prima persona ma per i quali avevo fatto allenare come matti i miei cloni. Ci tenevo tanto a quella canzone, avrei voluto cantarla io in prima persona, ma l’avrei rovinata e questo non potevo permetterlo. Era troppo importante, rappresentava alla perfezione come mi ero sentita in molti momenti della mia vita. La voce iniziava sin da subito a raccontare in maniera dolce l’incontro tra il protagonista e la persona amata. La dipingeva come un angelo, più avanti veniva descritta come leggera quanto una piuma. Era evidente che era stata scritta per essere rivolta ad una donna, ma si adattava perfettamente anche per uomini grandi e forti come Ichiro o Kiryan. La virilità non è solo potenza e l’amore, quello vero, ci rende tutti quanti dolci e delicati, indistintamente.
    La tua pelle mi fa piangere...
    Queste parole fecero comparire un piccolo sorriso malinconico sulle mie labbra, ricordandomi l’episodio di qualche mese prima, con Kiryan. Era precisamente quello che era successo, quella mia improvvisa crisi isterica alla vista dei segni del suo doloroso passato. Certo, la situazione descritta nel testo era abbastanza diversa, si parlava di commozione di fronte ad una bellezza quasi sovrannaturale, però la coincidenza era comunque molto piacevole, ai miei occhi.
    Sei così speciale...
    Vorrei essere speciale...
    Ma sono un verme!
    Io sono una stramboide!

    Il testo era terribilmente brutale, il protagonista era davvero impietoso con se stesso, nella stessa maniera in cui lo ero stata io più volte. Sovente mi ero sentita inadatta, immeritevole del bene che veniva mostrato, brutta, inutile. Avevo molta difficoltà a sentirmi speciale per qualcuno, a sentirmi davvero importante. Mi era successo con Ayako, ci avevo messo molto a sciogliermi, a capire che non ero la persona sbagliata per quel posto. Dopo il tempo passato con lei un po’ avevo superato quel difetto, ma era ancora pronto a presentarsi alla prima occasione. Era tornato con Ichiro, con Kiryan, con Yuya. E, in forma più lieve, mi accompagnava sempre, mi impediva di esprimere tutta me stessa se non in pochi momenti. Era una mia debolezza e non me la sarei scrollata mai del tutto di dosso. Cantarla in quel modo era anche un modo di esorcizzarla, di non lasciare che mi paralizzasse.
    Il testo continuava raccontando il desiderio del protagonista di autocontrollo, di miglioramento sia fisico che spirituale, ma soprattutto il desiderio di fare la differenza, che si notasse la propria assenza. Era anche per quello che io davo il massimo, che cercavo di aiutare chiunque incontrassi, per cercare di affermare me stessa. Per mostrarmi utile. Per mostrarmi “speciale”, perché spesso non riuscivo a sentirmi tale, come del resto ripeteva ancora una volta la canzone. Arrivò a quel punto un’altra ripetizione del ritornello, dopo il quale la donna amata fuggiva dal protagonista, il quale dava prova di sofferenza atroce per questo fatto, per poi calmarsi all’improvviso, metabolizzando la perdita e convincendosi che era meglio così, che lei sarebbe stata più felice lontano.
    Sei così fottutamente speciale...
    Vorrei essere speciale...

    Quell’introduzione, solo leggermente diversa da quelle precedenti, diede spazio dunque a due altre ripetizioni del ritornello, la prima nervosa, potente, la seconda molto più quieta, arrendevole, portando ad un finale lieve della musica. Gli applausi furono ancora una volta abbastanza generosi con me, per fortuna. Feci un breve inchino e ringraziai anche a voce il pubblico, riportandomi al centro del palco che era stato occupato temporaneamente dal clone.

    Aspettai che gli applausi terminassero mentre guardavo i cloni che si predisponevano per l’ultimo pezzo in scaletta. Supervisionai i loro lavori e quando vidi che avevano finito diedi loro il via con un cenno del capo. Partirono subito i violini, che in tre iniziarono a suonare in maniera vigorosa ma soave. Dopo poche battute intervenne la chitarra a dare vita al tema principale, accompagnata dal contrabbasso per dare spessore al pezzo e a varie incursioni dei violini. La parte cantata si aggiunse poco dopo, il pezzo richiedeva note abbastanza gravi e una grande intonazione. Il testo era una lunga preghiera, piena di riferimenti sacri ma anche profani. La conoscevo da tempo e parlarne con Kenji mi aveva aiutato a scoprire alcune citazioni particolari, che senza alcune nozioni teologiche specifiche sarebbero mi sarebbero rimaste estranee. Il racconto partiva da una canzone segreta che un re di un passato mitico cantava agli dei per ottenere il loro favore. E, visto che l’interlocutrice del protagonista non era interessata alla musica, come lui stesso affermava, le veniva spiegata in maniera semplice, in modo da dipingere quella che doveva essere quella preghiera musicale. Dopo la prima strofa si ebbe la prima serie di ripetizioni di quella parola che dava il titolo al pezzo, “Alleluja”, che in una lingua antica voleva dire qualcosa come “loda gli Dei”. Quella sorta di semi-ritornello era accompagnato dal solito tema di chitarra ma anche da una bella nota tenuta in vibrato da uno dei violini. I sue due colleghi diedero poi un paio di colpi più forti, che diedero il via alla seconda strofa. Il protagonista si rivolgeva alla amata, che lo aveva cambiato, togliendolo in qualche modo dalla solitudine ma rendendolo anche meno libero.
    L’amore non è una marcia vittoriosa
    è un freddo e sommesso Alleluja!

    Ancora una volta il pronunciare questa parola diede il via ad una nuova serie di ripetizioni. In questo caso però si aggiunse qualcosa in più, visto che non ero sola in quanto solista a cantarla, ma si aggiunse anche un piccolo coro formato da tutti i cloni disoccupati in quelle battute. La strofa dopo era più criptica rispetto alle altre, iniziava parlando dell’amore come una sfida, un duello, poi negava un paragone tra esso e un grido notturno o una illuminazione divina, ma tornava alle parole di prima, al “freddo e sommesso Alleluja”. Il tutto in un crescendo musicale di notevole intensità e difficoltà, che portava i violini a toccare note molto molto alte. Una stonatura in quei momenti sarebbe stata tragica, ma riuscii a mantenere alta la concentrazione e a superare l’ostacolo abilmente.
    Ho fatto del mio meglio, ma non era abbastanza.
    Con queste parole, che potevano sembrare quasi rassegnate, iniziava l’ultima strofa. Il protagonista diceva di non riuscire a sentire l’amore, a percepirlo in maniera spirituale, e dunque si tuffava nella carnalità, nel toccare con mano. Nella mia esperienza anche quello era qualcosa di altrettanto importante e poteva diventare ugualmente poetico. L’autore pareva pensarla come me, mi sembrava di capire.
    E anche se tutto è andato storto...
    Ancora una volta il testo sembrava dover essere triste, ma in realtà non lo era fino in fondo. Tutto era andato storto, certo, ma lui era ancora lì, dinnanzi al “Dio delle Canzoni”, a innalzare la sua magnifica preghiera musicale. Il testo finiva laggiù, in quel crescendo di potenza musicale, che sfociò poi in un lungo outro strumentale, in cui la voce solista era nuovamente accompagnata da quel piccolo coro di cloni. Dopo l’ultimo Alleluja non restò che un’ultima nota di violino a mettere il punto finale. Poi qualche istante di silenzio, che speravo essere segno della commozione del pubblico di fronte a quella canzone così conosciuta ma sempre toccante. Speravo di essere riuscita a dare un mio tocco personale al tutto, a renderla in qualche modo speciale per loro. Per me lo era, era un inno alla vita, alla sua bellezza, al suo essere divina e terrena allo stesso tempo. Era un inno all’imperfezione, alla gioia, all’amore. Era tutto questo e molto di più, conoscevo poco l’autore ma doveva essere una persona speciale, molto profonda. Il modo giusto per ringraziarlo di quel regalo che ci aveva fatto era fare in modo che rendesse al massimo della sua espressività. Ed ero convinta di esserci riuscita, gli applausi del pubblico rafforzarono in me questa mia idea.
    Grazie! Grazie davvero! Siete stato un pubblico magnifico, grazie di tutto!
    Mi esibii in un inchino sentito e feci ripetere l’operazione anche ai miei cloni, più volte. Ero al settimo cielo, non avevo osato sperare in un così lungo applauso finale. Ne volevano ancora un po’, era evidente, ero piaciuta. Per fortuna mi ero preparata una sorta di “bis”, per ogni evenienza, anche se ero sicura che non l’avrei eseguita.
    Ne ho ancora una per voi, se volete! Una canzone prima di dirci addio. Una ninna nanna per augurare a tutti una buona notte e sogni d’oro. A voi, che avete appena reso realtà il mio, di sogno.

    Mi girai verso i cloni e porsi loro una mano, facendomi passare un violino. Poi li osservai con calma mentre si sistemavano e infine mi voltai di nuovo verso il pubblico, incoccando l’archetto allo strumento. Prima di me partì la chitarra, che iniziò alcuni semplici accordi di accompagnamento, poi fu il mio turno, quello del violino solista. La melodia era soave e lenta, fatta di ampie arcate. Pian piano si aggiunse una seconda voce di violino, che fungeva anch’essa di accompagnamento. In alcuni momenti il patetismo della canzone era portato ai massimi livelli dalle note, terribilmente alte, in alti era più forte il dinamismo, alimentato anche dagli inserti degli altri strumenti, che incalzavano il solista. Dopo circa due minuti si arrivò alla naturale conclusione del pezzo, con un’ultima nota acutissima e tenuta per diverse battute. Non era per niente semplice da eseguire, per quanto lo spartito non fosse complessissimo avevo inserito un paio di difficoltà tecniche per arricchire la musicalità del tutto. Ero contenta di come fosse venuto fuori, nonostante non conoscessi tutti i dettagli del pezzo avevo l’impressione di essere riuscita a coglierne l’essenza. Purtroppo Walter non era stato in grado di fornirmi tutte le informazioni che volevo, mi aveva raccontato di non potere visto che sua madre era molto malata e che non sapeva a chi altro chiedere. Mi ero scusato con lui per averlo importunato e gli avevo fatto i miei migliori auguri, sapevo cosa volesse dire perdere la propria famiglia e speravo che non toccasse anche a lui. Di seguito mi ero rivolta a Kenji, che a sorpresa aveva detto di conoscere qualcuno che poteva saperne di più. Infatti uno dei suoi amici di vecchia data, un chitarrista di fama internazionale di cui conoscevo anche qualche pezzo, era dello stesso clan del ragazzo di Suna, Matt Heryul. Anche lui sapeva poco, ma aveva spiegato a Kenji che era una canzone che si diceva fosse cantata da una principessa al suo amato eroe, per aiutarlo a riposare dalle sue grandi fatiche. Queste notizie non erano sicure, aveva detto l’uomo, ma mi erano state sufficienti a farmi un’idea sul pezzo e a provare a farlo mio. E il risultato mi pareva soddisfacente, opinione che sembrava condividere anche il pubblico, visto lo scrosciare di applausi. Io non ero molto stanca, ma sapevo che questa sensazione sarebbe durata molto poco. Ringraziai una, due volte e anche altre. Ero troppo felice, mi spiaceva quasi che fosse tutto finito, ma sapevo che non avrei mai retto più di così. Feci un altro paio di inchini, tenendo per la mano i miei cloni, quasi a formare una grande catena umana. L’ultimo di questi gesti accompagnò la scomparsa di tutti loro, che mi lasciarono all’improvviso da sola sul palco, col capo ancora chinato in segno di ringraziamento. Rimasi così per qualche istante, non avevo la forza di muovermi diversamente. Tutta la stanchezza dei quattro cloni superiori mi era stata scaraventata addosso in una volta sola, mi servì uno sforzo immane già solo per restare in piedi. Per fortuna pochi istanti e il sipario fu chiuso, lasciandomi la possibilità di crollare a terra ansimante. Quella condizione fisica non mi tolse il sorriso dalle labbra, ero letteralmente al settimo cielo. Un paio di aiutanti arrivarono a raccattarmi, per portarmi dietro le quinte. Ci misi ancora un po’ a riprendermi del tutto, ma poco importava. Ne era valsa totalmente la pena, era stata una bellissima esperienza, oltre le mie più rosee aspettative, qualcosa che avrei ricordato finché avrei avuto vita.
     
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    Demone velatore

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    Impeccabile a livello di scrittura, per il resto... è stato coinvolgente, divertente, interessante e a tratti commovente. Ammiro il modo con cui sei riuscito a trattare dettagli di un argomento su cui tu stesso hai ammesso di avere dubbi causati dall'ignoranza. Onestamente non so cosa dire, penso che sia una delle role più belle di tutto Ng da quando sono qui. Ricevi il massimo di exp e ryo (10 e 75), ma siccome mi dispiace non poterti dare di più...

    A concerto finito, quando tutti se ne sono andati, Aiko viene raggiunta dal proprietario del locale. Ha un biglietto piegato in mano, dice che a consegnarglielo è stato un ragazzo incappucciato, vestito di nero. Non è riuscito a scorgerne il volto.

    "Sei davvero speciale, è stato bellissimo.
    Kir, Nay e Rin"


    C'è scritto soltanto questo, ma al suo interno ci trovi pizzicati 300 ryo.






    P.S.: verranno scalati dalla scheda di Rin, ci farò un log immediatamente.
     
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6 replies since 1/7/2017, 10:49   143 views
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