Riabilitazione

Piccola ruolata di depressione e rinascita

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    Demone incendiario

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    45.1 TOCCARE IL FONDO



    bottigliarotta





    Lui era sempre lì, mi fissava con aria di compassione. Da tempo non era più un compagno, non era più qualcuno con cui condividere passione e dolori, era solo un boia. Lo afferrai e trangugiai il suo contenuto senza dare neanche troppo peso al gusto. Il bicchiere, ormai vuoto, continuò a guardarmi sempre più triste. Scossi la testa, non avevo certo bisogno del suo compatimento, stavo benissimo così. Lo posai nel lavandino, a fare compagnia alla pila di piatti e posate che non lavavo da mesi ormai. Non ho più bisogno di un bicchiere, mi dissi, la bottiglia è più coerente. Mi chiamava con voce suadente, mi diceva che bevendo avrei potuto dimenticare tutto il resto. Diamine, lo so! È per questo che bevevo. Buttai giù ciò che era rimasto nel piccolo contenitore di vetro, poi lo scagliai al suolo con rabbia. Così imparava a dire ovvietà! Rimasi seduto qualche istante, però non riuscii a fare nessun pensiero di senso compiuto. Avevo paura, non sapevo bene di cosa, ma avevo paura. La soluzione a tutto era una sola, ancora una volta, quindi la andai a prendere. Al secondo sorso, un conato di vomito sembrò poter spezzare il mio impeto, ma io non mi arresi. Resistetti e portai a termine il mio compito. Era la quarta bottiglia, forse poteva essere abbastanza per quella sera. Forse. Mi alzai e provai a raggiungere il letto. Mi sembrò di udirlo mentre rideva di me, ma non me ne curai. Con qualche passo stentato lo raggiunsi e mi ci sedetti sopra.

    -Perché ti sei ridotto così?-

    Alzai lo sguardo e vidi Mai, bella come al solito. Mi stava osservando con sguardo triste, lo stesso che aveva il bicchiere. Sembrava non capire davvero, ma non mi azzardai a risponderle. In fondo era proprio lei il motivo per il quale mi stavo dando all'alcolismo più profondo. Perché lei non si era più fatta viva, perché non era insieme a me, perché non riuscivo più a vivere senza di lei.

    -E allora perché non mi vieni a prendere? Non pensi che magari ti sto aspettando?-

    Il volto della yukese era colorato da un lieve rossore, forse imbarazzo. Una lacrima scese da uno dei miei occhi. Perché non andavo? Perché lei mi aveva detto di aspettarla. Me lo aveva detto senza mezzi termini, non potevo irrompere nella sua vita così, senza preoccuparmi di niente. Mi sarebbe bastata una sua parola e sarei corsa da lei. Non mi interessava più nient'altro. Però se lei non mi diceva niente, non potevo forzare le cose. Avrei rovinato tutto e quello non potevo permetterlo. A costo di dover aspettare in eterno.

    -Sai, abbiamo parecchi problemi a Yuki... E poi ci sono anche i miei problemi di salute... Le cose sono complicate...-

    Lo sapevo. Lo sapevo, dannazione!! La guerra civile, il parassita nero, quel maledetto tiranno di Hirozumo, quei viscidi bastardi di Oto. Tutto quanto era un problema, una complicazione, un impedimento. Ormai non ne potevo più. Basta!! Se questo mondo non mi vuole, perché dovrei continuare a stare qui?! Cosa posso aspettarmi da questa inutile vita? Perché non potevo semplicemente farla finita?

    -Sì, sarebbe di sicuro la scelta più logica...-

    Lo pensavo davvero, però sapevo anche di non potere. Non potevo proprio. Lei avrebbe potuto avere bisogno di me. Domani, tra un anno, tra quindici. Non potevo sparire. Non potevo morire.

    -Sei proprio ingenuo... E comunque cosa pensi di guadagnarci, alcolizzandoti come un idiota qualsiasi? Pensi sia una soluzione? O forse ti stai solo nascondendo?-

    Era ovviamente la seconda opzione. Stavo nascondendo la testa nella sabbia, come un fottuto struzzo. Però cos'altro potevo fare? Niente aveva più senso, vivevo solo di attesa. Che mi pesava come un macigno. L'unico modo per resistere era bere. E dimenticare. Ma se non riuscivo neanche più a quello, iniziava a diventare un problema. Se da ubriaco iniziavo a pensare le stesse cose che pensavo da sobrio, che senso aveva bere?

    -Più che vero! Sei ancora in tempo! Smettila adesso e insieme troveremo una soluzione!-

    La fissai negli occhi. Erano sempre loro, brillanti e robusti. Mi avevano sempre spinto a credere che in un modo o nell'altro avremmo potuto farcela. Il suo ottimismo, la sua forza d'animo... Quanto mi mancavano... Però questa volta non potevano certo salvarmi.

    -L'unica soluzione è bere di più...-

    A questo punto lei sparì nel nulla, senza neanche una parola di commiato. Tanto meglio, l'avevo capito fin dall'inizio che quella era solo un'allucinazione dettata dall'alcool. Lei non mi mancherà di certo, pensai. Mai invece sì, ma questo era un altro problema.

    CITAZIONE
    OST: Matt Elliott - The guilty party
     
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    45.2 E RISALIRE





    Passai ancora diversi giorni a bere e vomitare. Iniziai a farlo anche di giorno, dopo essermi preso una settimana di ferie. Ad ogni ora ero ubriaco, non uscii neanche più di casa se non per andare a comprare cibo e alcool. Finiti i giorni liberi non tornai a lavoro per ancora una settimana, senza dire niente a nessuno. Mi facevo troppo schifo, non potevo restare neanche un secondo sobrio senza provare un ribrezzo indiscutibile verso di me e verso tutto il mondo. Niente aveva senso, tranne ubriacarmi. Probabilmente non ero neanche più definibile un umano, ero ridotto ad uno straccio senza senno. Passavo il tempo a bere e a cercare di dimenticare. E siccome non ci riuscivo più di tanto, bevevo sempre di più, sempre più spesso, sempre più pesantemente. La mia corsa verso il fondo non sembrava avere fine, in nessuno dei due sensi della parola.

    -Sei ridicolo! Alzati subito e vieni a fare rapporto dal kage.-

    La voce che mi destò dal mio sonno ebbro era quella di Daisuke Nabeshin, quello per che per lungo tempo era stato come un fratello per me. Non avevo la forza di eseguire i suoi ordini, non avevo abbastanza forze per fare niente di niente. Feci un verso incomprensibile con la bocca, al che lui reagì violentemente. Mi prese a pugni per quasi un mezzo minuto di fila, poi mi lasciò cadere a terra. Non faceva troppo male, avevo ancora l'alcool in circolo che limitava il dolore, però fu una scena deprimente. Quindi anche lui mi aveva abbandonato, pensai. Quanto mi sbagliavo!! Le sue lacrime me lo fecero capire.

    -Come hai fatto a ridurti così? Perché non ci hai detto nulla?! Noi... Noi ti stiamo aspettando, stiamo tutti aspettando che tu riesca a riprenderti, ma devi volerlo prima tu!!-

    No, io non lo volevo, pensai. Non volevo più niente, ma non avevo il coraggio di affrontare di petto la questione. Facevo resistenza passiva al mondo. Senza arrivare da nessuna parte.

    -Io... Io non so più cosa fare... Sappi che la Kawakage ti dà tempo fino a domani per presentarsi al suo cospetto, se non lo farai puoi anche considerarti espulso dal corpo armato...-

    Detto questo, Keisuke uscì. Io restai ancora un po' a terra, senza fare o dire nulla. Non riuscivo neanche a pensare decentemente. Era successa qualcosa di importante, ma non riuscivo nemmeno a rifletterci. Rimasi un altro paio di ore sdraiato a terra, senza agire in nessun modo, aspettando che l'ubriachezza scemasse. Quando accadde, mi rimisi in piedi e iniziai finalmente a pensare a ciò che stava accadendo. Dovevo abbandonare tutto? Dovevo rinunciare a quel lavoro che avevo sempre odiato oppure avrei dovuto rinunciare a quella spirale di autodistruzione alcolica? Dovevo forse tornare nel mondo reale? Per chi dovevo farlo? Non riuscivo a trovare nessuna risposta che mi soddisfacesse, anche perché ero ancora un po' stordito. Poi lo sguardo mi cadde sul medaglione che il vecchio Walt mi aveva forzato a prendere, lasciato a prendere la polvere su una mensola. Mi misi a piangere. Non me lo ero più ricordato, ma lui contava su di me, anche se non lo aveva detto esplicitamente. Ed era così anche per Keisuke e per tutti gli altri giù al villaggio. Era così per i miei commilitoni, quelli con cui avevo diviso missioni inutili e altre piccole battaglie quotidiane. E anche Mai avrebbe potuto aver bisogno di me, presto o tardi. Mi ero continuamente aggrappato a questo pensiero, ma non lo mettevo in pratica, visto che nello stato in cui ero ora non sarei riuscito a fare niente in suo aiuto.
    Mi diedi una veloce sistemata, poi uscii di casa. Fuori pioveva impietosamente e gli stracci che avevo addosso si fecero ben presto fradici. Mi diressi verso la magione del capovillaggio, dove chiesi di incontrare la donna che reggeva Takumi. Il mio aspetto era davvero molto trasandato, anche per colpa del meteo, e probabilmente puzzavo ancora di alcool. Ma ero sicuro che i miei occhi fossero colmi di determinazione, come non succedeva da molto tempo ormai. Riuscii a farmi ricevere, nonostante chiunque avessi incontrato mi avesse lanciato occhiate maligne o divertite. Non mi importava. Una volta entrato nell'ufficio della kage, le feci un inchino. Lei rimase in silenzio, aspettando che fossi io a parlare.

    -Sono venuto qui per prendermi la responsabilità delle mie azioni criminose. Accetterò senza discutere qualsiasi sua decisione!-

    La donna rimase qualche attimo in silenzio a osservarmi, poi mi chiese se avessi intenzione di continuare a servire Takumi. Io dissi semplicemente di sì, senza aggiungere altro.

    -Il reato di cui lei si è reso colpevole è molto grave. Defezione! Ma visti i suoi precedenti, ho deciso che sarò clemente nei suoi confronti! La condanno a sette giorni di reclusione e a due mesi di sospensione dalla sua attività di shinobi. Intende richiedere un regolare processo o accetta la mia decisione?-

    Accettai senza aggiungere nulla. La condanna era molto severa, ma ne capii il senso. I sette giorni erano necessari a fare chiarezza nel mio cervello, i due mesi a recuperare la forma fisica persa nell'ultimo periodo. Era una decisione estremamente saggia, chiaro esempio di quanto fosse acuta la Kawakage. Mi consegnai senza alcuna resistenza alle guardie, che a loro volta mi trattarono con molta umanità. Con alcune avevo condiviso qualche missione, mi conoscevano bene. E forse provavano anche un po' di compassione nei miei confronti. Il periodo di reclusione passò in fretta, tra lunghe riflessione e qualche raro esercizio fisico. Nel frattempo giungevano notizie poco confortanti dall'esterno, le tensioni tra le varie nazioni ninja erano ricominciate, più forti di prima. A questo punto dovevo recuperare la forma il prima possibile, perché tra non molto avrebbe potuto essere necessaria la mia partecipazione agli eventi. Se volevo davvero cambiare qualcosa di questo mondo, dovevo assolutamente essere presente, non potevo più nascondermi. Certo, ero ancora debole, ma non avevo intenzione di esserlo per sempre, né di ricadere negli errori di un tempo. E infatti, non appena fui scarcerato, iniziai la più lunga e impegnativa sessione di allenamento della mia vita. Per quei due mesi non c'era altro che potessi fare, dopo le cose sarebbero potute anche cambiare, ma adesso era solo quello il mio ruolo.

    CITAZIONE
    Il periodo di alcolismo (vero e proprio) del mio pg è durato in teoria un mesetto e mezzo, a inizio estate. I due mesi di sospensione sarebbero quindi corrispondenti a quelli in cui non ho ruolato proprio per niente, ovvero da Agosto a Ottobre.
     
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